''Domani mattina'' era gergo di Auschwitz per dire ''mai''. Memorie dai campi di concentramento
Considerate se questo è un uomo: Che lotta per mezzo pane. Che muore per un sì o per un no...
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi
Miei cari genitori,
se il cielo fosse carta e tutti i mari del mondo inchiostro, non potrei descrivervi le mie sofferenze e tutto ciò che vedo intorno a me.
Il campo si trova in una radura. Sin dal mattino ci cacciano al lavoro nella foresta. I miei piedi sanguinano perché ci hanno portato via le scarpe… Tutto il giorno lavoriamo quasi senza mangiare e la notte dormiamo sulla terra (ci hanno portato via anche i nostri mantelli).
Ogni notte soldati ubriachi vengono a picchiarci con bastoni di legno e il mio corpo è pieno di lividi come un pezzo di legno bruciacchiato. Alle volte ci gettano qualche carota cruda, una barbabietola, ed è una vergogna: ci si batte per averne un pezzetto e persino qualche foglia.
L’altro giorno due ragazzi sono scappati, allora ci hanno messo in fila e ogni quinto della fila veniva fucilato… Io non ero il quinto, ma so che non uscirò vivo di qui. Dico addio a tutti, cara mamma, caro papà, mie sorelle e miei fratelli, e piango…
Lettera scritta in yiddish da un ragazzo di 14 anni nel campo di concentramento di Pustkow
''In questo luogo, lavarsi tutti i giorni nell’acqua torbida del lavandino immondo è praticamente inutile ai fini della pulizia e della salute; è invece importantissimo ai fini come sintomo di residua vitalità, e necessario come strumento di sopravvivenza morale.
Devo confessarlo: dopo una sola settimana di prigionia, in me l’istinto di pulizia è sparito. Mi aggiro ciondolando per il lavatoio, ed ecco Steinlauf, il mio amico quasi cinquantenne, a torso nudo, che si strofina collo e spalle con scarso esito (non ha sapone) ma con estrema energia. Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo. Perché dovrei lavarmi? Starei forse meglio di quanto sto? Piacerei di più a qualcuno? Vivrei un giorno, un’ora di più? Vivrei anzi di meno, perché lavarsi è un lavoro, uno spreco di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza tra me e lui sarà scomparsa? ... Ma questo (ne) era il senso, non dimenticato allora né poi: che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca.
Primo Levi, Se questo è un uomo
Fammi vedere il tuo braccio... Hmm... il tuo numero parte con diciassette. In ebraico è "K’Minyan Tov". Diciassette è un presagio molto buono...
(Era un prete. Non era ebreo... ma molto intelligente!)
Finisce con tredici, l’età in cui un ragazzo ebreo diventa uomo... E guarda! Sommati fanno diciotto. È "Chai", il numero ebreo della vita. Non so se io sopravviverò in quest’inferno, ma sono certo che tu uscirai di qui vivo!
(Cominciai a credere. Vedi, lui mise un’altra vita in me. E quando tutto era molto brutto, guardavo e dicevo: "Sì, il prete aveva ragione! Totale fa diciotto.")
Art Spiegelman, Maus II