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"La Chiesa pagherà l'Ici"

Il governo ha deciso e dal 1 gennaio 2013 scatterà l'obbligo di pagamento. Ma i Salesiani non ci stanno

25 febbraio 2012

Da governo tecnico, l'esecutivo Monti ha l'obbligo del fare "senza guardare in faccia nessuno", e come annunciato, ha messo mano all'Imu (ex Ici) per gli immobili della Chiesa destinati ad attività commerciali. Il consiglio dei ministri ha infatti approvato un emendamento al decreto liberalizzazioni attualmente all'esame del Senato che dovrebbe sciogliere il nodo della procedura di infrazione dell'unione europea contro l'Italia per il trattamento fiscale di favore sulle proprietà ecclesiastiche.
"Il maggior gettito sarà destino alla riduzione delle tasse" ha spiegato il governo. Lo hanno confermato ieri membri del governo al termine di una riunione fiume dell'esecutivo durata oltre sei ore.
L'emendamento prevede che siano sottoposti a tassazione tutti gli immobili all'interno dei quali si svolgano attività commerciali, capovolgendo il meccanismo di esenzione in vigore finora. Sarebbero però escluse dall'Imu le attività no profit. Il beneficio quindi non dovrebbe riguardare la sola presenza di una Chiesa all'interno di una clinica o di una struttura di accoglienza. Se il provvedimento sarà approvato nella formulazione proposta dal governo non ci saranno sanatorie per i contenziosi già in atto e non saranno interrotte eventuali attività di accertamento già in corso. Secondo stime non ufficiali dell'Agenzia delle Entrate, si tratterebbe di un potenziale introito di due miliardi di euro all'anno.

La decisione dell'esecutivo ha provocato malumori e critiche nel Pdl.  "Il governo dica se asili nido e scuole parificate devono pagare la nuova Imu o no. E' urgente un intervento chiarificatore sull'emendamento presentato adesso dal governo al decreto liberalizzazioni" ha detto Maurizio Lupi (Pdl) vice presidente della Camera.
Malumori ben più marcati da parte dei Salesiani. "Per quanto riguarda l'eventuale applicazione dell'Ici alle scuole paritarie, i salesiani d'italia ribadiscono che questa non sarebbe giusta nè equa" si legge in una nota l'ordine fondato da Don Bosco che gestisce 140 scuole. Il provvedimento, sostengono, sarebbe in contrasto con le leggi che prevedono che le scuole non statali "hanno i medesimi doveri e diritti delle scuole statali, poichè svolgono un servizio pubblico e concorrono ai medesimi fini". Quindi, "non possono essere considerate 'commerciali' quelle attività che erogano un servizio che ha rilievo pubblico, è destinato all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e formazione, tende ad assicurare fondamentali diritti di cittadinanza, come il diritto allo studio e il diritto all'istruzione e formazione professionale". Silenzio, invece, dalla Cei.

Intanto la Regione siciliana contesta il decreto Salva Italia... - La giunta regionale siciliana, riunita ieri a Palazzo d'Orleans, ha deliberato di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale svariate norme del decreto legge n. 201/2011, conosciuto come decreto Salva Italia, convertito nella legge n.214/2011.
Le disposizioni legislative contestate, anche per l'assenza di clausole di salvaguardia a tutela delle prerogative proprie della Regione siciliana - dice una nota della Regione - comportano, secondo la giunta, una violazione dello statuto siciliano, nonché del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione. Le norme che saranno impugnate dinanzi al giudice delle leggi, tra l'altro, comporterebbero una cospicua sottrazione di risorse di spettanza della Regione siciliana o oneri finanziari a carico della stessa Regione in palese violazione delle norme statutarie.
E fra le norme impugnate c'è l'Imu, la cui applicazione comporterebbe per la Regione siciliana uno squilibrio incompatibile con il bilancio regionale in quanto, da un lato, la normativa statale ignora che l'intero gettito dell'Irpef sulla componente immobiliare nel territorio della Sicilia è attualmente di spettanza regionale e dall'altro, la Regione si troverebbe a dover compensare anche le perdite degli enti locali con ulteriori trasferimenti e ciò per coprire la quota del gettito riservata allo Stato.
Sarebbero in contrasto col dettato statutario - dice la nota - anche le disposizioni dell'art. 28 che portano dallo 0,9% all'1,23% l'addizionale regionale Irpef e indirettamente riducono la quota di compartecipazione dello Stato alla spesa sanitaria. Ancora illegittima secondo Palazzo d'Orleans la riduzione dei trasferimenti ai Comuni siciliani alla quale la Sicilia si troverebbe a dover far fronte senza introiti compensativi.
Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha sottolineato la necessità di impugnare anche la norma in materia di esercizi commerciali, che prevede una totale deregulation in materia di apertura ed esercizio di attività commerciali. La norma, secondo la Regione, è lesiva della competenza esclusiva della Regione siciliana attribuita dallo Statuto speciale in materia di commercio e di valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli e delle attività commerciali.

[Informazioni tratte da Repubblica.it, Lasiciliaweb.it]

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25 febbraio 2012
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