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''La famiglia Ciancimino non è la bocca della verità''

L'on. Luciano Violante: ''Ciascuno di noi sa solo un pezzo della verità. L'ultima parola la dirà l'autorità giudiziaria''

22 ottobre 2009

"Borsellino può certamente essere stato assassinato perché contrario alla trattativa, ma l'ultima parola la dirà l'autorità giudiziaria. Ciascuno di noi sa solo un pezzo della verità. Credo che questa sia una delle ipotesi che stanno esaminando i magistrati".
A parlare è Luciano Violante, ex presidente della Camera, che torna con la memoria ai giorni delle stragi di mafia del '92. In un'intervista all'Adnkronos, ribadisce la sua posizione sull'attendibilità di Vito Ciancimino dopo la desecretazione di una lettera con la quale l'ex sindaco di Palermo ribadiva nel '92 la propria disponibilità ad essere ascoltato dall'Antimafia rimuovendo la condizione, espressa in una richiesta analoga nei mesi precedenti, di essere ascoltato dalla Commissione alla presenza degli organi di informazione (LEGGI): "Consiglio di andare con molta prudenza sulle cose che dice la famiglia Ciancimino". "Ciancimino - dice Violante, presidente dell'Antimafia dal 25 settembre '92 al marzo del '94 - non è la bocca della verità sia ben chiaro. Ora, invece, sembra diventato la badessa di un convento di orsoline...".

Questa lettera resa pubblica e consegnata alla procura di Caltanissetta, spiega, "conferma pienamente quello che ho detto nella mia deposizione davanti ai magistrati di Palermo. La missiva di Ciancimino con la richiesta di essere ascoltato dall'Antimafia risale al 26 ottobre del '92. Prima di questa data - spiega Violante - ho incontrato tre volte Mori su sua richiesta, perché Vito Ciancimino, mi disse il colonnello, voleva avere un colloquio riservato con me". "Io spiegai - precisa - che non era mia abitudine avere colloqui riservati. Dissi a Mori che Ciancimino avrebbe potuto chiedere un'audizione alla Commissione Antimafia. Dopo che confermai il no per la terza volta, arrivà la lettera di Ciancimino che chiedeva formalmente di essere convocato". Violante chiarisce che allora "Vito Ciancimino non era né un pentito né un testimone, ma un imputato e come tale non aveva l'obbligo di dire la verità. Poteva dirci impunemente quello che voleva. Noi decidemmo di sentire prima i collaboratori di giustizia e i pentiti, poi saremmo passati ad altre audizioni tra cui quella di Ciancimino. Solo che Ciancimino a dicembre del '92 venne arrestato. Era quindi sotto interrogatorio da parte della magistratura ordinaria e a quel punto le cose si arenarono. L'Antimafia doveva fermarsi, l'imputato era diventato un detenuto".
L'ex presidente della Camera insiste: "Il comportamento di Ciancimino non era chiaro. Era stato arrestato, era interrogato, c'era il rischio di interferire con l'azione della magistratura. In ufficio di presidenza più volte prendemmo in esame la possibilità di sentirlo. Ma in Commissione, se non erro, nessuno lo chiese. Credo che maggioranza e opposizione si rendevano conto che Ciancimino, non obbligato a dire la verità perché imputato, poteva utilizzare l'Antimafia per i propri scopi". Violante sottolinea: "E' lo stesso criterio che seguimmo per Cutolo e altri".

Cosa ne pensa del cosiddetto papello, il pizzino in 12 punti con le richieste di Cosa nostra allo Stato? "Quello pubblicato mi sembra una bufala, un vero bidone - replica Violante - perché contiene elementi che lo rendono poco credidile, come il riferimento alla chiusura delle carceri speciali che non erano state ancora aperte. Poi bisogna vedere se lo stesso documento sia stato consegnato anche ai magistrati. Mi chiedo, inoltre, perché sia stata consegnata una fotocopia e non l'originale. Consiglio, quindi, di andare con molta prudenza sulle cose che dice la famiglia Ciancimino".
L'ex presidente della Camera ribadisce di essere andato dai magistrati di Palermo il 23 luglio scorso soltanto per chiarire alcune dichiarazioni fatte da Massimo Ciancimino il figlio dell'ex sindaco di Palermo (LEGGI). Ciancimino junior, secondo il 'Corriere della Sera', infatti, aveva riferito ai giudici che Violante sapesse della trattativa in corso. Da qui la volontà di Violante di spiegare le sue ragioni: "Non è vero che io abbia rivelato alcuni aspetti della vicenda Mori solo dopo 17 anni. Ho parlato due giorni dopo aver letto sul 'Corriere' che Ciancimino aveva chiesto se io fossi informato della trattativa e che aveva ricevuto una risposta negativa. Appena letta la notizia, ho chiamato la Procura di Palermo per fare dichiarazioni spontanee". Violante sottolinea: "Quando Mori mi disse che Ciancimino voleva parlarmi personalmente ero assolutamente all'oscuro di qualsiasi ipotesi di trattativa. Pensai che volesse parlarmi o per il processo di confisca dei suoi beni o per i rapporti tra mafia e alcuni andreottiani siciliani, rapporti che stavano emergendo dopo l'assassinio di Salvo Lima. Ma ripeto, della trattativa non sapevo assolutamente nulla".

Si trovera' mai l'agenda rossa di Borsellino? "Spero di sì, me lo auguro, anche questa è un'altra vicenda strana", risponde Violante.
Che cosa non la convince della deposizione di Mori? "Dice che io lo avrei chiamato il 20 ottobre 1992 per comunicargli che la Commissione avrebbe avviato una inchiesta sui rapporti tra mafia e politica", replica Violante che aggiunge: "Ma questa inchiesta venne decisa solo dopo che vennero rese note le motivazione del mandato di cattura contro i presunti assassini di Salvo Lima, il 22 ottobre. Quelle motivazioni denunciavano i rapporti tra esponenti andreottiani dell'isola e la mafia. Per essere precisi fino in fondo: la Commissione assunse questa decisione il 29 ottobre accogliendo la proposta dell'ufficio di presidenza del 27 ottobre".
Di fronte alla richiesta di Antonio Di Pietro, leader dell'Idv, di andare a riferire in Antimafia, Violante assicura: "Ho già detto al Presidente Pisanu che sono assolutamente disponibile. Spero che in quella occasione l'onorevole Di Pietro possa chiarire perché ha sostenuto di non aver mai interrogato Vito Ciancimino".

Gioacchino Genchi e il "festival degli smemorati" - "Nel 1991 Massimo Cianciminio avrebbe avuto contatti telefonici con il Governo di allora". E' quanto ha detto ieri, in un'intervista al Tg3 Sicilia Gioacchino Genchi, consulente della procura di Palermo, che in quel periodo stava effettuando una serie di analisi dei tabulati nell'ambito dell'inchiesta su 'Mafia e appalti'.
"Partendo da un appunto dell'imprenditore Benny D'Agostino - ha detto nell'intervista - trovammo il numero di cellulare di Ciancimino, con il nome Massimo Rolex, e da analisi sui dati del traffico telefonico del 1991 sono emersi contatti con utenze riservate della Presidenza del Consiglio e del ministero dell'Interno, con cellulari e utenze fisse del mininistero della Giustizia". Dai tabulati del 1991, secondo Genchi, emerge un "quadro completo dei rapporti non solo politici e affaristici di Ciancimino, ma anche con apparati dello Stato".
Infine, parlando dei ricordi affiorati solo nei mesi scorsi in alcuni personaggi copinvolti nella cosiddetta trattativa tra Stato e Cosa nostra, Genchi ha risposto: "Non c'è da meravigliarsi di questo festival degli smemorati, qualcun altro ancora non ricorda, ma lo ricorderà presto".

Strage via D'Amelio: l'ex ministro Andò interrogato dai pm di Caltanissetta - L'ex ministro della Difesa Salvo Andò, attuale rettore dell'Università Kore di Enna, è stato interrogato dai pm della Dda di Caltanissetta che indagano sulla strage di via D'Amelio in cui venne ucciso il giudice Paolo Borsellino. L'ex politico del Psi è stato sentito in merito all'incontro avuto, a fine giugno del 1992, quindi qualche settimana prima dell'omicidio, con il magistrato. Del colloquio tra Andò e Borsellino aveva parlato ai pm nisseni la moglie del giudice, Agnese Borsellino. "Ho spiegato ai Pm - dice Andò - che incontrai casualmente in aeroporto Borsellino e che in quell'occasione lo informai di un rapporto investigativo di cui avevo avuto conoscenza e in cui si parlava di un potenziale pericolo per me e per lui". "Ebbi l'impressione - aggiunge l'ex ministro - che Borsellino non sapesse nulla della circostanza e che nessuno gliene avesse fatto cenno".
Quanto alla trattativa tra Stato e mafia, su cui indaga la Procura di Palermo, Andò esclude di essere stato informato di "contatti con Cosa Nostra tesi a negoziare". "D'altronde - aggiunge l'ex ministro a cui facevano riferimento i carabinieri che, secondo l'accusa avrebbero fatto da intermediari tra le istituzioni e la mafia - il governo Amato di cui facevo parte è stato molto duro nella lotta ai boss: basta ricordare l'operazione Vespri Siciliani, disposta dopo le stragi".
Andò, infine, ha sostenuto di non avere mai incontrato il colonnello Mario Mori, che secondo gli inquirenti avrebbe portato avanti il dialogo con l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, tramite di Riina nella trattativa. "Ho avuto rapporti solo con l'allora comandante del reparto, il generale Antonio Subranni".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it]

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22 ottobre 2009
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