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"Finché c'è speranza di trovare ancora qualcuno in vita, continuiamo"

Continuano le ricerche dei dispersi dell'ultimo naufragio nelle acque di Lampedusa

08 settembre 2012

Sono proseguite tutta la notte le ricerche dei dispersi del naufragio avvenuto la notte tra giovedì e venerdi notte al largo di Lampedusa (LEGGI). Gli uomini della Capitaneria di porto, dei Carabinieri e della Finanza hanno pattugliato tutta la notte l'area di mare in cui sono stati trovati 56 extracomunitari, vicino all'isolotto di Lampione, che hanno raccontato di essere scampati all'affondamento del barcone su cui viaggiavano. Giuseppe Cannarile, comandante della Guardia Costiera di Lampedusa, ha raccontato: "Recuperarli è stato difficilissimo perché non c'è una banchina vera e propria ed attraccare non è semplice". "Finora - ha continuato il comandante - abbiamo recuperato una sola vittima, un uomo". E le ricerche continuano. "Noi non ci fermiamo - ha assicurato l'ufficiale della Guardia Costiera - Finché c'è speranza di trovare ancora qualcuno in vita, continuiamo".
I migranti hanno riferito di essere partiti in 136. Uno solo il cadavere ripescato finora e mancherebbero, dunque, all'appello 79 persone, ma la dinamica dell'incidente per gli inquirenti non sarebbe chiara. Infatti, nessuna traccia è stata trovata dell'imbarcazione colata a picco, né sarebbe tornato a galla alcun corpo tranne quello recuperato: circostanze che fanno ipotizzare che gli extracomunitari soccorsi siano stati abbandonati dagli scafisti nei pressi di Lampione e abbiano poi chiamato i soccorsi.
Attualmente nelle ricerche, che dureranno tutta la giornata di oggi, sono impegnati due elicotteri, un aereo e cinque navi.

Intanto, il ministero degli Esteri della Tunisia ha confermato che tutti i migranti del barcone erano tunisini e che sarebbero partiti tre giorni fa dalle coste della provincia meridionale di Sfax. In un comunicato, il ministero assicura di "seguire la questione da vicino in coordinamento con le autorità italiane competenti, incaricando un membro del consolato tunisino a Palermo di recarsi a Lampedusa per sovrintendere alle operazioni di ricerca".

Secondo Amnesty International, questo ennesimo naufragio sottolinea drammaticamente, ancora una volta, le ragioni per cui i governi dell'Unione europea devono impegnarsi maggiormente nel soccorso e nell'assistenza alle persone che arrivano in condizioni disperate sulle loro coste.
Nel 2011, almeno 1500 persone avevano perso la vita cercando di raggiungere l'Europa - ricorda l'organizzazione - nella maggior parte dei casi via Lampedusa, nel corso di un massiccio flusso di richiedenti asilo e migranti dall'Africa del Nord e da altre zone. "Ancora una volta, le acque intorno alla piccola isola di Lampedusa sono state teatro di una tragedia, evidenziando come il numero delle persone che muoiono alle porte dell'Europa stia aumentando", ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee.


[Foto d'archivio]

La storia di Wafa - È l'unica donna sopravvissuta al naufragio avvenuto la notte scorsa al largo di Lampedusa. Ha 25 anni, è tunisina, si chiama Wafa e ha detto di essere incinta. Ma non può gioire per lo scampato pericolo: con lei c'era infatti anche il fratellino di cinque anni, che non figura nell'elenco dei superstiti. 
Un giallo, quello di quest'ennesimo viaggio della speranza finito male: non convince, infatti, il racconto degli extracomunitari soccorsi che hanno parlato del naufragio di un barcone - di cui non è stata trovata traccia però - colato a picco. Più probabile che gli occupanti siano stati abbandonati a poca distanza dalla costa dagli scafisti che poi hanno ripreso il mare. Ma Wafa, come gli altri compagni di viaggio, parla di un incidente, di un'imbarcazione fatiscente affondata, della paura e della morte di tanti compagni di viaggio: come il suo fratellino di 5 anni, annegato, secondo i racconti dei migranti, insieme ad altre 79 persone. "Siamo partiti dal porto di Sfax ieri mattina", ha spiegato agli operatori umanitari che l'hanno assistita subito dopo lo sbarco. Qualcuno l'ha anche riconosciuta visto che per lei si trattava del secondo "viaggio della speranza". Già l'anno scorso Wafa aveva infatti provato a raggiungere l'Italia. Allora non era stato il mare a fermarla, ma la legge. E, arrivata a Lampedusa, era stata rimpatriata. Ma la voglia di trovare una vita nuova in un nuovo Paese l'ha spinta a ripartire. Stavolta col fratellino, quel che restava della sua famiglia dopo la morte dei genitori. "In Tunisia facevo la parrucchiera - spiega - ma non guadagnavo abbastanza. Per questo ho deciso di tentare nuovamente la sorte insieme a mio fratello. Non abbiamo altri parenti, non potevo lasciarlo solo".

Con il viso tirato dalla stanchezza e gli occhi gonfi di pianto, Wafa ricostruisce i momenti terribili del naufragio, la tragedia del barcone affondato, le grida di terrore dalle decine di persone stipate su un legno fragile che aveva attraversato il mare. Wafa non sa nuotare. Come suo fratello. Lei ce l'ha fatta. Lui no. Lo racconta in lacrime, disperata per non essere riuscita ad afferrarlo e a portarlo con sè sugli scogli. "Era buio, ho cercato di tenerlo stretto ma poi l'ho perso di vista e il mare se l'è preso...". La giovane tunisina racconta che sul barcone c'erano altre due donne e un ragazzino di circa 17 anni. Anche loro sarebbero morti, ma altri testimoni parlano di nove donne e sei bambini dispersi.
Ora Wafa è al Poliambulatorio di Lampedusa: i medici la tengono sotto osservazione e stanno facendo accertamenti anche per controllare le condizioni del bambino che porta in grembo. "Sono incinta di due mesi", ha rivelato quando l'hanno fatta sbarcare a terra. Forse suo figlio riuscirà a nascere in Italia, quel paese che il fratellino di Wafa non è invece mai riuscito a raggiungere.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it]

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08 settembre 2012
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