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''La diaspora dei canti erranti'' - Musica al potere / Identità e Zampogne / Radici Rom

11 luglio 2006

MUSICA AL POTERE
Max Haas, dell'università di Basilea, si sofferma sulla tradizione musicale cristiana nel Mediterraneo, tradizione intesa «come processo, e non come prodotto», formatasi nel medioevo e che ha le sue origini nel canto sinagogale ebraico e nel grande corpus di inni rinvenuti in Siria Haas ricorda la natura «formulaica» del canto liturgico, indicando con questo termine la presenza di strutture melodiche (ma anche verbali, se si parla di poesia) iterate a fini mnemonici e che sono una delle caratteristiche salienti delle tradizioni orali: «Per prima cosa - dice Haas - l'invenzione della notazione ('neumi') è un segno di potere politico: i carolingi distrussero le tradizioni rituali e cercarono di imporre su coloro che vivevano in un'area di centomila metri quadrati chiamato 'gregoriano'. I neumi erano un modo per ottenere un'uniformità di canto. In secondo luogo, come sottolineato da Eric Havetek (studioso di cultura orale, autore di un noto saggio sull'argomento, ''Cultura orale e civiltà della scrittura'', Laterza 1973, ndr), come separazione di colui che conosce il canto dal canto stesso».

IDENTITA' E ZAMPOGNE
La musica come «marcatore d'identità» è al centro della riflessione di Nico Staiti, dell'università di Bologna, che indaga come la zampogna siciliana possa diventare il veicolo attraverso cui una comunità ridefinisce la propria identità in una regione in cui «i pastori di un tempo, o i loro figli, hanno macellerie agricole, sono vivaisti, fruttivendoli, ambulanti di mercato, forestali, dipendenti statali o comunali». Il numero dei suonatori è oggi considerevolmente ridotto e quelli rimasti costituiscono ormai «una sorta di raffinata accademia di cultori dello strumento. Si incontrano, parlano di accordatura, ance, repertorio; si ascoltano a vicenda, ascoltano le registrazioni di altri, le criticano».
Quello che era un mestiere da poveri, insomma, si è trasformato nel raffinato esercizio critico di una dotta minoranza. «Quando mi capita di tornare da quelle parti - continua Staiti - vengo invitato a banchetti nei quali viene richiesta la mia competenza storica ed etnomusicologica per valutare strumenti vecchi e nuovi, giudicare esecuzioni, discettare di accordature e repertori. Attorno a loro gravita dell'altra gente che, pur non avendo le competenze musicali necessarie per essere accolta appieno tra loro, pure si compiace di essere contigua ai suonatori, e con essi condivide altri elementi di una nuova identità, della quale il suono della zampogna e le attività a essa legate sono diventati uno dei marcatori più efficaci ed evidenti».

RADICI ROM
Staiti ha anche a lungo lavorato tra i rom dei Balcani trovando anche n questa funzione della musica come potentissimo marcatore d'identità: «I rom dei Balcani centrali definiscono se stessi, in prima istanza, per differenziazione da altri gruppi sociali». Per loro la propria musica è la migliore della regione, le proprie feste le più belle, le proprie danze le migliori.
E per Staiti, che non è tra coloro che in nome del postmodernismo antropologico negano i tratti arcaici presenti nelle culture popolari ancora in vita, si tratta di danze, ritmi e prassi esecutive che hanno radici antiche e profonde: «non residui opachi di un passato ormai osservabile solo attraverso brandelli e relitti di un mondo una volta ancora organico, trascinati passivamente attraverso la storia, ma elementi coerenti di una vicenda ben radicata nel presente».
I rom del Kosovo, infatti, sono «specializzati come interpreti professionali o semi-professionali delle tradizioni locali, sono i conservatori di tradizioni antiche, ma pure coloro i quali hanno apportato e continuano ad apportare alle tradizioni locali elementi di modernità». Tra di essi, ad esempio, si ritrovano figure rituali comuni anche ad altre aree del Mediterraneo, come i suonatoti di tamburello omosessuali, detentori di repertori musicali dalle caratteristiche estremamente arcaiche. Essi appartengono «a un sostrato di musiche sacre, legate forse in origine ai culti dedicati a Cibele» e, per questo, sono imparentati con i «femminielli» napoletani e con il loro culto della Madonna di Montevergine, luogo dove un tempo sorgeva l'antico tempio precristiano dedicato a Cibele e dove il benedettino san Guglielmo da Vercelli, fondatore del santuario della Madonna, probabilmente proprio per non interrompere una consuetudine rituale, proibiva di recarsi con carne, uova e latticini, gli stessi alimenti vietati agli adepti del culto della dea frigia.
I rom del Kosovo, dunque, «continuano a mettere in scena gli elementi più antichi, più profondi delle tradizioni locali. E proprio perché specialmente consapevoli della funzione del rito e di ogni parte di esso, del modo in cui va attuato, sono anche i più qualificati a proporre delle innovazioni».
Il convegno di Marsala, che ha anche visto la partecipazione di Gabriella Biagi Ravenni, Gigi Garofalo e Iain Fenlon, ha avuto un'appendice migrante a Lugano, dove il 30 maggio si è tenuto un concerto dedicato alle musiche nuziali rom che ha visto in scena gruppi di musicisti kosovari individuati da Nico Staiti nel corso delle sue ricerche sul campo.

Foto di Nico Staiti

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11 luglio 2006
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