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"Gheddafi deve andare via"

Mentre in Libia si continua a combattere, la comunità internazionale è d'accordo almeno su un punto: "Il paese deve appartenere al popolo"

30 marzo 2011

Le potenze occidentali, riunite ieri a Londra per parlare dell'operazione militare in Libia, hanno manifestato con chiarezza la linea della fermezza (i raid proseguiranno finché Gheddafi non avrà rispettato la risoluzione Onu), ma senza esplicitare la volontà di un cambio di regime. Nella Conferenza è tornato a profilarsi un contrasto tra l'asse anglo-francese e l'Italia, con il premier britannico Cameron e il ministro francese Juppè che non escludono la possibilità di armare direttamente i ribelli, mentre Frattini si impunta sulla necessità di un'autorizzazione tramite una nuova risoluzione Onu.
"La Francia è pronta a discutere con i suoi alleati la possibilità di fornire un aiuto militare ai ribelli in libia", ha detto il capo della diplomazia francese, Alain Juppè, sottolineando tuttavia che la cosa non è prevista dalla risoluzione dell'Onu. "Non è quello che prevede la risoluzione 1973, né la risoluzione 1970. Per il momento la Francia si attiene alla stretta applicazione della risoluzione. Siamo pronti a discuterne con i nostri partner", ha dichiarato il ministro.
"Lo sforzo per proteggere i civili deve continuare, vogliamo che i libici decidano del proprio futuro", ha detto invece il ministro degli Esteri britannico, William Hague. "Abbiamo deciso di istituire un gruppo di contatto per guidare i futuri sforzi politici", ha spiegato ancora Hague. Il primo ministro britannico, David Cameron, aprendo la conferenza, aveva sottolineato che "alla fine la soluzione dovrà essere politica". "Un nuovo inizio è alle porte, la Libia ha giorni migliori di fronte a sé".
La possibilità di armare l'opposizione libica non è esclusa dal presidente americano Barack Obama. Lo ha detto nel corso di un'intervista a NBC News. Quanto a Gheddafi, ha spiegato il leader della Casa Bianca nella stessa intervista "le nostre aspettative sono che se continuiamo ad esercitare una pressione costante, non solo militare". "Gheddafi alla fine si ritirerà" ha aggiunto Obama.

Ritornando a quanto è stato detto durante la Conferenza di Londra sulla crisi in Libia, il premier britannico Cameron ha invitato gli altri partecipanti a pensare al futuro, a quando i combattimenti saranno terminati, e ci sarà necessità di ricostruire il Paese.
Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton, la conferenza ha rappresentato "un punto di svolta" nella crisi libica. Quanto all'azione militare della coalizione, "continuerà fino a quando non sarà stata rispettata la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite". "Abbiamo impedito un massacro potenziale, imposto una no-fly zone, fermato l'avanzata di un esercito - ha detto il capo della diplomazia di Washington - Non è male per una settimana di lavoro e di intense consultazioni". La Clinton ha poi sottolineato la necessità di "lavorare insieme", al di là degli "sforzi militari", su "tre fronti": "l'assistenza umanitaria, le pressioni sul regime ed il sostegno alle aspirazioni del popolo per un cambiamento politico". L'obiettivo della coalizione internazionale che "dobbiamo continuare a perseguire" è quello di "una Libia che appartenga non ad un dittatore, ma al popolo", ha riaffermato la Clinton, ribadendo la convinzione più volte espressa dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama che "Gheddafi deve andare via".
Intervendo alla conferenza, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha sottolineato: "Abbiamo impedito una catastrofe umanitaria in Libia". Quindi ha poi fatto presente che continuano ad arrivare notizie "di violazioni dei diritti umani nel conflitto libico".

Sul possibile esilio di Gheddafi, opzione alla quale la comunità internazionale sta lavorando, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha voluto specificare che "un salvacondotto per il leader libico è un'ipotesi che non possiamo e non dobbiamo riconoscere, perché sarebbe una violazione delle regole della Corte penale internazionale". "E' indispensabile che ci siano Paesi disponibili ad accogliere Gheddafi e la sua famiglia", ha detto ancora Frattini, parlando di un possibile ruolo dell'Unione Africana. Quanto al 'gruppo di contatto', Frattini ha spiegato che ad aprile e maggio ci saranno due nuove riunioni. Si è decisa "l'istituzione di un Gruppo di contatto ristretto", dai 40 componenti di oggi a "non più di 12-14 e, su proposta del segretario di Stato americano Hillary Clinton, nei prossimi due mesi, ad aprile e maggio, ci saranno due riunioni, in Qatar e a Roma", ha detto il titolare della Farnesina.
Non concordano con la soluzione ipotizzata dall'Italia i ribelli che, invece, sostengono che il colonnello debba essere processato per crimini contro l'umanità. Lo ha ribadito Chamsiddin Abdulmula, portavoce del Consiglio nazionale (Cnt) ribelle libico, precisando che si tratta di una condizione "non negoziabile".
Proprio oggi il portavoce del presidente dell'Uganda, Yoweri Museveni, ha riferito l'emittente Al Arabiya, che il suo paese sarebbe pronto a dare asilo al Colonnello.

L'Unione Africana però a Londra era assente, mentre la Lega Araba, invece, è stata rappresentata non dal segretario generale, Amr Moussa, ma dal suo capo di gabinetto Hesham Youssef. A Londra erano poi presenti, oltre ai ministri degli Esteri o agli ambasciatori di una quarantina di Paesi, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, il segretario generale dell'Organizzazione della conferenza islamica, Ekmeleddin Ihsanoglu, e l'inviato dell'Onu in Libia, Mohamed al Khatib.
Mentre a Londra si svolgeva la conferenza, il governo libico ha inviato una lettera alle potenze internazionali per sollecitare la fine "della barbara offensiva". Lo ha reso noto la Bbc. Il colonnello, dal canto suo, al momento non molla. Muammar Gheddafi "non andrà in esilio, a meno che non sia assolutamente costretto a farlo", ha riferito una fonte vicina al leader libico in un'intervista alla Bbc. Allo stesso tempo, però, alcuni stretti collaboratori di Gheddafi si troverebbero in Ciad per preparare un possibile esilio. Lo riporta il quotidiano arabo al-Sharq al-Awsat che cita fonti vicine al regime di Tripoli.

In occasione della conferenza sul futuro della Libia, il Consiglio nazionale transitorio, creato dagli insorti libici, ha diffuso il suo manifesto in otto punti, in cui esprime la sua "visione per la ricostruzione di uno stato libico democratico", che "risponde ai desideri e alle aspirazioni del popolo". Il primo punto indicato nel documento, firmato dalla Commissione Affari politici e internazionali del Consiglio, prevede la stesura di "una Costituzione che definisca chiaramente la sua natura, la sua essenza e i suoi obiettivi e crei le istituzioni giuridiche, politiche, civili, legislative, esecutive e giudiziarie". Il secondo punto prevede la "formazione delle organizzazioni politiche e delle istituzioni civili, compresi i partiti politici". Nel terzo punto si enuncia la garanzia del "pluralismo intellettuale e politico" e nel quarto "il diritto di voto in elezioni parlamentari e presidenziali libere e giuste". Il quinto principio è il "rispetto della libertà di espressione dei media" e "la libertà di manifestare pacificamente", mentre il sesto riguarda "i forti valori religiosi della pace, della verità, della giustizia e dell'uguaglianza". Il settimo punto è dedicato alla "democrazia politica e ai valori della giustizia sociale", tra cui "l'uso dell'economia nazionale a beneficio del popolo", gli "investimenti nell'istruzione, nella ricerca e nello sviluppo", il "rispetto della dottrina religiosa e la condanna dell'intolleranza, dell'estremismo e della violenza". Infine, l'ottavo punto riguarda le relazioni internazionali della Libia, da costruire sui principi del "rispetto dei vicini", il "riconoscimento dell'indipendenza e della sovranità delle altre nazioni", il "rispetto del diritto umanitario internazionale e delle dichiarazioni dei diritti umani" e la condanna di ogni "razzismo, discriminazione e terrorismo".

Intanto in Libia i combattimenti non si fermano. Battuta d'arresto per gli insorti che ieri hanno riferito di essere stati costretti a fermare la loro avanzata verso Sirte dall'intenso fuoco di sbarramento dell'esercito di Gheddafi. "Siamo stati colpiti dalle forze di Gheddafi e siamo arretrati", ha detto un ufficiale ribelle, Hamad al-Awani, alla testa di un gruppo di combattenti che presidia ora Ben Jawad. Le forze fedeli al leader libico hanno utilizzato "razzi, granate e armi pesanti" per costringere gli insorti, che erano arrivati a qualche decina di chilometri da Sirte, alla ritirata in un'area in massima parte fedele al Rais.
Un testimone, poi, ha detto che a Misurata c'è stata una carneficina da parte delle forze di Gheddafi. Le forze fedeli a Gheddafi hanno ucciso almeno 142 persone e ne hanno ferite oltre 1.400 nel corso della loro offensiva contro gli insorti. Lo hanno rivelato fonti mediche dell'ospedale cittadino. "Dal 18 marzo scorso, abbiamo ricevuto in ospedale 142 morti", ha indicato un medico, che ha chiesto l'anonimato. "Non riusciamo più a contare i feriti. Ma hanno superato la cifra di 1.400, di cui 90 gravi", ha aggiunto.
Ieri la tv libica ha mostrato immagini di Khamis, il figlio di Gheddafi dato per morto nei combattimenti da alcune fonti. Khamis, al comando di una brigata d'elite dell'esercito libico, è stato ripreso dalla tv mentre salutava la folla nei pressi di Bab al Azizia, la caserma-bunker del padre a Tripoli. In campo è scesa anche Aisha Gheddafi, la bella e bionda figlia del Colonnello, che è stata fotografata insieme ai militari di Tripoli, per esprimere il suo sostegno alla lotta contro i ribelli. Gheddafi spera così che la sua unica figlia femmina, soprannominata la 'Claudia Schiffer del deserto' per la sua avvenenza, possa risollevare il morale delle truppe in un momento in cui i raid della Coalizione internazionale si fanno sempre più pesanti.
Oggi, secondo la Bbc, i ribelli libici impegnati contro le truppe di Gheddafi hanno riconquistato Ras Lanuf, porto petrolifero chiave nella ridistribuzione dei poteri in Libia. Questa mattina Al Arabiya aveva invece diffuso la notizia che le brigate del Colonnello avevano ripreso il controllo della cittadina a 220 chilometri da Sirte e a 360 chilometri da Bengasi. Mentre dai microfoni di Al Jazeera, i rivoltosi hanno spiegato: ''Abbiamo deciso di effettuare una ritirata per motivi tattici dalla città di Ras Lanuf, lungo la via che porta a Brega". "Abbiamo deciso di posizionarci in questa zona - ha affermato - per creare difficoltà alla linea di rifornimento delle brigate di Muammar Gheddafi, costringendole a esporsi ai raid aerei alleati, per poi riprendere l'offensiva".
Sempre secondo quanto riferisce la Bbc, inoltre, la Coalizione dei volenterosi ha lanciato nuovi raid aerei vicino a Uqaylah, nell'est del Paese. La città si trova tra Ras Lanuf e Brega. L'agenzia di stato libica Jana ha annunciato, poi, che i caccia della Coalizione internazionale hanno bombardato una fabbrica di materie plastiche nella città di Surman, a ovest di Tripoli.

Incriminata la donna che ha accusato le truppe di Gheddafi di stupro - Da accusatrice ad accusata. Iman al-Obeidi, la donna libica che è stata arrestata dopo aver denunciato di aver subito violenza sessuale da parte delle truppe di Muammar Gheddafi ai giornalisti stranieri riuniti al Rixos Hotel di Tripoli, è stata ora incriminata dal governo di Tripoli. In una conferenza stampa, ieri un portavoce del governo libico ha detto che la Obeidi è stata interrogata dalla polizia nonostante la promessa che sarebbe stata riconsegnata alla famiglia. "L'accusatrice è adesso diventata l'accusata", ha aggiunto il funzionario di Tripoli. Al momento non sono chiari i capi di imputazione contro la donna. La Obeidi è stata presa in custodia dopo che sabato aveva fatto irruzione nel Rixos Hotel a Tripoli in uno stato confusionale e disperato. E' stata portata via da funzionari libici e da quel momento non è più apparsa in pubblico. Il governo di Tripoli ha poi promesso che i giornalisti stranieri potranno parlare con lei.
I suoi familiari l'altro ieri sera hanno denunciato che la donna è stata presa in ostaggio nel bunker di Muammar Gheddafi a Bab Al-Aziziya. I genitori della Obeidi sono stati intervistati da Al Jazeera dopo che il governo libico aveva annunciato il suo rilascio. Alla tv qatariota, i due hanno svelato che funzionari di governo avevano chiesto loro di dire alla figlia di ritirare le accuse in cambio del ritorno in libertà e di una ricompensa in denaro per la famiglia. "Ho detto a mia figlia di non dire niente", ha detto la madre tra le lacrime. I genitori della Obeidi hanno poi negato che la figlia sia una prostituta, come dichiarato da funzionari di governo, sostenendo invece che è un avvocato. "Non mi vergogno di lei, resto a testa alta", ha aggiunto la madre. Normalmente alle vittime di stupri viene garantito automaticamente l'anonimato, a meno che non siano loro a voler essere citate esplicitamente. La madre ha detto che sua figlia "ha rotto la barriera che nessun altro uomo può rompere", uscendo allo scoperto per parlare della violenza sessuale subita. Tenendo una bandiera del Consiglio transitorio dell'opposizione libica sulle spalle, la donna ha detto che sua figlia è "un ostaggio, presa dai tiranni".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Repubblica.it, Corriere.it]

 

 

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30 marzo 2011
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