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La cittadella di Soluntum

Nello splendido scenario di Monte Catalfano una città dalla storia mitica e millenaria

09 giugno 2017
la-cittadella-di-soluntum

ph. Davide Mauro - CC BY-SA 4.0

Alle falde del Monte Catalfano, sul cui colle orientale si adagia la mitica cittadella fenicio-punica di Solunto, sorge Porticello, pittoresca frazione marinara di Santa Flavia.

Leggenda vuole che Ercole, rapito dalle bellezze naturali di Monte Catalfano, scalò il colle Mongerbino per godere dello splendido panorama della Conca d'Oro con il suo mare limpido e trasparente e con l'incantevole scogliera di Capo Zafferano.

Il promontorio di Capo Zafferano visto da Solunto
Foto di Ziegler175 - Opera propria, CC BY-SA 3.0

In quel periodo però il Mongerbino era funestato dalla presenza di un pericoloso gigante antropofago di nome Soleus, che aveva la pessima fama di rapire tutte le fanciulle vergini dai monti della Trinacria, sui quali scorazzava indisturbato. Ercole affrontò con coraggio il gigante e lo uccise liberando il Mongerbino e il colle orientale del Monte Catalfano, dove nel IV secolo a.C. i Cartaginesi avrebbero fondato la mitica città di Solunto, che da Soleus prese il nome.

Monte Catalfano in un dipinto di Francesco Lojacono
Monte Catalfano dipinto da Francesco Lojacono

Solunto, occupa una bellissima posizione strategica, su un pendio del promontorio formato dal Monte Catalfano da cui si domina il mare con Capo Zafferano. Da qui il panorama spazia su tutta la Conca d'Oro, sulle Madonie sino ad arrivare a Cefalù. La cittadella è stata interessata da diverse campagne di scavi che, cominciate nell'800, sono state riprese nel 1952 e poi portati avanti negli anni successivi.

Panorama da Solunto - ph Allie Caulfield
Foto di Allie_Caulfield - flickr.com, CC BY-SA 2.0

Gli scavi hanno portato alla luce un settore notevole del tessuto urbano che permette una larga ricostruzione del centro originario del IV secolo a.C., anche se si notano numerosi rifacimenti del periodo tardo ellenistico e romano (tra il II e il I sec. a.C.). Si tratta insomma di un tipico piano regolatore d'età tardoclassica simile a quello che caratterizza altre zone archeologiche siciliane come Ietas, Tindari, Eraclea, Gela, Agrigento.

Inizialmente doveva avere una superficie di circa 18 ettari, con pianta ottagonale, divisa da una serie di strade orientate da nord-est a sud-ovest, intersecate da assi minori perpendicolari che per lo più sono costituiti da scalinate.

I resti della Stoa di Solunto - ph Davide Mauro
Stoa di Solunto - foto di Davide Mauro - Opera propria, CC BY-SA 4.0

Proprio all'ingresso degli scavi si trova l'antiquarium, un museo che ospita frammenti architettonici, monete, documentazioni cartografiche, un piccolo rilievo votivo con un cavaliere, una serie di capitelli ellenistici e romani, alcune statuette tardo-ellenistiche e romane.

Antiquarium di Solunto - ph Davide Mauro
Dipinto conservato nell'Antiquarium di Solunto - Foto di Davide Mauro - Opera propria, CC BY-SA 4.0

Seguendo la strada principale della città (Via dell'Agorà), lastricata con tufo arenario e mattoni posti a spina di pesce, ci s'imbatte in un quartiere periferico, con case modeste a semplice cortile, i cui isolati contengono al massimo otto abitazioni per un massimo di 400 metri quadri.

Poco dopo la prima traversa a sinistra, ha inizio invece, un quartiere occupato da case lussuose, i cui isolati contengono otto abitazioni per un massimo di 540 metri quadri, dotate di peristili (giardini porticati a colonne posti al centro della casa) e ricche di  decorazioni musive e pittoriche.

Quello che resta della domus ellenistico-romana di Solunto

L'itinerario archeologico continua con il Ginnasio, riportato alla luce intorno alla metà dell'800 e restaurato nel 1866 dal Cavallari. Si tratta di una grande e ricca  domus ellenistico-romana, dotata di peristilio a due piani, con colonnato inferiore dorico e superiore ionico, pavimenti a mosaico e con affreschi murali stilizzati.

Di questa importante domus si conservano ancora in buono stato tre colonne in stile dorico. Più avanti si notano i resti della Casa di Leda, una grande casa patrizia rinvenuta nel 1963, edificata su tre livelli e così chiamata perché nella parete dipinta vi è raffigurato il mito di Leda con il cigno.

L'astrolabio (o sfera armillare) della casa di Leda a Solunto - ph Ziegler175
L'astrolabio della Casa di Leda - foto di Ziegler175 - Opera propria, CC BY-SA 3.0

La casa si sviluppa intorno ad un peristilio del quale resta il moncone di una colonna d'angolo mentre delle altre sono visibili gli alloggiamenti. Gli ambienti circostanti sono riccamente decorati con mosaici e pitture.

Percorrendo sino in fondo Via dell'Agorà si arriva ad un Santuario composto da due edifici distinti: il primo, più ad est che comprende tre ambienti non comunicanti, aperti sulla strada; l'altro caratterizzato da un altare composto da un piano inclinato verso una vaschetta, che probabilmente serviva a raccogliere il sangue degli animali sacrificati. Tutto il complesso presenta numerosi rifacimenti fino ad età imperiale.

La vista sul golfo dal cosiddetto Ginnasio di Solunto
ph. Allie Caulfield - CC BY 2.0

L'edificio retrostante comprende nove ambienti, distribuiti su tre livelli. Si trattava certamente di un santuario di grande importanza, come dimostrano le dimensioni e la prossimità alla zona pubblica principale della cittadella, e particolarmente interessante che l'edificio di culto abbia conservato le sue forme orientali, in un centro per il resto così profondamente ellenizzata.

Proseguendo sino in fondo a Via Agorà si arriva alla zona pubblica, circondata da numerosi edifici in cui si affacciano la maggior parte delle botteghe.
Sul lato est, si trovava un'enorme cisterna di cui si possono vedere le basi dei 26 pilastri che sostenevano la copertura a volta.

Rovine di Solunto - ph Dedda71
Foto di Dedda71 - Opera propria, CC BY 3.0

La città aveva inoltre, una fervente attività culturale testimoniata dalla presenza di un teatro con gradoni scavato nella roccia, che però è talmente rovinato dal tempo che si distingue soltanto dall'alto e dalla presenza di un Odeon, un piccolo teatro per spettacoli musicali di cui si distinguono bene l'orchestra ed alcuni gradoni della cavea.

Nella cittadella non esistevano fogne vi erano soltanto dei canali di scolo che in corrispondenza delle strade principali diventavano sotterranei.

Pillole di storia - La cittadella che si presenta allo sguardo attuale fu fondata dai Cartaginesi nella seconda metà del IV sec. a.C. sulle macerie (o nei pressi) di una precedente città fenicia (del VII sec.a.C.) distrutta dal tiranno siracusano Dionisio il vecchio nella guerra contro i Cartaginesi nel 396 a.C, insieme a Cefalù ed Enna.

I Fenici, popolo di abili navigatori e commercianti approdarono in Sicilia, risalirono il monte Catalfano scegliendo il punto più alto per essere più vicini agli dei, elevarono preghiere alle divinità per propiziarsele e fondarono la mitica Solunto. Il nome che i Fenici gli diedero fu Kfra (Kafara) che significa villaggio, il nome greco Solus o Soloeis, corrispondente al latino Soluntum, sarebbe con ogni probabilità anch'esso di origine fenicia e significa roccia, in riferimento alla natura gelogica del sito. Solunto fu una delle tre città fenicio-puniche della Sicilia con Mozia e Palermo.

Una ricostruzione di Solunto

Dopo la conquista di Dioniso il vecchio del 396 la città venne ricostruita interamente e nel 307 a. C. vi s'insediò, col benestare dei Cartaginesi, un gruppo di mercenari greci abbandonati da Agatocle in Africa dopo il fallimento della sua spedizione. Tracce della presenza ellenica si riscontrano nelle decorazioni delle costruzioni, dalla presenza di iscrizioni in greco e in tutta una serie di figure sacerdotali.

Gli affreschi della "Casa delle Maschere" di Solunto, restaurati ed esposti al Museo Salinas di Palermo

Dopo la prima guerra punica, nel 264-241 a.C. circa, Solunto passò sotto il dominio romano come Ietas, Tindari. Il declino della città iniziò nel I secolo col graduale abbandono a favore dei centri abitati della pianura sottostante, fino al saccheggio subito ad opera dei Saraceni nel VII secolo.

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