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''La diaspora dei canti erranti'' - Esotismi di ritorno / L'invenzione del Mito

11 luglio 2006

ESOTISMI DI RITORNO
Il destino del tango rioplatense è un esempio illuminante: «apparso a Buenos Aires alla fine del XIX secolo dalla fusione di altre forme musicali e coreografiche anteriori - sostiene Nattiez - nello stesso tempo in cui riceve il nome di tango si fissa in un genere specifico».
Successivamente il tango si «deterritorializza»: «lasciando i bassi-fondi di Buenos Aires, il tango diventerà anzitutto un genere di canzone, poi una musica da concerto»; ma il luogo d'elezione della sua «riterritorializzazione» sarà anzitutto Parigi, dove esso «diventa l'oggetto di una addomesticatone e di una epurazione che hanno permesso di contrapporre il tango poterlo e il tango europeo secondo una serie di tratti binari opposti: esotizzazione/disetnizzazione, erotizzazione/ decentizzazione, passione/desiderio, scandalo/ ondanna, democratizzazione/scalata sociale, alterità/identità, barbarie/civiltà, periferia/centro, colonia/metropoli» come individuato, appunto, da Pelinski.
Il tango, insomma, opportunamente depurato, soddisfa il desiderio di «incanaglimento» dell'aristocrazia francese: «lasciando il suo focolaio d'origine - dice infatti ancora Nattiez - il fatto musicale si trasforma secondo i desideri della cultura che lo accoglie, e le modalità di trasformazione dipenderanno dalla natura e dalle differenze tra le due culture in causa». È a questo punto, dunque, che «si assiste a un fenomeno di esotizzazione del genere di origine. Per essere conformi all'immagine che i francesi si sono fatti dell'argentinità, i musicisti delle orchestre argentine in Europa si travestono da gauchos, il che non ha niente a che vedere con il tango d'origine, perché il tango è stato associato ai gauchos immigrati a Buenos Aires solo a partire dal 1935. Per di più, l'adozione di un genere nomade da parte di una cultura egemonica che fissa le norme per il riconoscimento, provoca un effetto boomerang anche i musicisti locali in Argentina adottano la tenuta dei gauchos. Lo stesso fenomeno che si osserva negli spettacoli per turisti organizzati negli alberghi del Messico e dei Caraibi per rispondere all'attesa esotica dei visitatori d'America e d'Europa l'esotizzato di auto-esotizza, come dice Pelinski».

L'INVENZIONE DEL MITO
Un altro esempio di esotizzazione è dato da Edwin Seroussi, dell'università di Gerusalemme, che esplora i diversi livelli di patina «arcaicizzante» che viene data, più o meno inconsapevolmente, a una serie di brani di composizione relativamente recente, del repertorio popular degli Ebrei sefarditi: «Ipotesi riguardo all'origine storica e geografica di queste canzoni appaiono nelle note dei cd, nei programmi dei concerti o anche nella letteratura per gli studiosi. Esse rivendicano sostanzialmente due cose: che l'origine di queste canzoni sia da ritrovare nella Spagna medievale, prima dell'espulsione degli Ebrei sefarditi dalla penisola iberica nel quindicesimo secolo, e che questo sia un repertorio basato su un intreccio di peculiarità musicali medievali iberiche e di elementi acquisiti dalle circostanti culture del Mediterraneo durante i cinque secoli seguiti all'esilio post-iberico». L'esempio riportato da Seroussi è ''Cuando el Rey Nimrod'' una canzone cantata, tra gli altri, da Yehoram Gaon, star della popular music israeliana: se le note del disco asserivano che essa fosse «una delle vecchie romanze della Spagna medievale», una testimonianza della persistenza delle canzoni tradizionali in ladino (la lingua degli Ebrei sefarditi), e se ricercatori e cultori del folklore lamentavano che un'antica e nobile composizione (a causa della dimostrata presenza nel brano del frammento di una lunga copia, caratteristico genere di canzone in ladino, composta nel diciottesimo secolo e successivamente modificata) fosse svilita e banalizzata da una riduzione commerciale, studi più attenti hanno dimostrato che la canzone nacque invece compiutamente tra il 1900 e il 1930, quando l'orecchiabile ritornello che avrebbe poi caratterizzato il pezzo fu aggiunto ad alcuni versi estrapolati dalle precedenti versioni. Il brano, successivamente armonizzato e arrangiato per pianoforte, fu «canonizzato» diventando la base del moderno ladino revival e finendo per essere eseguito innumerevoli volte da diversi interpreti.
Come in altri casi simili, insomma (chi non ricorda, ad esempio, il mito della musica celtica, costruito negli anni '70 intorno a figure carismatiche come Alan Stivell?), intorno alla legittimazione e autenticazione dell'antichità di alcuni prodotti culturali vi è il rischio di vere e proprie «invenzioni della tradizione», con tanto di retorica identitaria e possibili derive reazionarie. Martin Stokes, dell'università di Chicago, ricorrendo a tutta una serie di cautele metodologiche (distanziazione dell'osservatore mediante l'uso del tempo passato, uso di nomi fittizi per i protagonisti del racconto, vaghezza di riferimenti sui luoghi degli avvenimenti ecc.), ricostruisce il modo in cui alcuni membri delle comunità arabe immigrate nell'area del Midwest americano definiscono la loro identità attraverso la musica: i ruoli che i vari personaggi si ritagliano all'interno delle vicende musicali che li mettono in relazione, il loro rapporto con la cultura del paese che li ospita, e la negoziazione di significato e di senso che tutto ciò attiva all'interno dei rispettivi gruppi di provenienza, danno luogo a una girandola di dinamiche che si intrecciano sistematicamente con la società ospitante «perché la vita culturale araba negli Stati uniti non può essere compresa soltanto in termini di unicità e di differenza» e perché «la diaspora musicale araba nel Midwest è stata tanto rivolta all'esterno quanto all'interno, e fondamentalmente forgiata dalla cultura americana».

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11 luglio 2006
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