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"Il Ros non volle catturare Provenzano"

La "strategia dell'inerzia". Nel processo al generale Mori il pm Di Matteo parla di "plurime omissioni" nella caccia dei carabinieri al boss latitante

02 maggio 2013

Dietro la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano ci sarebbe stata una strategia ben precisa dei carabinieri del Ros fatta di "omissioni plurime", di inerzia investigativa. Perché il padrino di Corleone doveva restare libero in nome della trattativa che la mafia strinse con pezzi dello Stato dopo la strage di Capaci. Provenzano, dunque, non si prese per anni, perchè i carabinieri non volevano prenderlo.
Non ci fu nessuna difficoltà tecnica.

Il pm Nino Di Matteo lo ha ribadito ancora una volta ai giudici palermitani che proprio per la mancata cattura del capomafia processano due ex vertici del raggruppamento speciale, il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu. Arrivati a un passo dal padrino, nell'ottobre del 1995, grazie al confidente Luigi Ilardo, non intervennero, consentendo al boss di protrarre la latitanza fino al 2006. E non, ha sostenuto il magistrato nella terza udienza dedicata alla requisitoria, per esigenze investigative o difficoltà tecniche, ma per una scelta precisa. La stessa che avrebbe portato il Ros a lasciarsi sfuggire un altro mafioso d'hoc, il catanese Nitto Santapaola. Stesso copione, secondo l'accusa, andato in scena per il mancato blitz di Mezzojuso per il quale Mori e Subranni sono finiti sotto processo. Ad aprile del 1994 i carabinieri erano ad un passo dal capomafia catanese: ne registrarono la voce, grazie a una microspia. Sapevano che si nascondeva nelle zona di Barcellona Pozzo di Gotto. Ascoltando le sue conversazioni seppero anche che di lì a poco si sarebbe spostato in bici.

"Quale migliore occasione per catturarlo?", si chiede il pm. E invece, Mori fu avvertito, ma nessuno entrò in azione. Anzi, secondo la ricostruzione di Di Matteo, due uomini del Ros, Sergio De Caprio, il celebre capitano Ultimo, l'ufficiale che prese Totò Riina e il braccio destro di Mori, Giuseppe De Donno, avrebbero dolosamente organizzato una sparatoria, sostenendo di avere individuato un sospetto e fatto fuoco per legittima difesa, per indurre Santapola a capire che la zona non era più sicura.

Anche l'episodio che riguarda Santapaola, mafioso di fede provenzaniana, rientrerebbe in una trama più complessa, quella della trattativa per cui la Procura ha ottenuto il rinvio a giudizio, in un procedimento separato, dello stesso Mori, di De Donno, di capimafia, pentiti, di Massimo Ciancimino e di una serie di politici tra i quali l'ex ministro Calogero Mannino. Ed è di Mannino che il pm ha parlato nell'ultima parte del suo intervento, ricostruendo i timori del potente politico Dc dopo l'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima che inaugurò la strategia stragista finalizzata a destabilizzare lo Stato.
Mannino, certo di essere nel mirino della mafia - più allarmi erano stati lanciati in questo senso in diverse sedi istituzionali - avrebbe contattato l'allora capo del Ros Antonio Subranni (altro imputato nel processo sulla trattativa). Da lì sarebbero partiti i contatti del Ros con Vito Ciancimino, ex sindaco palermitano legato a filo doppio a Provenzano. Allora lo Stato avrebbe stretto il patto con Cosa nostra.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it]

- "Il Ros non voleva catturare Provenzano" (Guidasicilia.it, 06/04/13)

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02 maggio 2013
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