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''La morte della politica''. Ci vuole una svolta, ma di quelle vere perché l'insofferenza è diventata troppa

29 maggio 2007

La sfiducia verso la politica e i suoi esponenti è sempre più diffusa. La sensazione prevalente nei cittadini è che i politici (tutti in generale) siano disinteressati alle problematiche vere del Paese e abbiano in mente soprattutto l'esigenza di essere rieletti.
La stragrande maggioranza degli italiani ritiene infatti che i ''politici sono interessati ai voti della gente e non alle sue opinioni''. E il 77% pensa che ''gli uomini di governo non sono realmente interessati a quel che succede alla gente comune''. La sfiducia verso la politica si traduce sia in atteggiamenti esplicitamente negativi (disgusto, diffidenza, rabbia, noia), sia con l'indifferenza, manifestata da circa un italiano su quattro.
Rispetto al passato, quest'ultima reazione sembra trovare oggi sempre maggiore diffusione.
Emerge sempre più frequentemente il distacco, la rassegnazione. E, di conseguenza, la decisione di ''far da soli''. Nel lavoro, come nelle relazioni sociali, ci si ''arrangia''. La strategia più diffusa è quella dell'individualismo.

Andando nello specifico: ad un anno dal suo insediamento, il governo Prodi raccoglie più giudizi negativi che positivi. Non è una sorpresa: anche gran parte dei governi precedenti, di centrodestra come di centrosinistra, ha mostrato la stessa performance a distanza di 12 mesi. Se è vero dunque che il 20% degli italiani ritiene che ''il governo ha operato molto male'' e che un altro 45%, più conciliante, dichiara che è stato ''un po' deludente'', è vero anche che risultati pressoché analoghi (con una accentuazione di giudizi 'molto' negativi) erano stati registrati dopo un anno di governo Berlusconi.
La critica al governo investe, in misura maggiore o minore, tutti i suoi ambiti di attività. Ma tre comparti appaiono più biasimati: la politica fiscale, quella pensionistica e quella della giustizia. Viceversa, l'ambito meno criticato risulta la politica estera. Che effetto può avere questo clima di opinione sulle scelte elettorali dei cittadini? Nei sondaggi, ed è questo un fatto risaputo, il centrosinistra è in forte calo. La novità sta nella mobilità potenziale, che si fa sempre più estesa e che la delusione nei confronti dell'operato di questo governo e dei precedenti ha probabilmente contribuito ad accentuare. Oggi circa 1 italiano su 10 dichiara l'intenzione di optare per una coalizione differente da quella scelta l'anno scorso. E' una percentuale doppia rispetto a quella rilevata, con lo stesso quesito, nel 2002 dopo un anno di governo Berlusconi. La maggiore fluidità riguarda gli elettori di entrambi gli schieramenti e si trova in misura superiore nel centrodestra. Ma è significativo che l'orientamento a mutare schieramento venga espresso in modo sostanzialmente maggiore da chi si dichiara scontento dell'operato del Governo attuale.

Stime e percentuali calcolate in queste ultime settimane dal prof. Mannheimer, che vanno ad aggiungersi ad uno dei temi sempre più spesso citato negli ultimi tempi, e che, con molta probabilità, è uno dei motivi principali della sparsa e omogenea disaffezione per la politica, ossia quello che si riferisce ai ''costi della politica''. Uno dei punti del programma di governo osservato dagli elettori, di tutte e due le parti, con grande attenzione, è un nodo che non è stato ancora sciolto, anche se definito durante la campagna elettorale elemento prioritario. Una questione così importante per la popolazione, tanto che nei giorni scorsi il politologo ed economista Mario Pirani, ha proposto su Repubblica un ''decalogo per uscire dalla crisi della politica'' puntando proprio sull'abbattimento degli eccessivi costi della privilegiata classe politica. Una proposta che ha registrato il pieno consenso, almeno da parte del centrosinistra, (destinatario principale della ''ricetta'').
Nel dibattito che ne è scaturito è intervenuto anche il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, per sottolineare che sull'allarme relativo alle spese della politica e delle istituzioni ''non si può non convenire''. Il segretario dei Ds (è ancora  segretario dei Ds?) Piero Fassino ha voluto invece sottolineare che è però importante non confondere ''i costi della politica con quelli dell'alta burocrazia, sono cose diverse''. Sul tema ha messo parola anche Silvio Berlusconi, per dire che con i costi della politica ''deve diminuire anche il costo dello Stato'', e ha rivendicato il merito di aver ridotto ''da 4.300 a 2.900'' i dipendenti di Palazzo Chigi.

- Decalogo per il Palazzo di Mario Pirani

Insomma, per farla breve, le persone sono stufe di vedere e subire sempre le medesime miserie, tanto stanche da non volerne più sapere di questa ''Seconda Repubblica'' per niente differente alla ''Prima''. Seconda Repubblica che, secondo un'autorevole firma del Corriere della Sera, Angelo Panebianco, in realtà non c'è mai stata, o meglio: ''è stata solo una promessa o un miraggio che ci ha accompagnato dai primi anni Novanta, e adesso che la promessa è svanita ci ritroviamo ancora a vagare fra le macerie della Prima Repubblica, senza che siano in vista soluzioni''. Secondo Panebianco, che ieri sul Corriere ha firmato un editoriale sul ''discredito della politica'', ''Le democrazie cambiano solo quando (di solito, a seguito di una crisi repentina e drammatica) si apre, per un breve momento, una ''finestra di opportunità'', e appaiono leader capaci di imporre una radicale ristrutturazione delle regole del gioco''. Ma per la democrazia italiana sembra non ci siano buone notizie in vista. Continua Panebianco: ''Non si vedono all'orizzonte nuove 'finestre di opportunità'. Anche per questo il tanto parlare che ancora si fa di riforme costituzionali sa di imbroglio. Un Paese che discute da più di vent'anni di riforme e non le fa è un Paese malato. E la sua è una malattia morale''.

La classe politica italiana, dunque, è allo sfacelo, vuota e smunta da entrambe le parti. Una politica incapace di contrattaccare seriamente, chiunque sia a prendere la parola e screditarla a più non posso (''Ciò che più impressiona - dice ancora Panebianco - delle reazioni negative di tanti uomini politici alla spietata e documentata analisi-denuncia del presidente di Confindustria è che nessuno, dico nessuno, di quei critici è stato capace di contestare nel merito anche una singola virgola di quanto Montezemolo ha sostenuto''), e che quando ha avuto la possibilità di contemplare quelli che potevano essere nuovi imput si è rivelata invece la solita ''Italietta imbrogliona e arraffona'' (Dice ancora Panebianco: ''Berlusconi [...] il vero dominus, nel bene e nel male, della politica italiana dal '94 ad oggi [...] che ha fatto, insieme a cose sbagliate, e anche sbagliatissime, anche diverse cose buone. Il suo vero grande limite è che fece al Paese la promessa di una rivoluzione liberale e non l'ha mantenuta [...]'').
Già, vuota e smunta da entrambe le parti, e così deprimente che risulta impossibile schierarsi. E se schierati si è stati, risulta quasi impossibile dismettere la vecchia casacca e ''fare da soli''. Esempio eclatante quello del giornalista Giampaolo Pansa che dialogando con Aldo Cazzullo ha chiaramente detto di non essere più di sinistra semplicemente perché la sinistra in Italia non esiste più. ''Ora non ci credo più. Non parlo più di sinistra e di destra perché sono categorie superate. Capisco i giovani, che non si riconoscono in un linguaggio antico. Se dovessi misurarli con le vecchie regole, allora direi che è di sinistra Montezemolo ed è di destra Bertinotti. Destra estrema, destra conservatrice''.
Secondo Pansa, comunque ''entrambi i blocchi sono in sfacelo. Il centrodestra non è messo meglio, e i risultati delle amministrative di oggi non cambieranno nulla. Quando sento Berlusconi indicare come capo del centrodestra italiano una ragazza come la Brambilla, l'istinto è di chiamare gli infermieri, che lo portino via. No, la destra no''. [F. M.]

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29 maggio 2007
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