"Il divario tra Nord e Sud è colpa della classe dirigente meridionale"
Invan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, attacca i dirigenti del Sud, responsabili del divario con il Nord
"Sono le classi dirigenti meridionali ad avere la maggiore responsabilità della spaccatura economica e sociale del Paese". Non ha usato eufemismi il leader di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, intervenendo a margine di un incontro sui 150 anni dell'Unità d'Italia organizzato alla Camera di Commercio di Palermo.
"È inutile dare la colpa ai governi nazionali - ha aggiunto - la responsabilità di questi divari è della classe dirigente meridionale, coinvolta a livello politico e imprenditoriale". Per Lo Bello "c'è ancora un pezzo di imprese che ha nostalgia del passato e dell'assistenzialismo, ma così non si va avanti, non ci sono più soldi, l'unica scelta che la Sicilia deve fare è puntare al mercato".
"Tutta l'Italia oggi è divisa sotto il profilo economico e sociale - ha concluso - ma il sentimento nazionale è forte nel Paese, lo hanno dimostrato le grandi folle che hanno accolto Napolitano nel tour per i 150 anni dell'Unità d'Italia".
Nel corso dello stesso incontro il sociologo Carlo Trigilia, dell’Università di Firenze, ha sottolineato che "al Sud c'è il 36% della popolazione nazionale, ma il contributo alla produzione è solo un quarto del valore del prodotto interno lordo italiano, con ritmi che somigliano a quelli del 1951. Per di più, le regioni meridionali hanno usufruito per anni degli aiuti europei" ha aggiunto lo studioso, "ma mentre le aree deboli sono cresciute in Europa del 3% annuo nell’ultimo decennio, il Sud è fermo allo 0,3". Altri dati diffusi da Trigilia evidenziano che "la spesa pubblica pro capite è più bassa, ma la sua incidenza sul Pil delle regioni meridionali è molto più alta: la spesa del settore pubblico allargato sul Pil è di oltre 15 punti percentuali superiore a quella del Centro-Nord. Il Mezzogiorno, inoltre, è ancora il luogo con il più alto tasso di abbandono scolastico e dove sono ancora bassi i livelli di apprendimento". Per Trigilia "continuare con i contributi secchi a operatori individuali non porta a niente perché non producono innovazione o compensano l’assenza di infrastrutture, ma anzi alimentano una cultura della dipendenza che condiziona anche la politica: è talmente radicata la consuetudine di distribuire favori, anziché beni collettivi che - conclude il sociologo - se anche ci fossero dei soggetti politici in grado di rompere questo condizionamento, ciò non sarebbe comunque possibile".
Parole e analisi proferite in un incontro, organizzato dalla fondazione Symbola e da Unioncamere, con lo scopo di individuare i punti di forza dell'economia italiana e premiare il contributo delle Camere di Commercio del Sud già attive dai primi anni dell'Unità d'Italia. L'iniziativa "Italia 150, le radici del futuro", che si è tenuta ieri, è stata la terza tappa di un percorso che si concluderà l'8 giugno a Roma, dove verranno premiate 150 imprese italiane che hanno fatto la storia del nostro Paese.
"Bisogna guardare alle nostre diversità come a delle complementarità - ha detto Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere - Ora più come mai al Paese occorre una politica di coesione e, dove occorre, di sussidiarietà. Se continuiamo a dividerci in regionalismi e campanilismi non valorizziamo le potenzialità del territorio e le sfide lanciate dall'area del Mediterraneo".
"È fondamentale investire in qualità, innovazione, conoscenza. L'Italia deve scommettere sulle cose che l'hanno resa forte nella tradizione", ha dichiarato Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola.
Secondo il presidente della Camera di Commercio di Palermo, Roberto Helg, "il collante è trovare dei motivi di rilancio nella celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia che siano motivi di forte aggregazione nazionale, noi siamo l'istituzione economica di tutti e solo lavorando insieme si ottengono dei risultati".
[Informazioni tratte da Ansa, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno]