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"Mafia braccio illegale di parte dello Stato"

Una lettera aperta di Vito Lo Monaco al presidente della Commissione Antimafia

01 giugno 2011

Egregio Presidente Pisanu,
la relazione di attività di metà mandato della Commissione Antimafia inviata da Lei al Parlamento stimola alcune considerazioni politiche. Essa contiene elementi di giudizio sul fenomeno mafioso innovativi intrecciati con valutazioni più tradizionali; segna un passo avanti, pur non esaustivo, nella valutazione del rapporto mafia, affari, politica. Già nella sua relazione del Giugno 2010 sulle stragi del 1992/1993 aveva gettato, suscitando polemiche, un fascio di luce sulla compenetrazione tra mafia e politica a livello istituzionale, dando fiducia alla ricerca della verità giudiziaria su quelle stragi e sulle presunte trattative.
Nella sua recente relazione del 17 maggio scorso, Lei giustamente conferma l'allarme sociale per l'estensione del potere delle mafie nelle regioni del Centro Nord, per la loro maggiore incisività e la crescita della loro potenza economica. A tal proposito le cifre riportate da Lei, pur con la prudenza dovuta per ogni stima di processi sommersi e illegali, confermano ulteriormente la preoccupazione dell'opinione pubblica. Infatti, il 15/20% di quattro regioni meridionali (Campania, Sicilia, Calabria, Puglia) è controllato dalle mafie, il 53% delle imprese meridionali associate a Confindustria, ritiene insicuro l'ambiente in cui operano, un terzo subisce il condizionamento delle mafie.
Inoltre secondo la Corte dei Conti il riciclaggio interessa il 10% del Pil nazionale pari, dunque, a 160 miliardi. Infine, con molta approssimazione, si calcola che il fatturato annuo delle mafie assommerebbe a 150 miliardi (senza calcolare i proventi della corruzione, del gioco e delle scommesse clandestini). Di fronte a tali grandezze, Lei, giustamente, si chiede se la questione mafia debba considerarsi solo un problema di ordine pubblico; se è giusto affrontarla con la logica dei due tempi, prima la repressione e poi la prevenzione, prima al Sud e poi al Centro Nord. La sua risposta è che occorre colpire le mafie contestualmente con la repressione e con la forza dello sviluppo economico e del rinnovamento sociale e culturale. Questa strategia sarebbe sufficiente per debellare le mafie? Pur apprezzando il merito politico generale della sua proposta, alla quale l'attuale governo non sembra prestare alcuna attenzione, noi, del Centro Studi Pio La Torre, pensiamo che l'analisi e la proposta non sia completa perché non prende in considerazione la natura sostanziale delle mafie, dalle origini ad oggi, e le sue comprovate capacità di adeguamento ai diversi regimi politico-istituzionali e allo sviluppo economico del paese.

Raffigurare le mafie come "anti Stato", non permette di comprendere la sua compenetrazione storica con i diversi regimi, succedutisi in Italia dall'Unità a oggi,- monarchico liberale, monarchico fascista, repubblica democratica. Essendo lo Stato legale sicuramente più forte perché non è riuscito a debellare quell'anti-Stato illegale che sicuramente è stato, ed è, minoritario e più debole? Inoltre,come mai le mafie colpite al Sud si espandono al Nord?
Probabilmente se considerassimo le mafie come un braccio armato illegale e parallelo allo Stato legale per l'esercizio illegale di Potere, per condizionare il consenso sociale, per accumulare ricchezza sfuggendo alle regole del mercato capitalistico liberale, le forze democratiche dello Stato, della società, dell'economia potrebbero adottare con più determinazione una linea generale di "riforma del potere" - dalle leggi elettorali alle regole della trasparenza amministrativa, dalle leggi contro la corruzione alla selezione della rappresentanza politica sino alla finalità sociale che ogni processo economico deve perseguire secondo il dettato costituzionale.
In breve non è sufficiente solo una linea "culturalista", cambiare la cultura dei giovani di oggi per avere domani gruppi dirigenti migliori senza modificare oggi la struttura del capitalismo e dello stesso "Potere". Diversamente non riusciamo a capire perché il modello mafioso siciliano, fondato sull'unità organica di mafia-affari-politica, abbia fatto scuola nel mondo come dimostrano le mafie "transnazionali".

Se la Commissione Antimafia, da Lei presieduta, adottasse questo punto di vista, aprirebbe nuovi spazi di analisi, di azione legislativa e politica e darebbe nuova forza all'antimafia sociale la quale saprebbe opporsi a tutti i tentativi di ostacolarla. D'altra parte, quando si tenta di illuminare il rapporto strutturale mafia-affari-politica, anche all'interno del movimento antimafia si manifestano tiepidezze, silenzi o timori di possibili qualunquismi per il giudizio sulle classi dirigenti. Comprendiamo le preoccupazioni legittime su possibili strumentalizzazioni politiche e opportunistiche, ma non basta ricordare la vittima illustre una volta l'anno e dimenticare che quella stessa, come tutte le altre più o meno illustri, è stata vittima del perverso agire della mafia come braccio illegale di quella parte di Stato e di classe dirigente non ha mai accettato fino in fondo la democrazia e le sue regole.

Con sinceri auguri di buon lavoro, cordialmente


Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi Pio La Torre

[Fonte: SiciliaInformazioni.com]

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01 giugno 2011
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