''Pane, meusa e... giustizia''
Condanne esemplari per gli estortori dell'Antica Focacceria San Francesco di Palermo
''E' una sentenza esemplare. Per tante ragioni: per l'entità della condanna; per i tempi rapidi della giustizia; per il nuovo contesto ambientale che si registra a Palermo''.
Tano Grasso, il presidente della Federazione nazionale antiracket, ha manifestato tutta la sua soddisfazione nel commentare la sentenza promulgata ieri contro gli estortori dell'Antica Focacceria San Francesco, storico locale di Palermo.
''Per la prima volta un imprenditore non era solo in un'aula di tribunale - ha aggiunto Grasso -; c'è stata solidarietà e copertura da parte dell'associazionismo antiracket. Questa sentenza è un'ulteriore stimolo a collaborare per gli imprenditori, dopo la svolta che si è realizzata a Palermo sabato scorso al teatro Biondo (riferendosi alla nascita della prima associazione antiracket Palermitana ''Libero Futuro'', ndr). Adesso c'è un'efficiente associazione antiracket. Nessuno più sarà solo''.
Già, nessuno deve rimanere da solo nella dura lotta contro il racket delle estorsioni, perché se l'azione delle forze dell'ordine e delle istituzioni non viene animata e resa vigorosa dalla forza e dalla volontà che viene dal basso, dall'esigenza dei diretti interessati, il contrasto a questo perno fondamentale della criminalità organizzata sarà sempre vanificato. Combattere il pizzo è principalmente una lotta contro la ''cultura mafiosa'' e nel momento in cui la voglia di cancellare questa si palesa interamente deve scendere in campo, con tutta la forza possibile, la Giustizia e la certezza che questa venga ripristinata.
Così è successo con il caso dell'Antica Focacceria San Francesco. I giudici della terza sezione del tribunale, presieduta da Raimondo Lo Forti, hanno condannato per estorsione aggravata i tre imputati accusati di aver chiesto il pizzo ai titolari della storica focacceria palermitana. Francolino Spadaro, figlio di Masino, ex boss mafioso del quartiere Kalsa, è stato condannato a 16 anni, Giovanni Di Salvo a 14 anni e Lorenzo D'Aleo a 10 anni e sei mesi. Nella requisitoria il pm Lia Sava aveva chiesto la condanna a 16 anni per Spadaro, a 13 per Di Salvo e a 10 anni per D'Aleo.
I tre sono stati condannati anche a risarcire di 50 mila euro Vincenzo Conticello e l'Antica focacceria; 20 mila ero vanno alle altre parti civili: Confesercenti, Sos impresa e Fai (Fondo antiracket italiano). Infine i condannati dovranno pagare le spese processuali.
Sempre per le estorsioni all'Antica focacceria, nel marzo scorso il gup Agostino Gristina, col rito abbreviato, aveva condannato a otto anni di reclusione Vito Seidita, anche per lui l'accusa era di estorsione aggravata dall'articolo 7, che configura l'aver agito nell'interesse di Cosa nostra.
''Non c'è dubbio che sia stata una sentenza importante. Dimostra che quando ci sono le denunce la polizia giudiziaria sa fare il proprio dovere, sa costruire i processi che poi reggono al vaglio di un giudice in una pubblica udienza'', ha detto il pm Maurizio De Lucia, dopo la lettura del dispositivo della sentenza. ''Questa sentenza dimostra - ha aggiunto - che tutte le volte che c'è il coraggio lo Stato è presente e non abbandona nessuno. Se ci sono le denunce, ci sono i processi e ci sono le condanne dei mafiosi''.
Il processo è scaturito da un'indagine dei carabinieri che vigilavano sul territorio e che si è poi ampliata con intercettazioni ambientali che hanno rivelato come il figlio del boss della Kalsa, con la sua banda, volesse accaparrarsi la gestione dell'Antica focacceria, facendo prima assumere Seidita, imponendo il pizzo e poi sottraendo il controllo dell'azienda ai fratelli Conticello.
Sul processo si sono accesi i riflettori quando il 18 settembre scorso Vincenzo Conticello, uno dei proprietari, chiamato a deporre, ha riconosciuto in aula l'uomo che andò nel locale per chiedere il pagamento del pizzo. ''E' lui, l'uomo con le stampelle'', aveva detto indicando Giovanni Di Salvo.
Infine il legale di Vincenzo Conticello, l'avvocato Stefano Giordano, nelle ultime fasi del processo, aveva subito alcune intimidazioni.
''Mi aspettavo una condanna che rispettasse le richieste del pm e così è successo. Questo rafforza la mia fiducia nello Stato, nella Procura di Palermo, nel nucleo operativo dei carabinieri che in cinque mesi sono riusciti a chiudere le indagini arrestando i colpevoli''. Così ha commentato Vincenzo Conticello, la condanna dei tre esattori del suo locale. ''Anche il fatto che la sentenza sia arrivata in tempi brevi - ha detto ancora Conticello - è un segnale forte a chi si trova in condizioni simili alle mie ed è preoccupato o sfiduciato. La denuncia è l'unico modo per sottrarsi alle estorsioni e per debellare questa piaga che affligge l'economia della Sicilia''.
Ecco, il coraggio di quel dito puntato sui propri estortori, elogiato dal pm Lia Sava perché: ''L'esempio di Vincenzo e Fabio Conticello è di grande importanza, non solo per l'imprenditoria ma per tutta Palermo e per la Sicilia'', è stato, finalmente, come ovvio ripagato, e diciamo finalmente perché a Palermo non era così, come ovvio debba essere.
I fratelli Conticello, ieri sera sono ritornati al lavoro in piazza San Francesco, fra le storiche cucine dove si prepara il pane con la milza ''schietta o maritata'' (con o senza ricotta,). Centinaia i palermitani che dopo aver sentito la notizia al telegiornale si sono riversati nella piazzetta per andare a congratularsi col proprietario e mangiare ''pane, meusa e giustizia''. ''La gente mi abbraccia, mi bacia, mette in difficoltà gli uomini della scorta...'', ha detto Conticello che sorride col soddisfazione del ''giusto''.
A Palermo il vento è cambiato, ma si deve tenere duro perché sono state vinte alcune battaglie, ma non la guerra. ''Questa sentenza non è un punto di arrivo. Siamo al punto di partenza. Da qui la società civile può rinascere'', ha detto Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria Sicilia ormai alla guida della ''ribellione degli imprenditori contro il pizzo'' (leggi). Ribellione che si è fatta sentire anche nei confronti dei vertici della Chiesa siciliana, che secondo il parere di Rodolfo Guaiana, altro ''imprenditore coraggio'' colpito duramente dalla criminalità del pizzo, è rimasta per troppo tempo in silenzio. Un monito che ha avuto effetti immediati visto che ieri, a trent'anni dalle omelie del cardinale Pappalardo sul ''peccato di mafia'', il nuovo arcivescovo di Palermo Paolo Romeo ha tuonato contro ''il peccato di racket'': ''Il racket, il pizzo, tutto ciò che non è frutto del sudore della propria fronte è peccato''. ''Chiedere il pizzo - ha sottolineato il presule - è una forma di violenza, di sopraffazione. In quanto allontanamento dai sentieri dell'amore di Dio è tra le forme peggiori di male che l'uomo può commettere contro i suoi simili''. Il vescovo ha bacchettato anche chi, per paura o quieto vivere, preferisce sottostare alle richieste del racket: ''Chi soccombe, pagando i propri estortori sa che partecipa a un processo di degenerazione etica e morale della società''.
Poi il pensiero di mons. Romeo, alla guida della diocesi palermitana da circa nove mesi, è andato alla ''presenza di quegli imprenditori che trovano il coraggio di denunciare il pizzo. Uno sprone ad andare avanti, anche se c'è ancora tanta strada da fare perché le persone che si ribellano al racket si contano sulla punta delle dita''.
Infine l'arcivescovo di Palermo, ha risposto anche a una domanda circa la frequente scoperta nei covi dei boss mafiosi di copie della Bibbia e immaginette sacre: ''Il mafioso segue una religione 'fai da te': prende dalla Bibbia solo quello che gli serve. Ciò che non gli conviene lo mette da parte. La Bibbia, di certo, non dice di ammazzare, di imporre la violenza o di estorcere il denaro''.
- ''Pane, meusa e... pizzo'' (Guidasicilia.it, 16/03/06)