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"In my country i have some difficulties in this moment..."

Silvio Berlusconi confida le sue difficoltà a Seul ma di dimettersi non ne vuole sapere

12 novembre 2010

Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, le sue difficoltà è andato a confidarle dall'altra parte del globo, a Seul. "Nel mio paese in questo momento ho qualche difficoltà", ha detto Berlusconi, parlando in inglese, al primo ministro vietnamita Nguyen Tan Dung, nelle primissime battute dell'incontro bilaterale a margine del vertice del G20 in Corea del Sud.
Il Cavaliere, hanno racconto i cronisti presenti, ha avuto uno scambio di battute con il primo ministro della Repubblica socialista del Vietnam prima dell'arrivo dell'interprete. Il capo del governo italiano si è rivolto in inglese al suo interlocutore chiedendogli come stesse. Ottenuta la risposta, di rimando Berlusconi ha detto: "In my country I have some difficulties in this moment...".
Difficoltà che erano state in qualche modo certificate nei giorni scorsi anche dal sottosegretario Gianni Letta, che aveva parlato di "prospettive che si stanno restringendo" per l'esecutivo. Ieri lo stesso Letta ha voluto però ridimensionare la portata delle sue parole: "Quella di ieri era una battuta".

In Italia il dibattito sul futuro del governo e sulla tenuta dell'attuale maggioranza sembra oramai arrivato alle ultime battute. L'incontro di ieri tanto atteso tra il leader leghista Umberto Bossi e quello di Futuro e Libertà, Gianfranco Fini, si è risolto con un nulla di fatto. A confermarlo è il coordinatore di Fli, Adolfo Urso, che ha avuto un colloquio con il presidente della Camera subito dopo il vertice con la delegazione della Lega. "Aspetteremo il rientro del presidente del Consiglio dal G20 di Seul e poi ritireremo la delegazione di governo", ha confermato Urso definendo l'incontro tra Fini e Bossi "interlocutorio" ma ribadendo che Fli "ha fatto delle proposte chiare": nuovo programma, nuova maggioranza e nuovo governo.
Guidato da chi? Proprio su questo si sarebbe bloccata la mediazione del Senatur. La Lega infatti avrebbe ribadito che ogni soluzione dovrà passare attraverso la riconferma della premiership di Silvio Berlusconi. Elemento sul quale è stata registrata la distanza con Futuro e libertà. Il presidente della Camera ha ripetuto al leader della Lega le stesse posizioni espresse a Perugia. E la reazione di Bossi non lascia spazio all'ottimismo, tanto che Giorgio Conte (Fli) ha sintetizzato così: "Nulla è cambiato".
Gli uomini di Fini, ha spiegato ancora Urso, restano in attesa di "risposte chiare da Berlusconi che ancora non ha parlato". "Se non dovessero arrivare, a questo punto - ha sottolineato il viceministro - per correttezza istituzionale aspetteremo il rientro del presidente del Consiglio dal G20 di Seul e poi ritireremo la delegazione di governo".
Il ritiro degli uomini di Futuro e Libertà dal governo era stato preannunciato da Fabio Granata: "Probabilmente subito dopo l'incontro tra Fini e Bossi, se non succede nulla di nuovo, e non succederà nulla di nuovo, ritireremo la delegazione al governo".

Nonostante la fumata nera sortita dalla tentata mediazione di Umberto Bossi, il Senatur si è comunque mostrato ottimista - "lo spazio per una trattativa per non andare a una crisi al buio c'è ancora" -. A chiudere definitivamente la partita è dal G20 di Seul direttamente Silvio Berlusconi che, hanno fatto sapere, non farà alcuna marcia indietro, andrà avanti fino in fondo. Insomma, non molla e nei contatti telefonici sull'asse Seul-Roma ha affidato ai suoi parlamentari un messaggio preciso per Gianfranco Fini: se lo scordi, io non mi dimetto, vogliono farmi fuori, ma resto al mio posto.
Berlusconi, hanno riferito fonti del Pdl che lo hanno sentito dopo l'incontro tra Fini e Bossi, non darà il pretesto ai finiani di staccare la spina senza 'sporcarsi le mani' e avrebbe ribadito che non ci sono alternative a questo governo. Se Fini vuole rompere, lo faccia in Parlamento, si assuma la responsabilità davanti a tutti, alla luce del sole e poi si va al voto, avrebbe ribadito il presidente del Consiglio, spiegando che di fronte al ritiro della delegazione di Fli lui tirerà dritto. "Una volta che mi ha sfiduciato - sarebbe stato il ragionamento del premier - spiegherò in campagna elettorale alla gente chi ha voluto aprire la crisi e mettere l'Italia a repentaglio".

Nel Pdl si respira un'aria da 'muoia Sansone con tutti i filistei' e le varie anime del partito sono d'accordo su un punto: niente crisi pilotate, troppi rischi per il nostro leader, non ci fidiamo di Fini. Sarebbe un salto nel buio. Una preoccupazione emersa anche nel vertice del Pdl a Montecitorio.
Dopo il faccia a faccia con il leader di Fli, Bossi si era mostrato fiducioso per una soluzione che prevedesse "una crisi pilotata" giudicata dal leader leghista "meglio che una crisi al buio". Insomma secondo Bossi il premier avrebbe potuto rimettere il mandato solo a patto, però, di un "reincarico", un 'Berlusconi bis'. Mentre aveva escluso qualsiasi ruolo dei centristi di Casini nella gestione della crisi: "L'Udc vada al mare...", aveva risposto accompagnando la frase con un gesto. Ma a frenare l'entusiasmo di Bossi era arrivato lo stesso Fini: "Le cose - avrebbe commentato con i suoi il presidente della Camera - sono molto più complicate di come le presenta Bossi".
Intanto il ministro dell'Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi, prima del colloquio Fini-Bossi aveva rivolto un appello dierettamente al premier consigliandogli di chiamare Bersani e concordare un percorso verso il voto. "Tutti siamo pronti all'alleanza con l'Udc - ha affermato Rotondi - ma davanti agli elettori trovo surreale che l'unico Dc del governo debba ricordare ad amici e oppositori che dal 1994 in Italia c'è il maggioritario e il bipolarismo. Non è accettabile che una legislatura iniziata sulla sfida tra i due partiti a vocazione maggioritaria si concluda con un quadripartito doroteo al governo e un'opposizione divisa e disperata. Berlusconi - ha aggiunto - non accetti pasticci, alzi il telefono, chiami Bersani e concordi con lui un'approvazione della Finanziaria e un percorso per restituire la parola agli elettori. Se cediamo al pantano, tanto vale ripristinare la legge elettorale del '46 e dire che per quasi venti anni abbiamo scherzato".

Intanto il "più amato dai siciliani" diventa Gianfranco Fini... - Con l'eccezione del Presidente Napolitano, Gianfranco Fini - grazie ad una fiducia trasversale agli schieramenti politici - con il 49% è il leader politico oggi più stimato in Sicilia. E' uno dei dati più significativi che emerge da un'indagine condotta dall'Istituto Nazionale di Ricerche Demopolis dopo il discorso a Perugia del Presidente della Camera, che ha di fatto sancito, in modo irreversibile, il divorzio tra Fini e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Un consenso che riguarda sopratutto chi in passato ha votato per il Centro Sinistra (il 58% degli elettori del Pd); meno invece chi, alle Politiche del 2008, aveva votato per il Pdl. Appena il 33% di quell'elettorato siciliano di Centro Destra si fida oggi del Presidente della Camera. "La fiducia personale - afferma il direttore dell'Istituto Demopolis Pietro Vento - è ovviamente cosa diversa dal consenso elettorale, soprattutto in uno scenario dai confini incerti. Nell'ipotesi di un ritorno anticipato alle urne il nuovo partito del Presidente della Camera otterrebbe oggi in Italia un consenso che sfiora l'8%. Un dato che - secondo il Barometro Politico dell'Istituto Demopolis - cresce al 12% in Sicilia (circa 350 mila voti): quattro punti sopra la media nazionale".
Due milioni e 800 mila voti, secondo l'analisi di Demopolis, sono il bacino nazionale odierno di Fini: uno spazio composito e trasversale, che incrocia segmenti di diverse aree politiche, prevalentemente di Centro Destra, ma non solo. Interessante appare la stima Demopolis sulla provenienza del consenso al nascente partito di Fini rispetto alle scelte compiute dagli elettori alle Politiche dell'aprile 2008. Il 60% di quanti oggi sceglierebbero Futuro e Libertà aveva in precedenza votato per il Pdl (quasi un milione e 700 mila elettori). Il 7% aveva invece preferito l'Udc di Casini; il 6% l'IdV di Di Pietro, il 12% il Partito Democratico; il 4% altri partiti. Il resto, stimabile intorno all'11%, non si era recato alle urne. In sintesi, dunque, quasi due terzi del consenso verrebbero sottratti agli alleati di Centro Destra; un segmento sarebbe recuperato dall'astensione. Un quarto degli elettori odierni attratti da Fini avevano scelto nel 2008 l'UDC o il Centro Sinistra.
L'indagine è stata condotta dall'Istituto Demòpolis su un campione di 1.006 intervistati, rappresentativo dell'universo della popolazione maggiorenne.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

 

 

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12 novembre 2010
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