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"Partim dolore, partim verecundia"

Dal 45esimo Rapporto Censis: la società italiana appare fragile, isolata e in affanno

02 dicembre 2011

L'Italia ha "vissuto in questi ultimi mesi una retrocessione evidente della nostra immagine nazionale". La società appare "fragile, isolata" e "in affanno". E' quanto emerge dal 45esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2011 che, "partim dolore, partim verecundia, cioè un po' con dolore e un po' con vergogna", prende atto della "retrocessione" dellItalia dovuta "alla caduta del nostro peso economico e politico nelle vicende internazionali ed europee".
"Abbiamo scontato certo una triplice e combinata insipienza", continuna il Rapporto: ovvero, aver "accumulato per decenni un abnorme debito pubblico, che non ci permette più autonomia di sistema; esserci fatti trovare politicamente impreparati a un attacco speculativo che vedeva nella finanza pubblica italiana l'anello debole dell'incompiuto sistema europeo; aver dimostrato per mesi e mesi confusione e impotenza nelle mosse di governo" in difesa dell'economia. "Il ritorno a un obbligo di credibilità internazionale che è in corso nelle ultime settimane non ci esime dal corrispettivo obbligo di guardarci dentro con severità, per capire le coordinate elementari dei problemi che abbiamo di fronte", sottolinea il Censis. "Realismo vuole, infatti, che si prenda atto di quanto la società italiana si sia in questi ultimi mesi rivelata fragile, isolata, in parte eterodiretta", avverte il centro studi.

I GIOVANI - E veniamo alle cifre. In Italia i giovani sono al centro della crisi: la difficile situazione economica si è abbattuta come una scure sugli under 35. In 4 anni il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità e nel 2010 quasi un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia nè lavora, consegnando così al Belpaese un triste primato a livello europeo. Inoltre molto alta, rispetto alla medie Ue è la quota degli scoraggiati: l'11,2% tra i 15 e 24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra i 25 e 29, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all'8,5%. Dunque il futuro della ripresa occupazionale resta incerto e mentre il mercato è sempre più incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali sembrano non conoscere crisi.

LAVORO - Nel mercato del lavoro i più colpiti sono stati i giovani, per quanto vittime loro malgrado di un calo demografico senza precedenti. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità, e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. Poco meglio è andata alla generazione immediatamente precedente. Anche tra i 35-44enni la crisi ha mietuto vittime, am con un impatto decisamente più contenuto: 100.00 posti di lavoro in meno, per un calo dell'1,4%. Di contro, nelle generazioni più mature i livelli occupazionali non solo sono stati salvaguardati, ma sono addirittura aumentati: +7,2% l'occupazione tra i 45-54enni e +12,9% tra i 55-64enni. La quota dei giovani cosiddetti 'Neet', sottolinea il Censis, ha ripreso a crescere con l'inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell'anno precedente. Tra il 2007 e il 2010 è aumentata l'occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in più, di cui circa 200.000 nell'ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell'ultimo anno. La frenata della crisi nel 2010 (bruciati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d'anno con segno positivo. Viene meno la capacità di tenuta dell'occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilità, si riduce dell'1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala però una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c'è una prima tiepida crescita: +0,2%).

VALORI POSITIVI - L'altra faccia del momento negativo è un recupero di serietà, di coscienza di una responsabilità collettiva "pronta a entrare in gioco come spesso è accaduto nei passaggi chiave della storia nazionale". Emergono nuovi giudizi su antichi vizi: l'80% condanna l'evasione fiscale. La tradizionale rete di salvezza, rappresentata dalla famiglia, comincia a mostrare "segni di debolezza, con riferimento alla patrimonializzazione e alla solidarietà intergenerazionale". In altre parole: le famiglie sono meno ricche di prima e stentano dare "protezione" in momenti di crisi come accadeva in passato. Però l'Italia ha ancora dalla sua parte elementi che possono consentire di uscire dalle difficoltà: il valore dell'economia reale, base del sistema delle medie e piccole aziende, le eccellenze dei territori, la capacità di aggregazione che mantiene anche una base di solidarietà possibile.

POTERI FINANZIARI - Nel 2008-2009, secondo il rapporto Censis, "avevamo dimostrato una tenuta superiore a tutti gli altri, guadagnandoci una good reputation internazionale". Ma ora "siamo fragili a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata e che si esprime sul piano interno con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico". Siamo anche "isolati, perché restiamo fuori dai grandi processi internazionali. E siamo eterodiretti, vista la propensione degli uffici europei a dettarci l’agenda". I punti di forza tradizionali, (capacità di adattamento, processi spontanei di autoregolazione nel welfare, nei consumi, nelle strategie d’impresa) non funzionano più. "Viviamo esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva (basti pensare a quanto hanno tenuto banco negli ultimi mesi termini come default, rating, spread) e alla fine ci associamo ma da prigionieri di culture e interessi che guidano quei concetti e quei termini".

COSA CI ACCOMUNA - Il 46% dei cittadini si dichiara "italiano"; i "localisti" sono il 31,3% e si riconoscono nei Comuni, nelle regioni o nelle aree territoriali; i "cittadini del mondo", che si identificano nell’Europa o nel globale, sono il 15,4%; i "solipsisti", che si riconoscono solo in se stessi, sono il 7,3%. La famiglia è indicata dal 65,4% come elemento che accomuna gli italiani. Seguono il gusto per la qualità della vita (25%), la tradizione religiosa (21,5%), l’amore per il bello (20%). Cosa dovrebbe essere messo subito al centro dell’attenzione collettiva per costruire un’Italia più forte? Per più del 50% la riduzione delle diseguaglianze economiche. Moralità e onestà (55,5%) e rispetto per gli altri (53,5%) sono i valori guida indicati dalla maggioranza degli italiani. Ed emerge la stanchezza per le tante furbizie e violazioni delle regole. L’81% condanna duramente l’evasione fiscale: il 43% la reputa moralmente inaccettabile perché le tasse vanno pagate tutte e per intero, per il 38% chi non le paga arreca un danno ai cittadini onesti.

FAMIGLIA E CASA - L’82% delle famiglie italiane sono proprietarie della loro abitazione, percentuale da sempre più alta che nei gli altri Paesi europei. L’attivo finanziario delle famiglie, al netto dei debiti, ammonta al 175% del Pil, quota maggiore che in Francia (131,5%), Germania (125,2%), Spagna (77,5%). Ma in valore assoluto c’è stata una erosione del patrimonio, passato dai 3.042 miliardi di euro del 2006 a 2.722 miliardi (-10,5% in valori correnti, -16,3% in valori reali). Se all’inizio degli anni ’80 il reddito da lavoro era il 70% del reddito familiare complessivo, nel 2010 la quota si è ridotta fino al 53,6%.

RETI RELAZIONALI - Le famiglie sono anche cambiate. Nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 739.000 coppie coniugate con figli (-8%), sono aumentare di 274.000 unità le coppie non coniugate con figli, le famiglie monogenitoriali (345.000 in più: quasi +19%) e i single (quasi 2 milioni in più: +39%). Mentre diminuisce la presenza della famiglia allargata di un tempo, sono sempre importanti le "reti di prossimità" (il 43,4% definisce il vicinato una comunità in cui tutti si conoscono, si frequentano e si aiutano) e di aiuto. Svolge attività di volontariato oltre il 26% degli italiani (più di 13 milioni di persone) e più del 32% degli italiani (15 milioni) dichiara di aver fatto donazioni a organizzazioni. Ci sono poi le reti che creano servizi supplettivi rispetto al welfare tradizionale: quasi 6 milioni di persone sono coinvolte in forme di mutualità in sanità, con circa 10 milioni di beneficiari.

AUTOSTIMA - Siamo uno dei Paesi al mondo dove è più forte lo scarto tra quello che all’estero si pensa di noi e la reputazione che noi stessi ci attribuiamo. Nella classifica della percezione internazionale ci collochiamo in 14ª posizione, prima di Regno Unito, Spagna, Francia e Stati Uniti. Perdiamo 2 posizioni rispetto al 2009, nulla di paragonabile al downgrading di Spagna, Irlanda e Grecia. Ma nella classifica della reputazione interna, l'Italia era al 26° posto su 33 Paesi esaminati nel 2009, scivoliamo fino al terz’ultimo posto su 37 Paesi nel 2011.

RICHIESTE ALLA POLITICA - Più razionalità e meno presa all’adesione per simpatia, fascinazione e carisma. Si chiede una classe dirigente di specchiata onestà sia in pubblico che in privato (59%), che i leader siano preparati (43%), illuminati da saggezza e consapevolezza (42,5%).

PRODUTTIVITA' - Nell’ultimo decennio gli occupati sono aumentati del 7,5%, ma il Pil è cresciuto in termini reali solo del 4%. Germania e Francia hanno registrato una crescita del Pil rispettivamente del 9,7% e dell’11,9%. Si è ridotta la nostra capacità di generare valore. La produttività oraria è andata progressivamente calando. Nel 2000, fatto 100 il livello di produttività medio europeo, l’Italia presentava un valore pari a 117, sceso nel 2010 a 101 (133 la Francia, 124 la Germania, 108 la Spagna, 107 il Regno Unito). Tale dinamica è stata condizionata dalla qualità della crescita occupazionale degli ultimi anni, con un aumento dei lavori a bassa o nulla qualificazione a scapito di quelli più qualificati

SCUOLA - Il tasso di diploma delle superiori non va oltre 75% dei 19enni. Se poi circa il 65% dei diplomati tenta ogni anno la carriera universitaria, tra il primo e il secondo anno di corso quasi il 20% abbandona gli studi. Il tasso di occupazione per i laureati è del 76,6%, all’ultimo posto tra i Paesi europei. Con la crisi la richiesta di laureati nel mercato del lavoro è addirittura diminuita. E difficilmente i giovani sono chiamati a coprire ruoli di responsabilità in tempi brevi, iniziando i percorsi professionali spesso al di sotto delle loro competenze: il 49,2% dei laureati 15-34enni e il 46,5% dei diplomati al primo impiego risultano sottoinquadrati.

IL CONTRIBUTO DEGLI IMMIGRATI - Sono oltre 4,5 milioni gli stranieri che vivono in Italia. Quelli che lavorano regolarmente sono più di 2 milioni, impiegati nei servizi (59,4%), nell’industria (19,5%), nelle costruzioni (16,7%), in agricoltura (4,3%). I titolari di impresa stranieri, sono aumentati dal 2009 al 2011 del 10,7%. Rappresentano il 10,7% dei piccoli imprenditori, ma a Prato sono il 38,9%, a Firenze il 21,5%, a Milano il 20%, a Trieste il 18,6%, a Roma il 16,9%. Particolarmente presenti in alcuni settori: le costruzioni (il 20,2% degli imprenditori attivi) e il commercio al dettaglio (18,1%). E le donne sono protagoniste: oltre 77.000 imprenditrici straniere (il 21,8% del totale)

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Corriere.it]

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02 dicembre 2011
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