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''Cervelli'' che fuggono da Sud a Nord

Mentre l'Italia che ''viaggia a due velocità'' invecchia sempre di più, in 15 anni oltre 2 milioni di laureati hanno lasciato il Meridione

14 gennaio 2010

Le migrazioni interne della popolazione italiana, l'esodo dei meridionali verso le regioni del Settentrione, sono di ancora di un'attualità spiazzante. Non più valige di cartone legate con lo spago, non più ex braccianti e operai disoccupati, ma migliaia di giovani con un titolo di studio qualificato: tra il 2000 e il 2005, in particolare, oltre 80mila laureati (pari ad una media annua di 1,2 ogni 100 residenti con tale titolo di studio) hanno abbandonato le regioni del Sud per emigrare in cerca di un'opportunità lavorativa.
È quanto emerge da un'indagine, appena pubblicata, condotta da due economisti della Banca d'Italia (Sauro Mocetti e Carmine Porello) sulla mobilità del lavoro, che rileva come in 15 anni, tra il 1990 e il 2005, si siano trasferite al Nord quasi 2 milioni di persone e l'emigrazione dal Sud (isole incluse) "ha ripreso vigore nella seconda metà degli anni Novanta, interrompendo un trend decrescente che durava dai primi anni Settanta; all'inizio del decennio in corso il deflusso si è nuovamente attenuato".

Lo studio uscito da Palazzo Koch dimostra che "il mezzogiorno diventa sempre meno capace di trattenere il proprio capitale umano, impoverendosi della dotazione di uno dei fattori chiave per la crescita socio-economica regionale". La caratteristica distintiva delle ultime migrazioni è, infatti, la partenza di ragazzi istruiti, diretti sopratutto verso le grandi aree metropolitane del Centro Nord, come Roma, Milano e Bologna. Il contesto rispetto ai flussi del passato è completamente cambiato: "I nuovi rapporti di lavoro - è spiegato nel rapporto - e la diffusione dei contratti a termine hanno inciso sugli incentivi alla mobilità geografica, rendendo più incerto il rendimento atteso dallo spostamento". L'emigrazione dei "cervelli", rilevano ancora i due economisti, può comportare "un impoverimento di capitale umano che, a sua volta, potrebbe riflettersi nella persistenza dei differenziali territoriali in termini di produttività, competitività e, in ultima analisi, di crescita economica".
In un simile contesto, a parere di Mocetti e Porello, l'intervento dello Stato deve essere mirato ad eliminare le cause che ostacolano, in termini quantitativi e qualitativi, la crescita economica nel Mezzogiorno.

Negli ultimi anni, inoltre, è aumentato anche il cosiddetto "pendolarismo di lungo raggio", fenomeno che riguarda coloro che, pur mantenendo la residenza d'origine, vanno a lavorare in una località molto lontana dal proprio Comune nel quale riescono a tornare raramente nel corso dell'anno. Un dato del 2007 rivela, ad esempio, che al centro-nord lavoravano stabilmente circa 140mila persone residenti nel Mezzogiorno (pari al 2,3% degli occupati dell'area); spesso, secondo la ricerca, si tratta di giovani che non hanno ancora raggiunto la stabilità dal punto di vista familiare e occupazionale. E così se una volta era l'emigrato che sosteneva con le sue rimesse la famiglia rimasta del luogo d'origine, oggi è il contrario: i genitori continuano ad aiutare economicamente il giovane fino al suo completo inserimento nel mondo del lavoro.
Quante alle cause, l'emigrazione dal Sud continua ad essere alimentata dalle maggiori opportunità di lavoro esistenti nel Centro-Nord e dunque dalla persistenza, nel Mezzogiorno, di un disagio storico legato alla mancanza del lavoro ed al ritardo di sviluppo e crescita economica. Secondo lo studio di Bankitalia, all'inizio degli anni Duemila a rallentare i flussi migratori dal Sud contribuì il forte aumento dei prezzi delle case al Centro-Nord. Ma anche il cambiamento del mercato del lavoro con il boom del precariato che certo non incentivava le persone, soprattutto i giovani, a spostare la residenza per seguire un lavoro a termine.
Infine, conclude lo studio, anche la crescita dell'immigrazione straniera ha contribuito a modificare le scelte migratorie degli italiani, favorendo "l'afflusso dei nativi laureati" e frenando "quello dei meno scolarizzati". In particolare, la concentrazione degli stranieri nel Centro-Nord avrebbe incontrato una domanda di lavoro che in passato veniva soddisfatta dai lavoratori del mezzogiorno.

L'Italia a due velocità - Se ai dati dello studio di Bankitalia aggiungiamo quelli dell'Istat, ci ritroviamo davanti a quella che sembra in tutto e per tutto un ritratto assolutamente statico, immobile ed uguale a se stesso da decenni. I dati dell'Istituto nazionale di statistica, infatti, rilevano un'Italia sempre più vecchia, con una crescita a due velocità e un Mezzogiorno dove il lavoro irregolare ancora dilaga.
"Nel Meridione un lavoratore su cinque resta in nero. Il record è in Calabria dove la quota di irregolari è al 27,3%. Sul mercato del lavoro permangono notevoli differenze: le donne occupate sono il 47,2% della popolazione di riferimento, gli uomini il 70,3%".
Con un indice di vecchiaia che conta 143 anziani ogni 100 giovani, l'Italia si colloca poi al secondo posto in Europa, preceduto solo dalla Germania. La regione più anziana è la Liguria, la più giovane la Campania.
C'è anche da fare i conti con la criminalità che nel Sud è considerata problema prioritario dal 58,6% della popolazione; la regione dove appare più rilevante è la regione risultata la più govane, la Campania (68,3%). La quota sale nel Nord-Est (62,6%) e nel Nord-Ovest (62,4%): in Emilia-Romagna (67,6%), Veneto (63,8%) e in Piemonte (63,3%).
Infine, resta il divario tra Sud e Centro-Nord nella produzione di ricchezza ed emerge "l'insufficienza della produzione del Mezzogiorno, dove tutte le regioni sono costrette ad importare beni e servizi per una quota del Pil spesso superiore a 20 punti percentuali".
Insomma, un immagine nella quali differenti potranno essere le percentuali, diverse alcune tipologie sociali, ma sicuramente uguale, concettualmente, a quella di venticinque anni fa.

[Informazioni tratte da Repubblica.it, La Siciliaweb.it, Ansa.it]

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14 gennaio 2010
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