"Non dimentichiamo Giovanni Lo Porto"
Il cooperante siciliano di 36 anni è nelle mani degli jihadisti da 22 mesi
NON DIMENTICHIAMO GIOVANNI LO PORTO
di Daniele Mastrogiacomo (Repubblica.it, 12 novembre 2013)
"Siamo affranti, preoccupati e anche un po' arrabbiati", ci dice al telefono Pietro Barbieri, presidente del Forum nazionale Terzo Settore, il Consiglio che raggruppa tutte le ong italiane e il mondo della cooperazione impegnato all'estero. "C'è un italiano che da 22 mesi è prigioniero di qualche gruppo jihadista o banda criminale. Ma di lui non si sa assolutamente più nulla".
L'italiano si chiama Giovanni Lo Porto, siciliano, ha 36 anni e fino al 19 gennaio del 2012 lavorava nel sud del Punjab per la ong tedesca Welt Hunger Hife. Quel giorno, quattro uomini armati hanno fatto irruzione a Multan, vicino alle aree tribali a cavallo tra Pakistan e Afghanistan, nella casa dove viveva Giovanni, e lo hanno portato via a forza assieme al suo collega Bernd Muehlenbeck, di 59 anni. Nessuno ha rivendicato il loro rapimento.
Solo poco prima del Natale del 2012 è stato messo in rete un video nel quale Muehlenbeck dichiarava: "Ora siamo in difficoltà. Per favore accogliete le richieste dei mujahiddin. Possono ucciderci in qualsiasi momento. Non sappiamo quando. Può essere oggi, domani, tra tre giorni".
L'uso del plurale ha fatto sperare che i due si trovassero assieme e questo sarebbe la sola prova dell'esistenza in vita di Giovanni. Da allora è calato il silenzio. Da parte di tutti. Anche delle autorità italiane. La linea seguita è la stessa di sempre in questi casi: massima discrezione per tutelare l'ostaggio e consentire l'avvio dei contatti con i rapitori e di un'eventuale trattativa.
Pietro Barbieri, un anno e 9 mesi di silenzio non sono un po' troppi. Ma soprattutto: sono serviti a qualcosa, visti i risultati?
"Non posso che condividere. Per quello che sappiamo non è stata intavolata alcuna trattativa ma soprattutto non si sa nemmeno chi tenga prigioniero il nostro collega. Siamo veramente preoccupati. E' passato molto tempo e non c'è uno straccio di informazione che ci faccia orientare in questo incubo".
Adesso avete deciso di rompere il silenzio. Avete lanciato un appello al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio con un titolo che è anche un accorato invito: non dimentichiamolo.
"Giovanni Lo Porto è un operatore umanitario che si è recato in Pakistan per aiutare migliaia di persone sconvolte da un'alluvione eccezionale. Stava facendo ciò che fanno altre centinaia di volontari come lui. Ma è prima di tutto un cittadino italiano. Prigioniero da 22 mesi. Senza sapere che fine abbia fatto, dove si trovi, nelle mani di quale gruppo, in quali condizioni fisiche e psicologiche. L'Italia, il nostro governo e le nostre autorità non possono abbandonarlo".
Perché questo lungo silenzio?
"Quella di Giovanni è una famiglia semplice, senza legami e contatti; conosceva appena il lavoro in cui era impegnato il figlio. Ma non è in grado di lanciare una campagna, di tenere alta l'attenzione. Sappiamo che ha dei contatti con l'Unità di crisi della Farnesina".
Che tipo di contatti?
"Li tengono informati".
Su cosa?
"Immagino sui tentativi di individuare chi tiene in ostaggio Giovanni".
Tentativi falliti, a quanto pare. Lo stesso ministro Bonino sostiene che i pochi tentativi si sono rivelati una bufala. I presunti emissari erano inaffidabili.
"E' questo che ci riempie di angoscia".
Ma nessuno ha mai raccolto una prova sull'esistenza in vita di Lo Porto?
"Finora non ci risulta".
Perché avete atteso tanto tempo prima di uscire allo scoperto?
"In questi casi le Istituzioni chiedono il silenzio. E noi abbiamo aderito all'invito nella speranza che agevolasse le trattative".
Ma qui non abbiamo neanche notizie su chi tenga in mano Giovanni.
"Il nostro appello punta proprio a scuotere le coscienze, ad attirare l'attenzione di chi ci appare distratto".
La ong tedesca per cui lavoravano i due cooperanti si è attivata?
"Da quello che ci risulta mantiene i rapporti con la famiglia del volontario italiano".
Sembra tutto molto disarmante.
"Noi non abbiamo e non vogliamo arrenderci. Dobbiamo agire, fare qualcosa, ricordare che c'è un giovane italiano prigioniero da qualche parte tra Pakistan e Afghanistan. L'Italia ha il dovere di rintracciarlo e di riportarlo a casa. Ma non chiedeteci ancora silenzio. Il caso di Giovanni Lo Porto è un caso dimenticato: noi chiediamo a Napolitano e Letta di tenerlo vivo. Di fare tutto il possibile per restituirlo alla sua famiglia e a tutti noi".