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"Il Ros non voleva catturare Provenzano"

Processo Mori: Mori e Obinu, pur essendo informati sulla presenza del boss in un edificio nei pressi di Mezzojuso (PA), non sarebbero intervenuti

06 aprile 2013

Dalle relazioni di servizio del colonnello Michele Riccio emerge, secondo il pm Nino Di Matteo che ieri mattina ha proseguito la requisitoria nel processo ai carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu per favoreggiamento alla mafia, "la volontà degli imputati di proteggere la latitanza del capomafia Bernardo Provenzano in esecuzione di pregressi accordi con istituzioni che in quel momento garantivano l'abbandono della strategia stragista". Secondo l'accusa, Mori e Obinu, pur essendo informati da Riccio (che otteneva le informazioni dal confidente Luigi Ilardo) sulla presenza del boss in un edificio nei pressi di Mezzojuso (Palermo), non sarebbero intervenuti. Questo secondo gli inquirenti è uno dei tasselli che compongono la trattativa Stato-mafia.

Il pm ha letto in aula alcune dichiarazioni di Riccio "che ha subito indicato - ha detto Di Matteo - al colonnello Mori quale era il casolare di Mezzojuso e le indicazioni per arrivarci che erano molto semplici. Nelle relazioni di servizio di Riccio tutto questo è indicato con precisione. In quella del 31 ottobre 2005 (il giorno del fallito blitz), scritta il 2 novembre, Riccio descrive tutte le informazioni, precise sia sui luoghi che sulle persone, che potevano servire ai militari per catturare il latitante".
"In modo non plausibile e del tutto maldestro, Mori ha cercato di minimizzare le informazioni che provenivano da Riccio e ha cercato di far credere che fatti di estrema importanza non fossero tali per un colonnello, come ha detto l'imputato in quest'aula, che non si può mettere a fare il maresciallo". Così Di Matteo ha definito la difesa del generale Mori dall'accusa di favoreggiamento alla mafia e le sue giustificazioni per il mancato arresto del latitante Bernardo Provenzano il 31 ottobre 2005. "Si può ritenere che l'indicazione del luogo dove si nascondeva Provenzano è una notizia come tante altre? - ha proseguito il pm - Le dichiarazioni di Mori sono sprezzanti della logica, ancor più che della verità. Ha cercato di arrampicarsi sugli specchi per sfuggire alle accuse".

Il silenzio "omertoso" del Ros dei carabinieri, che avrebbe taciuto alla Procura, contrariamente a quanto stabilito dall'allora capo dei pm Giancarlo Caselli, quanto appreso sulla latitanza del boss Bernardo Provenzano dal confidente Luigi Ilardo, è stato al centro della seconda parte della requisitoria del pm Nino Di Matteo al processo a due ex vertici del raggruppamento speciale dell'Arma. Di Matteo ha anche ricordato le dichiarazioni di due pentiti: Ciro Vara e Nino Giuffrè che hanno ribadito in più occasioni che, dopo il mancato blitz che avrebbe dovuto portare alla cattura del capomafia a Mezzojuso, nel palermitano, episodio per il quale i due ufficiali sono finiti sotto processo, il padrino rimase indisturbato nello stesso luogo e con le stesse persone per oltre 5 anni.

Fu solo dopo la cattura di un altro boss, Benedetto Spera, arrestato in un casolare a pochi metri dal nascondiglio di Provenzano, il 31 gennaio del 2000, che il capomafia decise di spostarsi da Mezzojuso. "E ciò - ha spiegato Di Matteo - solo perché si era reso conto che era saltato il sistema. Che in un contesto investigativo gestito fino ad allora solo dai carabinieri aveva fatto irruzione la polizia riuscita in un mese a catturare Spera e ad arrivare ad un passo da Provenzano".
Dolosamente, dunque, secondo il magistrato, il Ros non informò la Procura delle dritte ricevute dal confidente, che poi fu assassinato: ciò rientrava, per l'accusa, in quella sorta di accordo che il boss avrebbe stretto con il Ros nell'ambito della trattativa che pezzi delle istituzioni avrebbero siglato con Cosa nostra "In quel momento - ha aggiunto - anche su ordine di altri il Ros non voleva catturare Provenzano". [Fonte: Corriere del Mezzogiorno]

 

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06 aprile 2013
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