''E' lui, lo riconosco''
Su la testa contro il pizzo! I commercianti ''rivoltosi'' di Palermo puntano il dito sui loro estortori
Con la testa alta, guardando negli occhi, sentendo sì il cuore che batte forte sul petto, sentendo sì un leggero fremito alle ginocchia, ma allo stesso tempo avvertendo chira una forza che viene dal coraggio, dall'amor proprio e dalla vicinanza di chi ha avuto gli stessi incubi, ad occhi aperti, da sveglio...
Non si può vivere tutta una vita con la paura, con “a cura n'mezzu i jammi e a testa n'filata dintra 'u saccuni” (con la coda tra le gambe dentro un sacco), facendo finto di niente, inventandosi che tutto va bene perché è così che deve andare. Non si può vivere per sempre accettando l'ingiusto e l'angheria, e non si può sopportare per sempre la prepotenza... No, non è possibile. Troppo, troppo stancante...
Questo amor proprio, questo coraggio... forse soltanto la stanchezza ha accompagnato l'altro ieri per mano alcuni commercianti di Palermo convocati nell'aula bunker dell'Ucciardone per quella che nel codice di procedura penale si chiama "ricognizione di persona", il riconoscimento di dodici mafiosi che andavano a riscuotere nelle borgate a ovest di Palermo. Commercianti segnati nei pizzini dei Lo Piccolo e che hanno confessato d'aver pagato.
Diciotto i commercianti e 12 i mafiosi che dietro una lastra, da una parte vetro dall'altra specchio, devono essere riconosciuti, accusati e puniti.
La rivolta dei commercianti all'Ucciardone per riconoscere i mafiosi
di Attilio Bolzoni (la Repubblica/Palermo, 08 luglio 2008)
Nessuno di loro era mai entrato nei corridoi di quell'aula-bunker che avevano visto solo in tv come teatro dello storico maxiprocesso a Cosa nostra. Si sono incontrati nei corridoi, accompagnati dai loro avvocati, dai consulenti di "Addiopizzo", dai poliziotti che vigilano sulla loro sicurezza. Ormai si conoscono tutti, si sono scambiati poche parole fuori, si sono fatti coraggio. Poi, uno a uno, sono entrati in aula e hanno fatto il loro "dovere". Hanno visto al di là di un vetro gli uomini ai quali per anni hanno consegnato la "tassa" dovuta a Cosa nostra, li hanno riconosciuti subito in mezzo ad altri, senza esitazione, senza tentennamenti.
Erano in sette da una parte, in cinque dall'altra. Sette, i primi commercianti e imprenditori del gruppo di diciotto che ha deciso di collaborare con la Dda ed accusare gli estorsori. Cinque gli esattori del clan Lo Piccolo, arrestati dopo la cattura dei boss e dopo il pentimento di tanti "soldati" del mandamento.
Il vetro, lo specchio, la tensione, il tentativo di "confusione" fatto da alcuni degli imputati che hanno voluto che accanto a loro ci fossero i fratelli molto somiglianti, non hanno provocato alcun imprevisto nel primo confronto all'americana voluto dalla Dda di Palermo in un processo per estorsione. Con le vittime-testimoni che hanno riconosciuto, mischiati con altre persone, gli uomini che chiedevano loro denaro e assunzioni. «E' lui, lo riconosco». Parole secche pronunciate nel corso di quello che tecnicamente è un incidente probatorio, deciso dal gip Maria Pino, in corso di indagini preliminari per cristallizzare le dichiarazioni accusatorie delle vittime ed evitare possibili ritrattazioni per minacce e atti intimidatori.
Alla presenza dei pm Domenico Gozzo, Gaetano Paci e Marcello Viola e dei legali degli imputati e delle parti civili, i primi sette imprenditori convocati hanno riconosciuto davanti al gip Maria Pino, cinque esattori del clan Lo Piccolo: Domenico Ciaramitaro, Domenico Caviglia, Filippo Mangione, Giovanni Cusimano e Salvatore Di Maio. Per mettere a dura prova la memoria dei testimoni, due di loro, Caviglia e Mangione, hanno chiesto che accanto a loro, al di là del vetro schermato, oltre all'agente di polizia in borghese scelto per la ricognizione, ci fossero i rispettivi fratelli, assai somiglianti. Nonostante una situazione del genere potesse ingannarli, i commercianti non hanno avuto dubbi e hanno indicato i loro presunti estorsori, senza sbagliare.
Dalla parte delle "persone offese" gli avvocati Ugo Forello e Salvo Caradonna, legali di Addiopizzo. Al processo, l'associazione sarà parte civile, così come la Federazione antiracket e Libero Futuro. Anche lo "Sportello Legalità" della Confcommercio ha assicurato assistenza ed era presente con un proprio rappresentante, l'avvocato Fabio Lanfranca.
L'incidente probatorio proseguirà giovedì con le deposizioni dei sette commercianti, che dovranno adesso confermare le loro dichiarazioni davanti al gip. Venerdì e sabato toccherà ad altre vittime del pizzo che saranno chiamate a riconoscere altri presunti estorsori.
E proprio nel giorno in cui altri "colleghi" scelgono la sua strada, Vincenzo Conticello, titolare della "Focacceria San Francesco", il primo a riconoscere pubblicamente in aula i suoi estorsori, si lascia andare ad una nota polemica: «Palermo mi ha lasciato solo. I presidenti delle associazioni di categoria e le forze dell'ordine mi sono stati vicini. Ma ho pagato caro il prezzo della mia rivolta. Tanti commercianti e una parte della città mi hanno abbandonato. Molti, tra coloro che mi cercavano, non mi cercano più».
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