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"Non me ne andrò, rimarrò fino alla morte"

Le parole del colonnello Gheddafi ad una nazione in rivolta: "Sono la gloria non solo del popolo libico, ma di tutte le nazioni"

23 febbraio 2011

Oltre mille le persone uccise in Libia nel corso delle proteste contro il leader Muammar Gheddafi, mentre continuano le violenze contro i manifestanti. All'alba di ieri gli aerei militari sono tornati a bombardare le centinaia di migliaia di persone pro-democrazia riunite in piazza a Tripoli. Anche i battaglioni della sicurezza libica, fedeli al rais, hanno nuovamente aperto il fuoco oggi contro i manifestanti nella capitale.
Secondo Muhammad Abdellah, vice presidente del gruppo di opposizione Fronte di salvezza libico, "a Tripoli ci sono due quartieri dove molti cadaveri sono ancora in strada". Secondo l'oppositore, "il regime di Muammar Gheddafi controlla solo Tripoli. La maggior parte delle città del Paese sono in mano ai manifestanti, aiutati dall'esercito che si è rivoltato contro il regime. Ora si combatte solo nella capitale dove i manifestanti vengono attaccati".
Anche a Bengasi gli abitanti hanno preso il controllo della città, ha riferito alla Bbc un medico locale, Ahmad Bin Tahir. "Qui non c'è più la presenza dello Stato - ha detto Bin Tahir - Non c'è polizia, non c'è esercito, non ci sono figure pubbliche". Quello che invece governa a Bengasi è "il popolo, che si è organizzato per riportare l'ordine. Sono stati formati comitati per governare la città".
Diversi militari e politici, tra cui il ministro dell'Interno Abed Al-Fatah Yunis, sono passati dalla parte dei manifestanti. Ma proprio per limitare i danni alla vigilia della rivolta Gheddafi avrebbe fatto eliminare i vertici dell'esercito, uccidendo molti ufficiali che credeva potessero rivoltarsi contro di lui, sostiene l'ufficiale dell'aereonautica militare libica, Qasim Najiya ai microfoni di Al Jazeera. L'ufficiale ha inoltre chiesto ai manifestanti "di occupare tutti gli aeroporti per bloccare Gheddafi".
L'ultimo ad aver girato le spalle al colonnello è il generale Abdelhilam Hussein. Prima di lui aveva abbandonato il regime anche il generale al-Mahdi al-Arabi, che ha diffuso un comunicato per chiedere a tutti i militari di passare con i manifestanti.
Al-Fatah Yunis, secondo quanto riportato da Al Jazeera, ha chiesto alle forze armate di "unirsi al popolo e venire incontro alla richiesta della popolazione". La dichiarazione con cui il ministro afferma di essere passato con i ribelli del ministro arriva dopo che ieri nel suo discorso alla nazione Gheddafi aveva detto che il ministro sarebbe stato ucciso nei giorni scorsi a Bengasi.

IL DISCORSO DEL COLONNELLO - "Non sono un presidente e non posso dimettermi", ha affermato Muammar Gheddafi nel suo discorso in diretta tv ieri dalla sua casa di Bab al-Azizia a Tripoli. "Sono il leader della rivoluzione e lo sarò fino all'eternità - ha aggiunto - sono un combattente, un mujihid". E per quanto riguarda la Libia "non è in stato di guerra".
"Io non lascerò il Paese", ha assicurato subito dopo il leader libico ripreso su uno sfondo di quella che appariva come una casa bombardata. "Rimarrò qui nella mia casa che è stata obiettivo dei raid aerei americani. Io non sono un presidente o una persona normale che può essere uccisa con il veleno", ha detto il colonnello ricordando di "aver sfidato l'arroganza dell'America e della Gran Bretagna e non ci siamo arresi".
"Io sono un rivoluzionario - ha ribadito - il leader più grande. Ho portato il paese alla vittoria, alla vittoria che continua a dare frutti". "Sono la gloria non solo del popolo libico, ma di tutte le nazioni". E ripercorrendo la storia del Paese, ha anche voluto ricordare di come "anche l'Italia sia stata sconfitta sul suolo libico".
E riferendosi ai manifestanti: sono "un minuscolo gruppo di giovani drogati", "venduti", "scarafaggi", "nascosti in alcune città", che agiscono solo per "emulare quello che è successo in Tunisia ed Egitto". "Riportate a casa i vostri figli, sottraeteli alle mani dei rivoltosi", è l'appello lanciato allora da Gheddafi.
"Non ho usato la forza finora ma lo farò se sarà necessario", ha sottolineato Gheddafi sostenendo di non possedere "nemmeno un fucile". Quanto alla "città di Derna è caduta in mano ai seguaci di Osama Bin Laden" e "i manifestanti vogliono trasformare il paese nell'Afghanistan". All'esercito: "Riprenda il controllo della nazione e la gente scenda in piazza domani e attacchi i manifestanti".
"I libici non hanno motivo per manifestare", ha sottolineato. "La rivolta pacifica è una cosa - ha aggiunto - la ribellione armata è un'altra", ha detto, imputando ai manifestanti la chiusura di porti, aeroporti e delle altre infrastrutture del paese. E annuncia la nascita di "comitati per la difesa della rivoluzione" e "comitati per la difesa dei valori sociali, composti da un milione di giovani che hanno memorizzato il Corano e che non avranno l'ordine di uccidere". Inoltre il figlio Seifulislam "si consulterà con magistrati e avvocati" per dare "presto" al popolo "una costituzione e le leggi che chiede".
"Ho lasciato il potere nel 1975 e non ho voluto incarichi, io non sono il presidente ma il capo della rivoluzione e lo sarò per sempre. Ora tutto è in mano al popolo attraverso i comitati popolari", ha continuato il leader libico. "Ho lasciato tutto, anche i soldi del petrolio - ha aggiunto - è tutto in mano ai comitati popolari. Abbiamo combattuto gli americani, i francesi, Sadat e sono ancora qui". Rivolgendosi alla gente di Bengasi ha affermato: "Dove eravate voi quando abbiamo combattuto le nostre battaglie contro gli stranieri?".
"Bisogna distribuire al popolo i proventi del petrolio libico, in modo che ciascuno possa farci quello che vuole", ha ribadito per poi affermare di accettare "la proposta di concedere autonomie regionali". Parlando alla nazione ha affermato che la soluzione alla crisi in atto è la formazione di comuni e amministrazioni autonomi. "Vi invito a farlo, come ha proposto Seifulislam Gheddafi", ha detto il leader libico, ribadendo che combatterà "i nemici fino alla fine", "finché avrò ancora una goccia di sangue nelle vene".
"Tutto il mondo ci guarda con rispetto e con timore grazie a me, compresa l'Italia", ha affermato ancora Gheddafi. "Ci siamo fatti rispettare da tutti, quando sono andato in Italia hanno salutato con rispetto il figlio di Omar Mukhtar", ha aggiunto. "Non sono un presidente ma il capo della rivoluzione", ha sottolineato ancora una volta. E ha accusato "i servizi segreti stranieri di complottare contro di noi" e i media arabi di dare "una falsa immagine del nostro paese".

L'APPELLO DEL MINISTRO FRATTINI E LA TELEFONATA DI BERLUSCONI - Dopo le caute affermazioni su quanto stava succedendo in Libia e i messaggi di "fiducia" verso la condotta di Gheddafi lanciati dal responsabile della Farnesina, ieri il ministro Franco Frattini, intervenuto alla comunità di Sant Egidio ad un convegno sulla convivenza tra cristiani e musulmani, ha parlato di "violenze inaccettabili" in Libia. "Ribadiamo - ha detto - la richiesta di immediata cessazione delle violenze da parte del governo libico contro i manifestanti".
"Ribadiamo l'appello per scongiurare la guerra civile", ha continuato Frattini che all'inizio del convegno aveva parlato dell'"orribile spargimento di sangue che sta avvenendo in Libia", condannato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, di fronte al quale "il mondo è sgomento".
Ieri sera Palazzo Chigi, con un comunicato, ha reso noto che "il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ha avuto nel pomeriggio una conversazione telefonica con il leader della Jamahiriya libica, Muammar El Gheddafi". Berlusconi avrebbe chiesto al colonnello di cessare al più presto le violenze contro il suo popolo e di avviare un dialogo politico con chi è sceso in piazza in questi giorni contro il regime: "Bisogna scongiurare la guerra civile", ha detto il premier italiano. Il leader libico avrebbe rassicurato il premier sulla situazione in Libia, dicendo che nel Paese va tutto bene e che la verità sugli eventi la dicono i media libici.
Secondo l'agenzia Tmnews, nel corso del colloquio di una ventina di minuti, si è parlato anche del passaggio in cui Gheddafi ha sostenuto che l'Italia avrebbe fornito razzi ai manifestanti. Circostanza, quest'ultima, che secondo le fonti "Berlusconi ha seccamente smentito". Il cavaliere avrebbe invece fatto appello al leader libico affinché scongiuri una guerra civile. Il leader libico ha rassicurato Berlusconi che nel Paese va tutto bene e che la verità sugli eventi la dicono i media libici.
In passato, per due circostanze nell'ultimo anno, e con tutti gli onori, Berlusconi ha ospitato Gheddafi a Roma. Le lezioni di Corano impartite a frotte di hostess ingaggiate appositamente, le tende berbere a Villa Dora Pamphili, lo spettacolo del corpo dei carabinieri a cavallo, una serie di eventi eccezionali che fecero molto discutere visto la caratura del personaggio a cui erano dedicati.

L'INTERVENTO DI ROMANO PRODI: "I RAPPORTI SONO UTILI MA LA DIGNITA' VA SALVATA" - Il governo è "andato oltre" nel rapporto con Gheddafi e alla fine si è "fatto spettacolo". Così Romano Prodi, intervistato dal Tg3, ha parlato della situazione in Libia e dei rapporti tra il nostro paese e il regime. Prodi non si mostra ottimista su un processo di riconciliazione nel paese nordafricano perché "quando è corso molto sangue è difficile riconciliarsi". Quanto alla resistenza di Gheddafi al comando, Prodi non si sbilancia: "Nessuno può dirlo, anche se credo che la situazione sia a un punto di non ritorno".
Il professore si è concentrato sull'atteggiamento del governo italiano: "Le violenze vanno condannate subito. In questo caso riconosco che c'erano stati tali legami e un tale intreccio di interessi per cui c'era qualche difficoltà ad avere la reazione che questi eventi richiedono", ha sottolineato. "I rapporti con la Libia sono utili ma la dignità va sempre salvata". Non è "utile andare oltre le coordinate" ma con il governo Berlusconi "si è andati oltre perchè non era necessario, si è fatto spettacolo". Prodi non sottoscrisse l'accordo con Gheddafi "perché non lo ritenevo conveniente" e poi si dice preoccupato "per le nostre imprese in Libia". "Ci saranno certamente mesi di turbolenza", prevede. Sull'ipotesi di nuove ondate di immigrati, Prodi ha detto: "Non penso arrivino nuovi immigrati, ma quando arrivano dal mare non c'è alternativa ad accoglierli. Bisogna rimpatriarli ma dopo averli accolti".

GOVERNO: IN ITALIA PRESTO 300mila MIGRANTI - C'è il rischio che dopo la crisi libica, possano arrivare in Italia tra i 200 e i 300 mila immigrati. Sarebbe stata questa la valutazione fatta durante il vertice di governo sulla crisi del Maghreb. Sulla possibilità di un'ondata di clandestini, si era già espresso il ministro delle Riforme Umberto Bossi: "Intanto non sono arrivati, speriamo che non arrivino. Se arrivano li manderemo in Francia e Germania".
Sulla situazione di instabilità che sta interessando i Paesi dell'area del Mediterraneo e i relativi riflessi sull'immigrazione verso l'Italia e l'Europa, oggi si svolge a Roma una riunione dei ministri dell'Interno di Italia, Cipro, Francia, Grecia, Malta e Spagna. La riunione, voluta dal ministro Roberto Maroni, è finalizzata a sostenere la posizione espressa dall'Italia in seno all'Unione Europea e affermare una linea comune in vista del Consiglio Giustizia Affari Interni in programma il giorno successivo a Bruxelles.
Nel frattempo, il portavoce della commissaria europea agli Affari interni Cecilia Malmstroem ha fatto sapere che, qualora ve ne fosse bisogno, la missione Frontex dispiegata due giorni fa a Lampedusa "può essere ampliata in termini di risorse umane e tecniche". Per il momento, ha poi riferito Michele Cercone "non abbiamo informazioni su arrivi a Lampedusa dalla Libia".
Dalla Caritas si avverte però circa il possibile afflusso di profughi dalla Libia. "Non bisogna essere allarmisti né riduzionisti, tuttavia quello che si teme ora è un grande afflusso di profughi che potrebbero arrivare nei prossimi giorni dalla Libia", ha detto il responsabile nazionale immigrazione della Caritas Oliviero Forti all'Adnkronos. "Già a suo tempo avevamo criticato il pacchetto sicurezza e l'introduzione del reato di clandestinità, ma al di là di questo dobbiamo dire che è fallita la politica degli accordi bilaterali con la Libia sui flussi per fermare l'immigrazione", ha aggiunto Forti. Il tentativo di gestire il fenomeno migratorio "attraverso scorciatoie costruite con accordi con un governo come quello di Tripoli - ha detto il rappresentante della Caritas - ha dimostrato la sua debolezza". Quanto sta avvenendo, ha spiegato ancora Forti, dimostra che "non si possono stabilire accordi di questo tipo con un governo antidemocratico".

IL GAS LIBICO - La Libia chiude i rubinetti del gas verso l'Italia. Ma l'escalation della crisi non dovrebbe avere ripercussioni sul sistema, che dipende da Tripoli solo per il 10% del totale degli approvvigionamenti. Ad assicurarlo, non appena è stata confermata dall'Eni la chiusura del gasdotto Greenstream, è stato il governo italiano attraverso il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani. "Il sistema non è a rischio", ha puntualizzato, aggiungendo: "non c'è alcun problema per noi". Il Comitato di emergenza gas, che si è riunito questa mattina al ministero, comunque monitora con attenzione la situazione che si è venuta a creare dopo l'acuirsi della crisi in Gran Jamaharia.
La sospensione delle forniture libiche mette a rischio oltre 9 miliardi di metri cubi di gas che, qualora la crisi dovesse perdurare, sarebbero compensati da maggiori iniezioni di gas da altri Paesi. Attualmente l'Italia riceve oltre 40 miliardi di metri cubi dall'Algeria (22,7 mld mc nel 2009) e dai paesi dell'ex Urss (20 mld mc nel 2009). Dall'Olanda e dalla Norvegia, arrivano in Italia oltre 8 miliardi di metri cubi che si aggiungono agli altri 8,7 mld di metri cubi (nel 2009) che provengono da altri paesi minori.
Il sistema di stoccaggio di gas esistente in Italia, poi, può consentire, in caso di necessità, di avere un'ulteriore riserva per la sicurezza delle forniture, ha sottolineato il Ministero dello Sviluppo Economico, precisando che in ogni caso sono "assicurati i consumi per il medio-lungo periodo".
In Libia l'Eni ha "in via precauzionale" e "temporaneamente sospeso" alcune attività di produzione petrolifera e di gas naturale e sospeso la fornitura di gas attraverso il gasdotto Greenstream. I relativi impianti del gruppo petrolifero italiano "sono stati messi in sicurezza" e attualmente "le installazioni di produzione e trattamento di idrocarburi nel Paese non hanno subito alcun danneggiamento". Inoltre, ha spiegato il gruppo guidato da Paolo Scaroni, "è in corso il completamento del rimpatrio dei dipendenti e dei familiari del gruppo avviato nella giornata di lunedì".
Intanto l'Aie, l'Agenzia internazionale per l'Energia, ha fatto sapere di essere pronta a intervenire se necessario "rendendo disponibile del petrolio sul mercato nel caso di significative interruzioni delle forniture, qualora gli approvvigionamenti alternativi non potessero essere disponibili in tempi rapidi". L'Agenzia con sede a Parigi ha fatto sapere che comunque al momento non c'è questa necessità ma che "monitorerà la situazione attentamente e costantemente".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Adnkronos/Ign, Ansa, Repubblica.it, Corriere.it]

- Gli inglesi e la psiche di Gheddafi di Attilio Bolzoni (la Repubblica, 25 gennaio 2009)

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23 febbraio 2011
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