"Ero vergine, in tre mi hanno violentata"
Il terribile racconto di una giovane eritrea sopravvissuta al naufragio di Lampedusa
Molte delle donne eritree (forse quasi tutte), che si trovavano a bordo del barcone poi naufragato davanti alle coste di Lampedusa con 366 morti, prima di partire dalla Libia sono state violentate. Sono state le stesse vittime a raccontarlo agli investigatori.
Ecco il racconto di una di loro, contenuto nei verbali che hanno portato all'arresto del somalo considerato uno dei capi della "tratta" (LEGGI).
"Una sera dopo essere stata allontanata dal mio gruppo sono stata costretta con la forza, dal somalo (l'uomo arrestato perché accusato di essere uno dei capi della "tratta", ndr) e da due suoi uomini, ad andare fuori. Gli stessi dopo avermi buttata a terra e successivamente bloccata alle braccia e alla bocca mi hanno buttato in testa della benzina provocandomi un forte bruciore al cuoio capelluto, al viso e agli occhi. Successivamente, non contenti, i tre, a turno, hanno abusato di me". "Dopo circa un quarto d'ora e dopo essere stata picchiata - racconta ancora la giovane eritrea - sono stata riportata all'interno della stanza e lì ho raccontato ai miei compagni di viaggio ciò che mi era accaduto. Preciso che tutte e 20 le ragazze che sono state sequestrate sono state oggetto di violenza sessuale e che, nel compiere l'atto, i miei stupratori non hanno fatto uso di protezione, noncuranti della mia giovane età, in quanto ancora vergine".
Poi la stessa ragazza racconta agli inquirenti di Agrigento: "Un altro atto di violenza di cui sono stata testimone è quello subito da due ragazze mie connazionali. Infatti, dopo che le stesse con la forza, sono state portate fuori dal somalo e due suoi uomini con l'intento di abusare di loro sessualmente, al rientro, dopo circa un'ora abbiamo visto solo una delle due e la stessa alla nostra richiesta di informazioni ci riferiva che dopo essere state prese dalla casa sono state costrette a salire in un'auto per poi fermarsi in mezzo al deserto dove sono state violentate dai tre uomini, e che nell'atto della violenza carnale entrambe avevano provato a fuggire ma che lei era stata prontamente bloccata mentre non sapeva la fine che avesse fatto la sua compagna di sventura dicendo che probabilmente era stata raggiunta e uccisa senza l'uso di armi da fuoco. La ragazza tornata quella sera è stata una mia compagna di viaggio anche nella traversata del canale di Sicilia ma lei è morta nel naufragio".
"Nel luglio scorso, insieme ad altri miei compagni, all'incirca 130 di cui 20 donne, mentre eravamo in marcia nel deserto tra Sudan e Libia siamo stati fermati e costretti sotto minaccia di armi da fuoco a salire in alcuni furgoni e a piccoli gruppi condotti con la forza all'interno di una casa nella città di Sebha, da 50 uomini di origine somala e sudanese". "Eravamo costretti a stare in piedi per tutta la giornata e ci obbligavano a vedere i nostri compagni mentre venivano torturati con vari mezzi, tra cui manganelli, scariche elettriche alle piante dei piedi e nel peggiore dei casi, per chi si ribellava, venivano legati con una corda in modo che un minimo movimento creasse un principio di soffocamento".
E ancora: "I nostri sequestratori dopo avere chiesto riscatti che andavano dai 3.300 ai 3.500 dollari per ognuno di noi, ci hanno rinchiusi nella stanza per 10 giorni fino a quando i soldi da loro richiesti venivano accreditati sui conti bancari che fornivano ai nostri familiari".
Solo successivamente gli eritrei sono stati messi in libertà e accompagnati fino a Tripoli. Da lì il viaggio proseguiva fino alla tragica traversata del 3 ottobre.
[Informazioni tratte da Corriere del Mezzogiorno, ANSA, Lasiciliaweb.it]