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''Alla sbarra Saddam, ma non i paesi suoi complici''

Articolo di Paola Mirenda - Osservatorio Iraq, 18 ottobre 2005

20 ottobre 2005

Si apre il 19 ottobre il processo a Saddam Hussein, che sarà giudicato per 12 crimini commessi nel periodo che va dal 17 luglio 1968, data del secondo colpo di Stato, al 1 maggio del 2003, data nella quale George W. Bush dichiarò la ''fine delle operazioni principali''.
Il primo dei processi, quello che appunto si apre il 19 ottobre, riguarderà un solo crimine, l'eccidio nel villaggio di Dujail, compiuto nel 1982.
A giudicare il deposto leader sarà il Tribunale Speciale Iracheno (TSI), il cui statuto è stato varato il 10 dicembre 2003, tre giorni prima dell'annuncio della cattura di Saddam.
È formato da più sezioni, ciascuna con cinque magistrati. Le Nazioni Unite non hanno collaborato alla sua organizzazione, né alla formazione dei magistrati, perché contrarie alla pena di morte, ripristinata di recente dal Parlamento iracheno.
In cambio gli americani hanno avuto un ruolo molto esteso nella sua organizzazione, stanziando i 138 milioni di dollari serviti a trasformare in tribunale un ex quartier generale del partito Baath e a mantenere uno staff di 50 esperti statunitensi, australiani e britannici: gli avvocati, inquirenti, medici legali e archivisti dell'ufficio di collegamento.
La formazione dei magistrati, per adeguare il processo agli standard internazionali, è stata condotta in segreto in Gran Bretagna. Parte di questa formazione ha visto anche la presenza dell'Italia, all'interno del programma di formazione per i giudici iracheni svoltosi a Siracusa tra il 10 e il 16 febbraio 2005.
Ma lo stesso presidente dell'istituto che organizza questo corso di formazione, Cherif Bassiouni,  aveva ammesso, a novembre dell'anno precedente che ''si è fatto in modo di creare un tribunale con giudici non indipendenti, ma al contrario strettamente controllati; quando parlo di controllo, voglio dire che gli organizzatori del tribunale devono assicurarsi che gli Stati uniti e le altre potenze occidentali non siano chiamati in causa. Gli stessi regolamenti del tribunale faranno sì che agli Usa e agli altri paesi sia accuratamente evitata qualsiasi accusa. Il che ne farà un processo incompleto e ingiusto. Una vendetta del vincitore''.

La forte presenza americana e britannica rischia così di offrire al procedimento contro Saddam l'immagine di processo dei vincitori, che potrebbe minarne la legittimità agli occhi dell'opinione pubblica araba.
Il TSI ha avuto del resto una genesi difficile, non solo per determinare i membri che lo avrebbero composto, ma anche per riuscire ad inserirsi in un contesto internazionale in cui erano già presenti altre istituzioni, ma a cui gli Usa non volevano ricorrere.
In particolare, per alcuni reati ascritti a Saddam, sarebbe stato opportuno adire la Corte Penale Internazionale (CPI), ma contro questa Corte più e più volte si sono pronunciati gli Usa.
Lo stesso Iraq, che il 17 febbraio 2005 aveva annunciato di aver firmato un decreto di adesione alla CPI, è ritornato sui suoi passi pochi giorni dopo.
L'adesione alla CPI avrebbe infatti permesso, secondo il Trattato di Roma, di giudicare Saddam Hussein per le sue azioni fuori e dentro l'Iraq, ma avrebbe aperto la strada anche ad eventuali provvedimenti nei confronti delle truppe della coalizione. Il TSI è stata dunque la soluzione trovata ad hoc per accontentare l'alleato maggiore, ma è stato criticato anche nel suo statuto, perché pur se formalmente corretto, non rispecchia tutte le procedure considerate essenziali nell'occidente, compreso il diritto della difesa.
I difensori di Saddam hanno più volte lamentato l'impossibilità di incontrare il loro assistito, e quindi di concordare le linee di difesa, regolamentate in ogni ordine giuridico internazionale.
Ma il collegio dei difensori di Saddam è un altro dei punti oscuri di questo processo, poiché in molti vi si sono iscritti pur senza averne un preciso mandato. Nella prima delle rare udienze di comparizione per Saddam Hussein, quella del 1 luglio 2004, l'ex leader ha preferito difendersi da solo.
Il collegio dei difensori, creatosi all'estero su spinta di Amnesty International, è stato aspramente criticato in più riprese dalla figlia di Saddam, Raghad Hussein, che attualmente vive ad Amman, in Giordania, e che da là tenta di coordinare il lavoro di difesa.

Saddam, dal momento della cattura, è detenuto dagli Stati Uniti, che ne hanno mantenuto la ''custodia fisica'' anche dopo il ''passaggio di poteri'' del 28 giugno 2004.
Solo due settimane prima, il 15 giugno, George W. Bush aveva dichiarato che avrebbe consegnato Saddam ''al momento opportuno''.  E Salem Chalabi, allora presidente del costituendo TSI, aveva ribadito che la consegna sarebbe avvenuta solo quando il Tribunale avesse fornito ''i mandati di arresti basati su prove sufficienti''. A quella data, il TSI era ancora ben lontano dall'essere formato, mancando ancora la nomina dei 20 giudici istruttori e degli inquirenti. Lo stesso Salem Chalabi, unico fino ad allora nominato, sarebbe stato raggiunto da mandato di cattura degli Usa pochi giorni mesi dopo, nell'agosto del 2004.
Il successivo presidente verrà invece ''licenziato'' dall'allora primo ministro Allawi.
I nomi degli attuali membri del TSI non sono noti, per ''motivi di sicurezza''. Oltre alle defezioni e alle rimozioni, infatti, anche le esecuzioni minano la costituzione del tribunale. Si conosce solo il volto del giudice della prima udienza preliminare, Raid Juhi, oggi declassato al ruolo di portavoce del TSI,  forse a causa dell'apporto dato all'accusa contro lo stesso Salem Chalabi, nipote dell'attuale viceministro Ahmed Chalabi.
Il TSI riuscirà a esprimere una formale incriminazione per Saddam solo il 17 luglio 2005, un anno più tardi. Ma anche in quel caso, il tribunale che lo ha emesso avrà vita breve. Il 19 luglio, due giorni dopo, verrà rimosso  il Direttore generale, assieme ad un addetto alla sicurezza e ad altri sette funzionari.

L'estate del 2005 rappresenta una grossa accelerazione nella genesi del processo a Saddam.
Annunciato a più riprese, era stato come ''congelato'' per 17 mesi, dal 13 dicembre 2003 (giorno della cattura) al luglio 2005, che si eccettua l'udienza già ricordata del 1 luglio 2004. Altre due audizioni si svolgono il 13 giugno e il 21 luglio del 2005. Il 17, come si è detto, l'incriminazione formale. Il 19 ottobre, il processo, la cui data viene annunciata il 4 settembre. 
Un documentario del regista Jean Pierre Krief  trasmesso dal canale televisivo Arté si interroga, alla vigilia del processo, sul perché di una accelerazione così forte negli ultimi mesi.
Scrive Artè, nella presentazione del video: ''Perché si è avuta, in questi ultimi mesi, una accelerazione tale degli eventi? Sembra che lo scenario di un grande processo storico, sul modello di Norimberga, che richiederebbe molto più tempo, sia stato scartato in favore di un processo che possa aver luogo rapidamente, mentre il contesto iracheno non è favorevole a tale opzione. Perché?''

Non è questo l'unico interrogativo.
Il capo di imputazione scelto per questo processo è relativo ad un massacro commesso nel 1982: l'esecuzione e la scomparsa di 143 civili sciiti dalla piccola città di Dujail. 60 chilometri a nord di Baghad.
Perché è stato scelto questo episodio? E perché nei capi di imputazione finora emessi, mancano alcuni massacri ben più gravi?
Scrive Barry Lindo su Le Monde, riferendosi a questa scelta: ''Hanno scelto un crimine 'minore' e vuoto di mistero (...) Questo caso fornirà ai giudici e agli avvocati inesperti un apprendimento semplice e poco contestabile (...). Ma non si menzionerà, sicuramente, il fatto che poco tempo dopo questo carnaio, nel dicembre 1983, Donald Rumsfeld, perfettamente al corrente dei metodi del regime iracheno e dell'impiego delle armi chimiche contro le truppe iraniane, arrivava a Baghdad, inviato da Ronald Reagan, con lo scopo di rinsaldare i legami tra i due paesi''.
E' questo alla fine dei conti il nodo del problema: l'Iraq ha da poco ripristinato la pena di morte e i crimini commessi da Saddam rientrano nei casi previsti dalla legge. Se questo primo processo non bastasse, gli altri che seguiranno sono scelti in modo tale da non dover rivelare quelli che sono stati negli anni presi sotto esame, i rapporti tra Saddam e il mondo occidentale. Non si farà menzione della guerra contro l'Iran, forse perché, dice ancora Lindo, ''l'Iran è ancora nella lista dei nemici dell'America. Forse perché dopo aver dato il via libera all'Iraq per questa invasione, gli Stati Uniti hanno fornito centinaia di miliardi di dollari in armi, talvolta ad entrambi i belligeranti, per far durare il conflitto''.

Sarebbe stato meglio se Saddam non fosse stato mai catturato, o se lo fosse stato solo da morto?
C'è chi crede che questa sarebbe stata la soluzione migliore, ma non solo per gli Stati Uniti: sono molti i paesi che devono spiegare qualcosa, in termini legali e di diritti umani, spesso non tutelati dalla legalità degli Stati.

www.osservatorioiraq.it

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20 ottobre 2005
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