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"Berlusconi e altri politici dietro le stragi del '93"

Il pentito Giovanni Ciaramitaro, in aula al processo in corso a Firenze, ha accusato il premier. Parla anche Pasquale Di Filippo: "Bombe in chiese e monumenti per colpire il turismo"

18 gennaio 2011


L'attentato di via dei Georgofili a Firenze, del 27 maggio 1993

"Francesco Giuliano mi disse che erano stati dei politici a dirgli questi obiettivi, questi suggerimenti", per le stragi del 1993 «e in un'altra occasione mi fece il nome di Berlusconi". E' quanto ha sostenuto il pentito Giovanni Ciaramitaro, deponendo questa mattina a Firenze al processo sulle stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano che vede imputato Francesco Tagliavia.
"La ragione delle stragi - ha aggiunto - era l'abolizione del 41 bis, l'abolizione delle leggi sulla mafia. Le bombe le mettevano per scendere a patti con lo Stato. C'erano dei politici che indicavano quali obiettivi colpire con le bombe: andate a metterle alle opere d'arte". In un'altra circostanza, durante una latitanza, "chiesi a Giuliano - ha detto Ciaramitaro - perché dovevamo colpire i monumenti e le cose di valore fuori dalla Sicilia. Lui mi disse che ci stava questo politico, che ancora non era un politico, ma che quando sarebbe diventato presidente del Consiglio avrebbe abolito queste leggi. Poi mi disse che era Berlusconi".
"Da quando avevo 20 anni - ha detto poi Ciaramitaro - mi hanno sempre detto cosa dovevo votare politicamente, io e tutti gli altri. Nel '94, quando ci sono state le elezioni in Sicilia, abbiamo votato tutti per Berlusconi, perché Berlusconi ci doveva aiutare, doveva far levare il 41 bis".
Ciaramitaro ha detto che poi parlò con Bagarella, che "dopo l'arresto di Riina, secondo me, era il numero uno di cosa nostra". "Berlusconi ci doveva aiutare - ha spiegato - doveva far levare il 41 bis, cosa che in quel periodo non è successa. Io mi sono lamentato con Bagarella personalmente, dicendogli che là (nelle carceri, ndr) ci stanno ammazzando a tutti. Perchè ancora non ha fatto niente? Lui mi ha risposto in siciliano: in questo momento lascialo stare perché non può fare niente. Mi ha fatto capire che c'erano altri politici che gli giravano attorno, nel senso di vedere quello che lui faceva, e quindi lui non si poteva esporre più di tanto. Comunque appena c'è la possibilità lui ci aiuterà. Questo è stato il dialogo che io ho avuto con Bagarella".


L'attentato in via Palestro a Milano del 27 luglio 1993

E stamane ha parlato anche un altro collaboratore di giustizia, Pasquale Di Filippo. Gli attentati mafiosi del 1993 a Firenze, Milano e Roma "erano un ricatto della mafia allo Stato" e per far arrivare il messaggio a destinazione "sicuramente c'era un intermediario". Di Filippo ha poi aggiunto: "Nessuno me ne ha mai parlato, ma ci arrivo a logica".
L'uomo, che ha fatto parte di gruppi di fuoco mafiosi, ha parlato delle stragi "fatte per fare un ricatto allo Stato sul 41 bis, sulla legge sui pentiti. Il messaggio era o fate così come diciamo noi o mettiamo altre bombe. Furono scelte chiese e monumenti per colpire il turismo, così mi dissero Salvatore Grigoli e Vittorio Tutino". L'attentato a Maurizio Costanzo, invece, "mi dissero che fu per vendetta, per una trasmissione che aveva fatto". (Nella foto a sinistra l'attentato alla chiesa di San Giovanni al Velabro a Roma, del 28 luglio 1993)
Negli anni Novanta, secondo Di Filippo, Francesco Grigoli e Antonino Mangano gli dissero che doveva "individuare l'abitazione di Claudio Martelli perchè lo dobbiamo uccidere". La motivazione era che Martelli avrebbe "fatto qualcosa contro di loro". Secondo Di Filippo, i componenti del gruppo di fuoco - fra cui lo stesso Grigoli - erano anche preoccupati di essere rintracciati dagli investigatori per colpa della scarsa organizzazione degli spostamenti che c'era stata in occasione degli attentati.

"In queste ore, potevano forse mancare anche le accuse di mafia, fino ai deliri sulle stragi? Le 'spatuzzate' sono già fallite una volta, ma si ritenta di mettere in circolo follie e veleni". E' stato questo il commento di Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, a queste ultime notizie. "Va detto - ha aggiunto - che così non si offende solo chi è oggetto di queste falsità, ma la giustizia stessa, oltre a rinnovare il dolore dei familiari delle vittime. Sarebbe l'ora che qualcuno avesse l'intelligenza di fermare questa oscena macchina del fango. In tanti, grazie al governo Berlusconi, abbiamo l'orgoglio di partecipare a una stagione politica che segna il record storico nella lotta contro la mafia e contro ogni altra forma di criminalità organizzata. Il resto sono solo veleni e infamie".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Repubblica.it]

"Le bombe di mafia del ‘93? Non ho capito perché…" - "Le bombe del 1993? Non ho mai capito il perché. Lo appresi in carcere, dalle confidenze di un affiliato alla famiglia di Brancaccio, Salvatore Benigno, e me lo fece capire mio padre, al quale, quando ci incrociammo ad un processo, chiesi se ci fosse la mafia dietro a questo stragi. Le uccisioni di Falcone e Borsellino? Perché, insieme a Grasso, davano battaglia a Cosa Nostra”. Lo ha detto nei giorni scorsi a Firenze, il figlio del boss Raffaele Ganci, il pentito Calogero Ganci, testimoniando al processo sulle stragi del 1993 di Firenze, Roma e Milano dove è imputato il boss Francesco Tagliavia, accusato di aver partecipato all’organizzazione degli attentati. Nella deposizione Ganci ha definito Tagliavia "uomo di fiducia" dei fratelli Graviano. I Ganci, affiliati alla famiglia della Noce, erano i "custodi" della latitanza di Totò Riina e, tra i loro compiti, c’era anche quello di scortare gli affiliati che volevano parlare con lui. In queste occasioni, Ganci ha riferito di aver visto più volte Tagliavia. "Accompagnava i Graviano a questi appuntamenti - ha affermato il pentito -. Però, come me, non partecipava agli incontri".
Ganci ha parlato, inoltre, del disappunto della sua famiglia per la posizione ‘oltranzista’ che fu assunta dopo l’arresto di Riina da parte di alcuni esponenti come Bagarella, Brusca e gli stessi Graviano, che prevedeva, dopo le autobombe che uccisero Falcone e Borsellino, anche un attentato al magistrato Piero Grasso, e lotta al carcere duro dopo l’introduzione del 41 bis e la legge sui pentiti.
Prima di Ganci sono stati ascoltati altri due pentiti, Giovanni Drago ed Emanuele Di Filippo. Per il 25 gennaio è prevista l’audizione dell’ex ministro Giovanni Conso e l’ex direttore del Dap, Nicolò Amato.

"Angoscia" per "un’udienza gravosa e pesante per le vittime delle strage di via dei Georgofili" è stata espressa dalla presidente dell’associazione dei familiari Giovanna Maggiani Chelli. "Angoscia che nasce - ha spiegato Maggiani Chelli - dalla mancanza di un perché sulla strage, rinnovata attraverso le deposizioni di collaboratori di giustizia e testimoni oggi da 197 bis, ma in passato collaboratori di giustizia. Informatissimi sulla mafia fino al 1992, Drago, Di Filippo e Ganci, sono digiuni in assoluto sulle stragi del 1993". [LiveSicilia.it]

 

 

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18 gennaio 2011
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