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''Quante cose sa Provenzano''

Continua il processo alle Talpe alla Dda di Palermo. Altre rivelazioni dal pentito Antonino Giuffrè

09 marzo 2005

L'ex boss di Caccamo, uomo fidatissimo di Provenzano e dal 2002 collaboratore di giustizia, Antonino Giuffrè, oltre ad aver dato un volto nuovo alla ''primula rossa'' continua a dare informazioni che stringono sempre più il cerchio attorno al superlatitante nemico pubblico numero uno. Un cerchio molto largo, fatto di intrighi profondi, che al suo interno ha risucchiato politica e giustizia, confondendo le carte del lecito con quelle dell'illecito, che ha corrotto uomini e luoghi insospettabili.
Un potere occulto, capace di cambiare le regole dello stato e pronto a prenderne il posto, quello manovrato da Bernardo Provenzano, un potere che gli ha permesso di diventare invisibile per 42 anni e tenere, dall'oscurità le redini di Cosa Nostra.
Una Cosa Nostra che ha allacciato legami stretti e forti con il cuore dei palazzi di giustizia e di governo, un organizzazione capace e sicura di un controspionaggio inattaccabile, più forte di mille bombe, terribile più del tritolo, e che non ha più bisogno di uccidere nessuno.

Uno scenario, quello del ''controspionaggio di Cosa Nostra'' rivelato nell'aula bunker di Milano dal pentito Giuffrè, rispondendo alle domande del pm Michele Prestipino.
Il collaboratore sta deponendo nel processo alle ''Talpe alla Dda di Palermo'' in cui sono imputate 13 persone, fra cui, ricordiamo, il Governatore dell'isola Salvatore Cuffaro, e il maresciallo dei carabinieri del Ros, Giorgio Riolo, l'esperto di elettronica che aveva il compito di sistemare le microspie nell'ambito dell'indagine sulla ricerca di Provenzano e che, secondo l'accusa, riferiva tutto all'imprenditore bagherese Michele Aiello, anche lui sotto processo per associazione mafiosa e indicato come prestanome del boss.
''Provenzano - ha detto Giuffrè - era informato passo passo della presenza di microspie e telecamere. Lui mi ha spesso avvertito del pericolo di incappare in questi aggeggi elettronici. Lo ripeteva spesso, anche quando ci incontravamo, di stare attenti. Negli ultimi periodi, durante i nostri incontri, era così guardingo che effettuava i controlli delle stanze dell'abitazione in cui ci ritrovavamo, utilizzando un apparecchio che rilevava la presenza di eventuali microfoni''.
Informazioni riservate che arrivavano a Provenzano da Bagheria (PA). ''So che queste informazioni riservate - ha detto Giuffrè rispondendo alle domande del pm - , in cui si indicavano anche i luoghi in cui erano piazzate le microspie, arrivavano a Provenzano da Bagheria, in particolare da Nino Gargano e Nicolò Eucaliptus''.

Oltre a raccontare delle ''misure di sicurezza'' adottate per incontrare Provenzano e non essere scoperti dalle forze dell'ordine, e delle strade che i ''pizzini'' del boss percorrevano per raggiungere i vari destinatari di Cosa Nostra, Giuffrè ha descritto anche il ruolo del padrino corleonese ricercato da 42 anni: ''E' stato lui - ha detto il pentito - ad aver tracciato una nuova strategia dentro Cosa Nostra e per questo si può definire l'ideologo''.
Una strategia che prevede una vera e propria ''gestione politica'' di Cosa Nostra voluta da Provenzano dopo l'arresto di Totò Riina, avvenuto nel 1993. A partire da quella data, ha spiegato il pentito, si sarebbe avuta, una ''svolta'' cioè ''non si sono più uccisi i politici''.
Provenzano, ha detto Giuffrè, avrebbe cercato di circondarsi di persone insospettabili che ''potevano essere infiltrate nella politica''.

E' in merito di questa ''svolta politica'' della mafia che Giuffrè ha puntato il dito contro Totò Cuffaro, sostenendo che la sua elezione a Presidente della Giunta regionale nel 2001 sarebbe stata ''appoggiata'' da Cosa Nostra, che avrebbe ''interferito'' nella campagna elettorale tramite ''persone insospettabili, dal volto pulito''.
''Provenzano faceva spesso presente l'inaffidabilità e l'inesperienza dei politici di adesso che non sono capaci di gestire dietro le quinte le attività di sottogoverno e di favorire i nostri uomini''. Secondo l'ex capomafia di Caccamo, sarebbe stato direttamente Bernardo Provenzano ad impartire l'ordine di appoggiare Cuffaro, ''perché lo considerava un politico affidabile fin dal 1996''. Il boss, sempre in base al racconto di Giuffrè, era ''ancorato alla vecchia democrazia cristiana, ai politici che la rappresentavano'' e di cui Provenzano ''stimava la serietà, l'esperienza e l'affidabilità''.
La replica di Cuffaro nei confronti di queste pesantissime accuse non si è fatta attendere: ''Le dichiarazioni del collaborante Giuffrè, mettono in luce un dato incontestabile: il sottoscritto non ha mai cercato appoggi elettorali in ambienti mafiosi, che invece sembrano aver assunto le loro determinazioni in ragione di squallidi e vergognosi calcoli di potere''.
Il presidente della Regione si è detto inoltre ''sorpreso dalle doti divinatorie di questi ambienti criminali i quali già nella campagna elettorale del 1996 erano a conoscenza del fatto che sarei diventato assessore all'agricoltura del prossimo governo, cosa che all'epoca io non solo ignoravo, ma neanche immaginavo essendomi sempre occupato di tutt'altro''.

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09 marzo 2005
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