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''Non c'è più religione! Allora si esce da scuola un'ora prima''. L'ora di religione nelle scuole italiane

Sono sempre di più gli studenti che rinunciano all'ora di religione

23 agosto 2005

Le immagini televisive delle Giornate della Gioventù svoltesi a Colonia, ci hanno mostrato quello che sembra un rinnovato vigore dell'interesse dei giovani per la chiesa e la religione. I papaboys, sembra non abbiano faticato eccessivamente ad abituarsi alla figura più austera di Joseph Ratzinger, e gli inni da stadio e il profuso entusiasmo della giovane folla di Colonia, possono far ben sperare i tenutari del credo cattolico.
Speranza che serve al clero, visto la tangibile disaffezione che negli ultimi anni proprio la gioventù a dimostrato nei confronti della chiesa. Evidenza che si può per esempio evincere dal calo d'interesse degli studenti italiani per l'ora di religione: nelle scuole superiori infatti la percentuale di ragazzi e ragazze che hanno deciso di non seguire la materia è salito dall'11, 7 per cento del 2001 al 37,6 dell'ultimo anno scolastico. Insomma, ormai uno studente delle superiori su tre non frequenta.

Questo dato emerge dalle cosiddette ''Rilevazioni integrative'' (la raccolta, scuola per scuola, dei dati riguardanti l'istruzione statale e non statale in Italia) che il ministero dell'Istruzione effettua ogni anno.
Ecco, secondo i dati relativi alla quasi totalità delle istituzioni scolastiche presenti nel territorio nazionale (il 97,6 per cento), nell'anno scolastico 2004/2005 su un totale di 2.426.052 studenti delle scuole secondarie di secondo grado solo 1.513.819 hanno scelto di frequentare l'ora di religione.
Oltre 900 mila, tra ragazzi e ragazze, una volta a settimana sono stati dirottati a svolgere attività alternative, che le scuole hanno l'obbligo di organizzare per coloro che ''non si avvalgono'', come vengono definiti nel linguaggio scolastico burocratico.
Negli ultimi anni, il numero degli alunni che durante l'ora di religione escono dalla classe è cresciuto vertiginosamente, raggiungendo, quest'anno, percentuali a due cifre in quasi tutti gli ordini di scuola. 
Tutto ciò accade mentre il governo Berlusconi, per la prima volta nella storia della Repubblica, ha varato l'immissione in ruolo di 15 mila insegnanti di religione cattolica in tre anni, con i primi 9.229 che prenderanno servizio dal prossimo primo settembre. Per loro è stata prevista una procedura concorsuale ad hoc svolta nei mesi scorsi a livello regionale, con graduatorie per singola diocesi.
Una vera manna caduta dal cielo per gli interessati, finora precari, visto che in alcune regioni (come in Lombardia) il numero dei candidati è stato inferiore, o di poco superiore, ai posti messi a concorso.

Ma quali possono essere i motivi che hanno fatto diventare la famosa battuta ''Non c'è più religione! Allora usciamo un ora prima'' realtà effettiva? Voglia di laicità, alunni stranieri - e nostrani - seguaci di altre confessioni, o disinteresse per la religione a scuola?
Probabilmente a provocare l'esodo durante le attività dedicate alla ''cura dell'anima'' è un mix di tutto questo.
Per esempio, l'ingresso nelle classi italiane di migliaia di alunni stranieri provenienti dai paesi asiatici e africani, passati in vent'anni da 6.104 a 282.683, ha certamente avuto il suo peso, ma probabilmente non basta a spiegare la fuga che si registra nel passaggio dalla scuola media al superiore.
Nella scuola dell'infanzia, infatti, il numero dei piccoli che non seguono le lezioni di Religione sfiora il 10 per cento. Percentuale che cala al 6,1 per cento alla primaria (l'ex elementare) per crescere nuovamente alla secondaria di primo grado (11,2 per cento, alla scuola media).
Nella scuola secondaria di secondo si registra un vero esodo dalle classi, con il 37,6 per cento di ragazzi che a scuola preferisce fare altro anziché Religione. Percentuale che si accresce nelle classi terminali e non varia praticamente se si prendono in considerazione i dati delle sole ragazze. Nelle regioni del Centro-Sud, a eccezione del Lazio, il fenomeno è tradizionalmente più contenuto rispetto alle regioni del Nord, dove in Liguria si sfiora il 50 per cento.

Intervista a Monsignor Rino Fisichella
"Nessun allarmismo, nei piccoli centri il trend è in crescita"
di Orazio La Rocca (Repubblica.it)

''Preoccupati, sì, ma senza esagerare''. Per monsignor Rino Fisichella, vescovo ausiliare di Roma, rettore della Pontificia università Lateranense, e tra i più stretti collaboratori del cardinal vicario Camillo Ruini, presidente della Cei, i dati sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche relativi all'ultimo anno scolastico ''vanno analizzati con prudenza, senza allarmismi e con una buona dose di pragmatismo''. Se il dato nazionale del 2004-2005 dimostra che rispetto a 5 anni fa gli studenti che hanno detto ''no'' sono quasi triplicati, per monsignor Fisichella, che è anche una sorta di ''cappellano'' di Montecitorio, esso ''non rispecchia il reale andamento delle scelte, perché è noto che in Italia nella stragrande maggioranza dei piccoli centri la situazione è diversa: lì gli studenti che scelgono la religione cattolica sono in crescita''.

Monsignor Fisichella, secondo il ministero dell'Istruzione nelle scuole superiori gli studenti che non si avvalevano dell'istruzione religiosa cattolica nel 2001-2002 erano l'11,7 per cento, dato che ora è salito al 38 per cento. Questo cosa significa?
''Significa, a mio parere, che il dato nazionale va analizzato alla luce dei dati che emergono nei piccoli centri e tra piccole e grandi città. Ad esempio, i dati che io conosco mostrano una discontinuità tra piccole e grandi città, e tra le stesse grandi città, come succede a Milano e a Roma. Nel capoluogo lombardo il trend dei 'non avvalentisi' in effetti è in crescita da qualche tempo; a Roma no. Agli analisti si presenta un'Italia a macchia di leopardo che va studiata e capita, anche per individuare i problemi, là dove esistono, per superarli''.

Sembra comunque difficile non vedere, in questi dati, una ''crisi'' dell'attrattiva dell'ora di religione. Non crede?
''Sì. Aggiungo però due cose. Primo, non bisogna mai fermarsi ai soli numeri, ma occorre capire la varie situazioni locali, analizzare i contenuti, la situazione dei docenti, le attese degli studenti. Secondo, occorre - ripeto - distinguere tra grandi e piccoli centri. Ad esempio, nei piccoli centri gli studenti che frequentano l'ora di religione sono in crescita perché la famiglia italiana-tipo è contenta di dare ai ragazzi una solida formazione cattolica. Piuttosto, l'aspetto che mi preoccupa di più è un altro''.

Quale?
''Più che pensare agli studenti che scelgono l'istruzione religiosa cattolica, mi preoccupa chi non si avvale perché rinunzia ad una risorsa e viene meno ad una formazione che, secondo me, non può fare a meno dell'insegnamento della religione e della cultura cristiana. Penso ai ragazzi italiani, a quanti studiano filosofia, lettere, arti, la musica: come possono affrontare queste discipline senza avere una forte base di conoscenza delle nostri radici religiose e cristiane?''.

E' un fatto, però, che gli studenti delle scuole superiori che hanno detto ''no'' alla religione cattolica in orario scolastico sono triplicati nel giro di cinque anni. La gerarchia ecclesiale non può far finta di niente.
''Anche se questo dato fa preoccupare, ciò non toglie che la grande maggioranza degli studenti delle superiori ancora si avvale dell'insegnamento della religione cattolica e che nei piccoli centri il dato è in crescita. Io non sono votato al pessimismo per natura, ma se gli 'avvalentisi' sono, in fondo, circa il 66 per cento su scala nazionale, un motivo ci sarà''.

Allora, una possibile parola d'ordine dei vescovi italiani potrebbe essere ''grande attenzione, ma senza eccessivi allarmismi''. E' così?
''Certamente i dati vanno analizzati con cura e capiti, ma non sarei così preoccupato. Certo, c'è da fare un lavoro impegnativo per comprendere questa tendenza negativa emersa a livello nazionale nelle scuole superiori. Se devo parlare in termini di preoccupazione, ribadisco, il mio pensiero in primo luogo va a quegli studenti che non scelgono l'insegnamento della religione cattolica. Sono preoccupato per loro perché rinunciano ad una importante parte della loro formazione culturale''.

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23 agosto 2005
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