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''Antonello il magnifico'' di Goffredo Silvestri

29 marzo 2006

In Antonello non cercate i fiamminghi. Non cercate i capolavori fiamminghi, quell'"inesauribile ricerca della verità visiva di un oggetto", il segreto di un Van Eyck. Antonello è altro. In lui dobbiamo cercare il senso dello spazio, non indagare la pelle, l'oggettività.
Adolfo Venturi ci ricorda che nella sua pittura ''l'analisi fiamminga cedette il posto alla vigorosa sintesi italiana, la ricerca dell'autonomia a quella del volume, le forme gotiche alle nostre rinascenti. Egli serbò dei fiamminghi l'esattezza, lo scrupolo, non la minuzia''.
Ai visitatori di questa mostra quindi una avvertenza. La distanza giusta per osservare i dipinti di Antonello non è mai inferiore al metro. Perché la pittura di Antonello non è la pittura dei fiamminghi, non è in ''punta di pennello'', ma è ''compendiaria'', suggerisce più che definisce, ''sfrutta malizie tecniche'' che evitano ''eccessivi miniaturismi'', garantendo una resa perfetta già a breve distanza. Alla brevissima distanza ci si potrebbe accorgere di ''finissimi tocchi non sempre fusi con l'epidermide'' che invece segnano ''bagliori, arrossamenti e accenti verissimi appena ci si fa discosti''. Se in mostra fosse possibile prendere delle macrofotografie di Van Eyck e di Bellini si scoprirebbe ''un mondo e una sopraffina abilità e tenuta tecnica'' mentre in Antonello svelerebbero ''ogni illusione''.

Questa avvertenza, con quel che ne segue, viene da Gianluca Poldi e Giovanni C. F. Villa che rendono conto delle indagini scientifiche alle quali hanno sottoposto una trentina di opere di Antonello (in mostra o no). Le Madonna con Bambino e francescano orante (recto), Museo Regionale di Messinaindagini (non invasive, con strumenti portatili, quasi sempre senza spostare i dipinti), sono il più vasto campionario che abbia interessato un artista raro. Non hanno ''consentito il riconoscimento del legante all'interno degli strati pittorici'', ma hanno dato ''preziose indicazioni'' sui pigmenti, il disegno sottostante e la tecnica usata. Sono un incommensurabile merito e valore aggiunto di questa mostra anche per i dispiaceri che hanno provocato e che non hanno risparmiato neppure Antonello, il modo di fare pittura veloce (addirittura un dipinto finito ogni venti giorni) e i contraccolpi sulla conservazione dei dipinti.
I dispiaceri sono per il Walters Art Museum di Baltimora e la Collezione Forti di Venezia perché hanno fatto uscire due dipinti (di 43 per 35 e 39 per 26 centimetri) raffiguranti ''Vergine leggente'', dalle fila degli Antonello alle fila degli attribuiti ad Antonello. Una decurtazione sonante anche economicamente. La tavola americana è stata messa in conto ad un seguace siciliano di Antonello e datata al 1480 circa. Quella veneziana ad un pittore valenzano, circa 1475-1480. In questo dipinto (e nella ''Virgo advocata'' della Pinacoteca civica di Como, indicata come attribuita ad Antonello, ma assegnata alla bottega di Jacomart Baço e Joan Reixach), la ''materia è sensibilmente differente dalla produzione'' di Antonello.
E l'olio come legante, uno dei maggiori contribuiti al ''mito'' del pittore? La risposta di Poldi-Villa, sulla base di un sia pure esiguo campione di analisi, è piuttosto spiazzante, sull'olio e sulla dipendenza dalla tecnica fiamminga. Antonello ''mostra una predilezione per l'olio'' (con olio di noce sono dipinti il ''San Girolamo nello studio'' e il ''Cristo benedicente'' di Londra, con olio di lino la ''Madonna con Bambino'' e il ''San Giovanni evangelista'' di Firenze e il ''San Benedetto'' di Milano, la ''Pietà'' di Venezia , ancora con olio, il polittico di San Gregorio di Messina) ''senza però disdegnare la tempera'' individuata nel ''Ritratto d'uomo'' della Borghese e nel ''San Sebastiano'' di Dresda.

Per il suo modo di disegnare e stendere il colore, Antonello non ha certo avuto bisogno del preteso viaggio in Ecce Homo (verso), Museo Regionale di MessinaFiandra. Gli bastavano la lezione a Napoli del maestro Colantonio e i documentati dipinti fiamminghi visibili in città. E di ''sola riflessione e risonanza poetica'' si sarà trattato. Ben altro si dovrebbe rilevare nelle tavole se avesse seguito le fasi di preparazione di un dipinto di un pittore fiammingo. La ''sola esiguità del tracciato sottostante in Antonello, limitato al contorno e in rarissimi casi all'uso del tratteggio per collocare le ombre'', dimostra che ''con ogni probabilità egli mai vide all'opera, e certo non durante l'apprendistato, un maestro fiammingo, iberico o provenzale, la cui pratica è generalmente caratterizzata da un ductus soggiacente marcato sia nei contorni di pieghe e figure sia, talora, nelle ombre''.
In più Antonello non punta a entrare in competizione con le velature di Van Eyck né con lo stile traslucido di Petrus Christus (di cui è presentato il ''Cristo come uomo dei dolori'', una miniatura di 11,2 per 8,5 centimetri). Il suo obiettivo è ''luminosità e solidità in una migliorata verità prospettica''. E l'olio diventa importante ''forse solo per i chiaroscuri di volti e incarnati, che dal medium oleoso traggono nuova verità espressiva'' come risalta nei ritratti e negli ''Ecce Homo''.
Ancora, un bellissimo confronto in mostra fra il ''Ritratto''di Van Eyck e l'"Annunciata" di Palermo dimostra la profonda differenza fra ''gli impasti lucenti e vitrei, impalpabili'' di Van Eyck e quelli ''opachi e gessosi, materici'' di Antonello perché Antonello è solito stemperare biacca, con generosità, con il pigmento colorato. Un'operazione che facilita l'asciugatura, ma dà alle stesure un'opacità che certo non rientrava negli interessi dei maghi fiamminghi delle trasparenze.

In mostra ci sono le opere più belle di Antonello, ma almeno una manca all'appello. La ''Pala di San Cassiano'' o meglio quello che rimane di una spettacolare pala di dieci metri quadri (di cui almeno un terzo di figure) dipinta a Venezia in appena otto mesi (dall'agosto 1475 all'aprile 1476). Il Kunsthistorisches Museum di Vienna non l'ha prestata nonostante l'intervento dello stesso ministro Rocco Buttiglione. In mostra c'è una copia del fiammingo seicentesco David Teniers il Giovane, una tavolettina di 24 per 16,3 centimetri, importante perché riproduce San Cristoforo, una delle parti andate perdute. I santi attorno alla Madonna in trono col Bambino sono rimasti quattro, mentre in origine erano il doppio.
La ''Pala di San Cassiano'', ammiratissima dai contemporanei come uno dei più importanti capolavori del Il condottiero, 1475, Museo del Louvre, ParigiRinascimento al punto da commuovere il toscano Giorgio Vasari per un'opera non toscana, viene giudicata il dipinto in cui la dimensione ''fiamminga'', la ''spigolosità fiamminga e borgognona'', risulta ''compiutamente superata'' a favore ''di una dolcezza meditata a contatto con Bellini''. Per i pittori veneziani Antonello ''accettava e integrava le loro tradizioni'' e in Antonello c'era ''un quasi commovente omaggio a Giovanni Bellini, riprendendo e superando, per idealizzazione di volumi e serena spazialità'', la ''Sacra conversazione'' del maestro veneziano per i Santi Giovanni e Paolo. Il ''Cristo morto sostenuto da tre angeli'' del Museo Correr (rovinatissimo nei volti per spuliture aggressive, ma presente), ''mostra un identico, affettuoso, omaggio''. La risposta di Bellini è ''altrettanto amichevole e subito registra tutte le novità viste'': è l'immensa pala votiva contro la peste per la chiesa di San Giobbe, che ''con quella di San Cassiano, sarà prototipo per le successive pale veneziane''.
In quegli otto mesi Antonello non ha fatto naturalmente solo la ''Pala di San Cassiano'', ma, ''con impostazione radicalmente differente'', il trittico per la chiesa di San Giuliano (del quale sopravvive il ''San Sebastiano'' di Dresda che è in mostra, purtroppo molto ridipinto in epoca antica e ''ora copiosamente ripreso nell'ultimo restauro''), il ritratto della Borghese e di Alvise Pasqualino. Nell'autunno 1476 Antonello è di nuovo a Messina, ma dopo aver dipinto ''una o due raffinate'' ''Crocifissioni'' (di Londra e di Anversa), il ''Cristo morto'' del Correr, ritratti come il ''Condottiero'' del Louvre, il celeberrimo ritratto di Torino, forse l'"Annunciata" di Palermo. La produzione del periodo veneziano, che dovrebbe essere stata a livelli frenetici, è uno dei misteri della vita di Antonello.

Mauro Lucco si è preso la briga di fare qualche conto ed ha trovato che almeno una ventina di opere sono Vergine col bambino, 1460(?), National Gallery, Londrageneralmente attribuibili al periodo veneziano, che è appunto durato meno di due anni. Il che significa che ''tolte le domeniche, le feste, qualche eventuale riposo o impegno diplomatico o di rappresentanza, Antonello consegnava (potenza degli oli essiccativi!) un dipinto finito circa ogni venti giorni''. Naturalmente, come tutti, Antonello lavorava a molti dipinti contemporaneamente, molti dipinti erano di piccole dimensioni, ma sono sempre cifre che fanno nascere qualche sospetto. Intanto, sulla base di un documento scoperto nel 1979, il trittico di San Giuliano non può essere stato dipinto nel periodo veneziano, ma fra l'estate 1478 e il febbraio 1479 quando Antonello, gravemente malato, faceva testamento il 14 e undici giorni dopo era morto.
Secondo Lucco, Antonello aveva capito che Venezia era la sua piazza di lavoro ed aveva deciso di impiantarvi una bottega affidata a qualche collaboratore e rappresentante, che facesse da punto di raccolta e smistamento delle commissioni a lui che lavorava a Messina, a casa sua, nel suo ambiente, aspetti evidentemente troppo importanti. E nello stesso tempo la bottega facesse fronte alla produzione per i clienti minori, ritratti soprattutto ed ''Ecce Homo'' per devozione privata.
Alla morte di Antonello toccò al figlio Jacobello (Pino da Messina), unico legittimo erede, completare, fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta del Quattrocento, una serie di dipinti lasciati incompiuti dal padre. Fra questi il trittico di San Giuliano che quindi è un lavoro a quattro mani per scelta obbligata del destino. Una collaborazione che secondo Poldi-Villa non è rilevabile nel ''San Sebastiano'' superstite, il quale potrebbe appartenere alla parte di trittico che Antonello riuscì a completare. Si tratta quindi dell'ultima opera di Antonello.
Figlio di un maestro onorato e seguito su una delle piazze più importanti d'Italia, il povero Jacobello (anche lui dalla vita per noi misteriosa e corta, terminata nel 1488) era ben conscio dei propri limiti. E nel consegnare l'unica opera certa, la ''Madonna col Bambino'' (ora alla Carrara di Bergamo e presente in mostra), non potè fare a meno di firmarsi come ''figlio di un non umano pittore''. In mostra di Jacobello c'è un ''Ritratto di giovane'' dalla National Gallery di Washington.

Per Poldi-Villa la spiegazione alla ''densità di opere evase in poco tempo'' deve far riflettere sui metodi del dipingere di Antonello, dal disegno al dare i colori. ''Operare in tempi brevi richiede, oltre a una singolare creatività, chiarezza e coerenza di intenti, sicurezza di gesti fin dal disegno, dalla costruzione spaziale al dettaglio, necessitando, giunti a operare su di una tavola già ben preparata, che gli strati della pittura asciughino in tempi relativamente brevi, per potervi di nuovo lavorare in ombre e luci fino ai tocchi ultimi e alla verniciatura''.
Le indagini non hanno rilevato pentimenti del disegno e della pittura se non quasi impercettibili, con l'eccezione del San Sebastiano, 1476 ca., Staatliche Gemaldegalerie, Dresda''Salvator Mundi'' della National Gallery di Londra in cui Antonello ha modificato le dita della mano benedicente e la veste rossa (la tavoletta non è in mostra). Si può quindi pensare ad ''un accurato studio preliminare della composizione su carta, forse con indicata nel dettaglio la collocazione delle ombre''. Il fatto che non siano stati trovati segni di riporto del disegno né per spolvero né per ricalco, ''autorizza l'ipotesi che avvenisse, sulla preparazione, una copia indiretta del disegno preparatorio caratterizzata da un tracciato di puro contorno''.
Come noto l'olio essicca per autossidazione in pochi giorni solo se lo strato pittorico è sottile, e meglio in presenza di legante proteico o su strati di base eseguiti con tempera, che hanno il vantaggio di asciugare più rapidamente (minuti od ore). ''Contenere a uno o due strati le stesure a olio - osservano Poldi-Villa - garantisce di aver pronta l'opera in tempi brevi ma anche, per la caratteristica polimerizzazione lenta dell'olio, di poter intervenire per effetti particolari, impossibili con la tempera''.
A questo punto i due ricercatori si chiedono se l'"ammaloramento" di molte tavole di Antonello sia dovuto solo a terremoti, pessime condizioni di temperatura-umidità, spostamenti, ridipinture parziali o complete, oppure ''anche alla particolare tecnica esecutiva'' di Antonello ''fatta di strati talora assai sottili, spesso senza imprimiture, di mescole di leganti forse sperimentali o poco durevoli, per quanto quasi mai i tempi ridotti d'esecuzione manifestino difetti d'asciugatura''.
Ma questa rapidità di esecuzione suggerisce un'altra immagine. Quella del meridionale che fa il migrante, lavora, sgobba, risparmia lontano per poter tornare al più presto alla terra natale dove non ci sono dogi e corti, ma casa e famiglia. Antonello poteva sistemarsi a Venezia, maestro come Bellini, artista forestiero rispettato, seguito e imitato. Dopo neppure due anni, con prestigiose commissioni assicurate e una produzione di routine per la bottega, Antonello torna a Messina. Uno dei giganti dell'arte del Quattrocento chiude isolato dai grandi centri artistici, ''una vita senza tribolazioni economiche ma relativamente modesta'', come dimostrano gli oggetti comuni divisi fra Giovanna, la vedova, e Jacobello.

INFO
''Antonello da Messina''
Dal 18 marzo al 25 giugno. Roma, Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio.
A cura di Mauro Lucco, università di Bologna, con il coordinamento scientifico di Giovanni C. F. Villa, università di Bergamo. Comitato scientifico internazionale. Allestimento Daniela Ferretti. Catalogo Silvana Editoriale. Promossa da Azienda Speciale Palaexpo e Zètema Progetto Cultura.
Orari: da domenica a giovedì 10-20; venerdì e sabato 10-22,30 (ingresso fino a un'ora prima della chiusura).
Biglietti: intero 10 euro; ridotto 7,50.
Prevendita infoline 0639967200; prevendita scuole 0639967500

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29 marzo 2006
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