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''Girato a Palermo''. 10 videoracconti dedicati a Palermo - Gli artisti e i loro videoracconti

11 settembre 2006

In ''The Dark Horse of the Festival Year'', Elisabetta Benassi (Roma, 1966) documenta una performance realizzata in due luoghi emblematici della città, situati simbolicamente al centro ed in periferia, nel cuore e sul bordo di Palermo: Casa Professa, nel quartiere popolare di Ballarò, e Villa Pantelleria. Benassi fa realizzare da esperti fuochisti locali dei fuochi artificiali bianchi, che poi applica nella parte posteriore di una bicicletta. Quindi, di notte, monta sul sellino e inizia il suo magico percorso su due ruote: la telecamera riprende la corsa mentre le luci dei razzi che s'accendono restituiscono l'effetto di una coda infuocata, come una stella cometa che illumina e disvela, per il breve tempo dell'esplosione, le rovine architettoniche inghiottite dal buio.

In ''Due Palermo, uno sguardo'' Gea Casolaro (Roma, 1965) sovrappone - idealmente nella sua memoria e visivamente nell'opera presentata - le riprese video di alcuni edifici di Palermo e le foto di fabbricati simili, scattate da lei stessa a Buenos Aires, tempo addietro.
L'immagine statica delle foto emerge poco a poco, mentre quella viva e vivida del video continua a scorrere. Il processo di ibridazione giungerà poi al suo culmine quando il palazzo argentino si sarà totalmente sostituito a quello palermitano. Un lavoro sull'incertezza della visione, sulla relatività delle cose, sulla soggettività dei ricordi. Un'indagine intorno ai meccanismi percettivi di uno sguardo estraneo che confonde i dati del reale, consegnandoci a un inspiegabile smarrimento.

In linea con le sue più recenti ricerche, Paolo Chiasera (Bologna 1978) sceglie di focalizzare la propria attenzione su uno dei simboli iconografici della città, il ''Trionfo della Morte'' custodito a Palazzo Abatellis. In ''Salvo'' indaga così il processo di rielaborazione di un mito collettivo, e lo fa attraverso una breve storia che ha per protagonista un bambino e la sua percezione dell'incredibile dipinto. Il piccolo Salvo si lascia trasportare da un flusso di evocazioni fantastiche intrise di leggende popolari, mentre si avvia verso una bancarella che vende le classiche ''stigghiole'' palermitane, budella arrostite di agnello. Scatta un gioco di corrispondenze che dal rituale culinario folcloristico, conduce a un immaginario da cinema splatter di serie B e ritorna poi alla rappresentazione delle viscere dei combattenti nel Trionfo della Morte.

Si chiama ''H is for Home'' il video di Ra di Martino (Roma, 1975), il cui titolo trae spunto dal film di Peter Greenaway ''H is for House''. ''Home'' come luogo più intimo e affettivo, rispetto al senso più generico di ''house''. Un modo per aggirare o ribaltare la provocazione lanciata dalla mostra, che invitava invece gli artisti ad osservare la città con ''occhi stranieri''. Di Martino ha disegnato una H immaginaria sulla mappa di Palermo, cercando di restituire quella strana condizione di chi, appena arrivato in un luogo sconosciuto, tende a farsene un'impressione immediata ed emotiva, creandosi una personale mappa mentale con cui orientarsi.
Il video cerca di filmare la città - con riprese in soggettiva - seguendo solo le tre linee che compongono la lettera-mappa: una forzatura, un viaggio limitato che corre lungo binari arbitrari ma assolutamente privati.

Attitudine sociale per il lavoro di Marcello Maloberti (Codogno, Lodi, 1966), dal titolo ''Ismael''. Protagonista è un immigrato della Costa d'Avorio che come molti '''extracomunitari'' stenta ad integrarsi con un ambiente a lui estraneo, vivendo una condizione di marginalità spesso pesante da sostenere.
Ismael viene ripreso mentre esegue una verticale, misurando la sua resistenza fisica contro un cartello segnaletico posto sullo spartitraffico, in corrispondenza di un raccordo della circonvallazione. La scritta che campeggia sul cartello - ''Palermo Città per la Pace'' - innesca una serie di associazioni simboliche, connesse alla storia e alla realtà dell'uomo. Una storia fatta di ''resistenza'' al disagio, in una società multirazziale che insegue una pace tra i popoli mai davvero raggiunta.

Ottonella Mocellin (Milano 1966) e Nicola Pellegrini (Milano 1962) ne ''La città negata'' mettono in scena una favola emozionale e ipnotica, ricostruendo la storia di Santo e Peppino, due amici ciechi dalla nascita. Raccontando di sé, i due percorrono la città guidandoci attraverso i rumori, le sensazioni tattili, gli odori di una Palermo magica, dai contorni sfumati, percepita con ogni centimetro del corpo: l'immersione onirica in fondo a una sensorialità intensa induce a inedite forme di comprensione del mondo. Un universo di sogni custoditi in silenzio si dilata sommessamente, trasportato da una immaginazione priva di memorie visive. Mentre la necessità del limite fisico si rivela come possibilità ''differente'' di ascolto, di narrazione, di viaggio.

Adrian Paci (Shkoder - Albania, 1969) ritaglia un piccolo scorcio di vita palermitana e da qui parte per condurre un'indagine sulla memoria, sui rituali affettivi del quotidiano e insieme sulla loro relazione con l'occhio assoluto della telecamera. La macchina-video diventa condizione di una visione a sé, filtro attraverso cui leggere la scena, a sua volta letta da un altro occhio che inquadra e registra.
In ''Un bacio a Palermo'' Paci osserva un operatore che filma una coppia di giovani sposi, in posa davanti l'obbiettivo, immortalati in un bacio che ha per sfondo un angolo popolare e decadente di Palermo, vicino Piazza Magione. La mente dell'artista ritrova nella scena un sapore familiare e sovrappone a questo frammento spiato il ricordo di umori e atmosfere della sua terra d'origine, l'Albania.

Sacro e profano si intrecciano con leggerezza nel video di Diego Perrone (Asti, 1970), ''Italia Stati Uniti, mondiali 2006, appunti per un documentario su Palermo''. Durante un sopralluogo nei pressi del mercato popolare di Sant'Agostino, Perrone viene attratto da un'esplosione di urla che fende la piazza a ripetizione. Seguendo la strana traccia uditiva, si ritrova così all'interno di una chiesa sconsacrata. Le voci sono quelle dei tifosi, trepidanti e rapiti da una partita di calcio dei mondiali, proiettata sul grande schermo che ha preso il posto dell'altare. Dalla religione ai mass media, dalla fede nel santo protettore a quella per la squadra di calcio: una anomala situazione conduce a riflessioni taglienti. Il ritmo del video è ipnotico, i movimenti lenti, come se ci trovassimo di fronte ad un miraggio. La scena si chiude con una ripresa panoramica della Chiesa vuota, una perlustrazione silenziosa che attraversa lo spazio dopo il compimento del rito. Uno sguardo meditativo e sospeso, che disorienta ulteriormente lo spettatore.

Poetico e sottile il lavoro di Robert Pettena (Penbury - UK, 1970), ''Palazzo Steri 1663'', un progetto a metà tra esperimento d'arte relazionale, intervento urbano e video. L'artista unisce con un filo immaginario il presente, registrato dalla telecamera, e il passato, evocato da parole riportate a galla in seguito a un recente ritrovamento storico avvenuto a Palermo. Con un balzo temporale spericolato Pettena opera una sovrapposizione tra l'oggi - le strade, i passanti, il caos metropolitano - e la storia sepolta della città: Cauru e fridu sintu ca mi pigla/la terzuru tremu li vudella/lu cori e l'alma s'assuttigla è una frase incisa sui muri di Palazzo Steri, nel Seicento sede del carcere dell'Inquisizione. A scriverla, più di tre secoli fa, è una donna accusata di stregoneria, che attende di essere giustiziata. Pettena preleva questa disperata memoria, sopravvissuta al logorio del tempo, e la riproduce su una pellicola adesiva trasparente, con un lettering moderno. Quindi appiccica il suo grande sticker sulle vetrine di alcuni negozi della città, per poi filmare le reazioni della gente: l'indifferenza, la sorpresa, il ricordo ridesto o l'estraneità...

Jacopo Tartarone (Milano, 1974) utilizza una raffinata tecnica digitale - di solito impiegata per i suoi spot pubblicitari - in questo video visionario che da vita a una inaspettata sovrapposizione temporale, storica, culturale, iconografica. ''Totem'' svela una Palermo impossibile, inquadrata dall'alto. Sullo sfondo si stagliano due blocchi monolitici, un chiaro rimando alle Twin Towers e all'11 settembre.
Le due torri emergono algide al centro di una Palermo barocca e modernissima, dando vita a un cortocircuito simbolico che sovrappone il fantasma del vecchio sky line newyorkese alla realtà di quello palermitano, attuale e lontanissimo. Lo scontro e l'incontro tra culture, razze, geografie, epoche storiche, si condensa cosi' in questo scenario provocatorio e surreale.

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11 settembre 2006
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