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''E' ora di finirla con le lacrime e le commemorazioni. E' arrivata l'ora di lottare per Paolo Borsellino''

25 luglio 2007

''E' ora di smettere di piangere per Paolo, è ora di finirla con le commemorazioni, fatte spesso da chi ha contribuito a farlo morire''.
Quella scritta da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice morto 15 anni fa nella strage di via D'Amelio a Palermo è una lettera durissima.
L'ingegnere Borsellino, che vive a Milano, ha voluto replicare al documentario sulla mafia a Palermo, ''In un altro Paese'', andato in onda lunedì sera su Rai 3 e condotto da Alexander Stille. Si tratta della seconda lettera che il fratello del magistrato ammazzato dalla mafia con quattro agenti della scorta, scrive. La prima lettera era stata scritta pochi giorni fa alla vigilia delle commemorazioni per il 15esimo anniversario delle stragi di Capaci e via D'Amelio.

''E' ora di smettere di piangere per Paolo, è ora di finirla con le commemorazioni, fatte spesso da chi ha contribuito a farlo morire. E' l'ora invece di dimenticare le lacrime, è l'ora di lottare per Paolo, lottare fino alla fine delle nostre forze, fino a che Paolo e i suoi ragazzi non saranno vendicati e gridare, gridare, gridare finché avremo voce per pretendere la verità, costringere a ricordare chi non ricorda'', prosegue Salvatore Borsellino.
Il fratello del giudice si chiede ''dove sono le migliaia di persone che cacciarono e presero a schiaffi i politici che, scacciati dai funerali di Paolo, avevano osato andare nella Cattedrale di Palermo, davanti alle bare dei ragazzi morti insieme a lui, a fingere cordoglio e disputarsi i posti più in vista nei banchi della chiesa?''. E ancora: ''Dove sono le migliaia di giovani, di gente di tutte le età, che ai funerali di Paolo continuavano a gridare il suo nome, Paolo, Paolo, Paolo?''. ''Ricordi il presidente del Consiglio e ricordino tutti i politici - prosegue Salvatore Borsellino - che guidare l'Italia non è gestire un tesoretto, disquisire su scalini e scaloni, o azzuffarsi sugli interventi nelle missioni all'estero, e dimenticare che i veri problemi sono nel nostro stesso paese, in un Sud abbandonato alla mafia, alla camorra, alla n'drangheta''.

Quindi un appello ai giovani: ''Ricordate che non ci può essere una repubblica, non ci può essere una democrazia fondata sul sangue, fondata sui ricatti incrociati legati alla sparizione di un'agenda rossa e delle memorie di un computer e a quello che può esserci scritto o registrato. Ricordate che non basta cambiare nome ad un partito e poi, nel discorso programmatico del suo capo in pectore non sentire neanche pronunciare la parola mafia. Ricordate che il futuro è vostro e che ve lo stanno rubando''.

Intanto torna in primo piano la vicenda della misteriosa scomparsa dell'agenda rossa del giudice ucciso in via D'Amelio, agenda dalla quale Paolo Borsellino non si separava mai e nella quale, molto probabilmente, erano scritti gli sviluppi delle indagini che Giovanni Falcone stava portando avanti prima che venisse ammazzato il 23 maggio del '92 e sulle quali Borsellino lavorò incessantemente nei 57 giorni prima che lo facessero esplodere.
Infatti il gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza ha indicato alla procura gli spunti di indagine da approfondire nella vicenda della scomparsa dell'agenda. I pm nelle scorse settimane avevano chiesto l'archiviazione del fascicolo iscritto a carico di ignoti per il reato di furto. Il giudice, però, si era opposto riservandosi ulteriori decisioni. La sparizione dell'agenda è tra i fatti al centro della indagine sui cosiddetti mandanti occulti dell'omicidio aperta dalla procura nissena. Secondo gli investigatori proprio nelle pagine scritte da Borsellino potrebbe essere stata indicata la verità sull'attentato.
Il giudice teneva il diario in una borsa di pelle sparita e poi riapparsa, priva, però, dell'agenda, nell'auto blindata su cui il magistrato viaggiava il giorno dell'eccidio. In un'ordinanza di otto pagine, depositata ieri e notificata ai familiari di Borsellino, il giudice chiede ai pm di Caltanissetta di interrogare alcuni carabinieri ritratti dai filmati, girati dalle tv dopo la strage e acquisiti dalla procura, accanto al tenente colonnello Giovanni Arcangioli, allora capitano, immortalato dopo l'esplosione con in mano la borsa del magistrato ucciso.
Arcangioli, dopo il suo interrogatorio, è stato iscritto nel registro degli indagati per false dichiarazioni al pm. L'ufficiale avrebbe fornito una versione dei fatti che contrastava con quella di altri testimoni. Accanto all'allora capitano dei carabinieri vennero ripresi due colleghi, uno non è stato identificato formalmente, l'altro è l'appuntato Maggi che successivamente portò la borsa, ricomparsa nell'auto di Borsellino, in Questura. Ma l'agenda dentro non c'era più.

Il giudice chiede poi ai magistrati di provare a ricostruire, sulla base dei filmati, gli orari precisi in cui Arcangioli venne ripreso con in mano la borsa, quando si allontanò da Via D'Amelio per accertare per quanto tempo la valigetta in cuoio restò nelle sue mani.
Infine il Gip Sferlazza chiede di fare luce sul perché Maggi fece una relazione di servizio sulla vicenda solo a dicembre del 1992, ed esclusivamente a seguito delle sollecitazioni del pm di Caltanissetta Fausto Cardella che indagava sulla strage.
Il procedimento a carico di Arcangioli è sospeso, come prevede la legge, in attesa che vengano definite le indagini nell'ambito delle quali il teste ha reso le dichiarazioni incriminate: e cioè l'ultima aperta a Caltanissetta sui mandanti occulti delle stragi e quella sul furto dell'agenda a carico di ignoti.

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25 luglio 2007
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