''Report'' scatena nuove ire
L'inchiesta ''La mafia che non spara'', andata in onda sabato scorso, ha suscitato un vespaio di polemiche
Sabato scorso, 15 gennaio 2005, è andato in onda in prima serata su Raitre un'edizione speciale di ''Report'', il seguitissimo programma d'inchiesta di Milena Gabbanelli.
La puntata, intitolata ''La mafia che non spara'', dedicata all' ''azienda mafia'' che fa affari più di prima e regna sovrana sui destini politici e sociali della Sicilia, è stata seguita da oltre 2 milioni di spettatori e ha scatenato furiose polemiche.
''La mafia che non spara'' è un'inchiesta, della durata di un'ora e mezza, realizzata dall'inviata del Tg3 Maria Grazia Mazzola, ''esperta'' della materia, che da anni segue con attenzione l'evolversi del fenomeno mafioso e ha spesso intervistato per il TG i protagonisti della lotta a ''Cosa nostra''.
Un viaggio attraverso la Sicilia, partendo dalla provincia di Palermo, alla ricerca dei tanti perché non viene ancora preso il boss numero uno, il latitante Bernardo Provenzano. Un ''padrino'' avvolto da tanti, troppi misteri, che riesce a fuggire alla giustizia da 40 anni.
Nella puntata di sbato per la prima volta è stato trasmesso un filmato inedito che ritrae Provenzano, di cui le forze di polizia posseggono solo un identikit, elaborato sulla base di una vecchissima foto. Tra l'altro, l'inchiesta ha cercato di dimostrare anche come da sempre il boss riesce a sapere in anticipo quello che gli inquirenti stanno per fare.
L'autrice del reportage ha setacciato la Sicilia per documentare come ormai il sistema mafia sia diventato una forma di economia con le sue regole e i suoi dividendi, anche attraverso il metodo del ''pizzo'', dell'estorsione su tutte le forme di attività imprenditoriale, piccola o grande che sia.
Ma se il panorama mostrato dall'inchiesta è disastroso, rispetto solo a cinque anni fa, c'è ancora chi si oppone al dilagare della ''piovra'', chi cerca di reciderne i tentacoli velenosi. E così la giornalista ha riportato le interviste ad alcuni giudici, tra i quali il Presidente del Tribunale, Leonardo Guarnotta (che ha di recente condannato Marcello Dell'Utri), oltre ai ''superstiti'' del pool che mise in piedi Giovanni Falcone, come Gioacchino Natoli, Giuseppe Di Lello e Antonio Ingroia, anche per sapere se è ancora vivo quel metodo che tanto successo portò nella lotta contro la mafia.
La conclusione, purtroppo, secondo l'autrice, è che quello spirito, quel sistema che fece di Falcone e Borsellino due eroi laici, due martiri della nostra repubblica, è stato tradito. La mafia che non sempre spara e che sta facendo affari a palate è ancora più estesa e pericolosa di prima!
Insomma, come dire: Niente di nuovo sotto il cielo di Sicilia. L'inchiesta presentata da Report, ha mostrato per l'ennesima volta la condizione che magistrati e giudici che lavorano in Sicilia denunciano ormai da anni. Nonostante ciò la puntata ha suscitato, come accennato prima, furiose polemiche politiche.
''Un danno per la Sicilia'', così il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani ha acceso la polemica sull'inchiesta di 'Report', polemica che probabilmente porterà il caso in Commissione di vigilanza Rai. ''La trasmissione di ieri - ha detto Schifani - ha prodotto un ulteriore gravissimo danno alla Sicilia, poiché ha descritto con una prospettiva unicamente mafiosa una regione che invece è assai complessa e le cui caratteristiche non sono frazionabili. Il messaggio prevalente emerso dalla trasmissione è stato invece la impraticabilità imprenditoriale dell'isola. Ciò è immeritato e ingiustificato e scoraggia chi volesse investire. E dire che è stato proprio il campo libero che ha dato giovamento alle attività illecite. Né va dimenticato che legalità e sviluppo vanno di pari passo. La Sicilia non tollererà oltre, i siciliani non possono tollerare oltre!''.
Ma non soltanto Schifani si è detto oltraggiato dall'inchiesta di Maria Grazia Mazzola, in prima linea, contro Report anche il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, indignato per quello che ha definito un episodio da ''sciacallaggio mediatico ai danni dell'intero sistema produttivo siciliano''.
Cuffaro (che si è forse sentito chiamato direttamente in causa, visto che nell'inchiesta si parla anche del caso delle ''Talpa alla Dda di Palermo'', inchiesta per la quale Totò Cuffaro è indagato) ha annunciato di voler investire Ciampi della questione e ha sollecitato l'intervento della Vigilanza Rai. ''Qualcuno sarà chiamato a rispondere, nelle forme di legge, per questo devastante danno d'immagine'', e promette ''eclatanti azioni di protesta nel caso in cui la Rai non metta in atto tutti gli strumenti possibili a recuperare il danno''. ''Tralascio qualsiasi commento sull'esposizione assolutamente parziale e fuorviante delle mie personali vicende - afferma Cuffaro - perché di questo si occuperanno i miei avvocati. Trovo vergognoso che una rete televisiva del servizio pubblico si presti a un'operazione di killeraggio mediatico nei confronti di un'intera regione, spacciandola come giornalismo d'inchiesta''.
''Sono state ignobilmente miscelate - prosegue il presidente della Regione Siciliana - inesattezze, parzialità, mezze verità e autentiche falsità, non rinunciando a 'contestualizzare' opportunamente, in questa cornice, anche le dichiarazioni di autorevoli esponenti delle Istituzioni. Il tutto per raccontare in prima serata, di sabato, all'intero Paese, di una Sicilia dalla quale le imprese e, forse, anche i cittadini dovrebbero scappare; salvo tornare quando i pochi, impegnati per la legalità e lo sviluppo, ovviamente militanti nel solo schieramento politico d'opposizione, saranno finalmente andati al governo''. ''Società e istituzioni - ha concluso Cuffaro - sono impegnate ormai da anni, non certo per meriti esclusivi del mio governo, in un percorso irreversibile di crescita morale, sociale ed economica, della quale legalità trasparenza amministrativa sono una componente essenziale. Basterebbe dare una rapida scorsa agli ultimi dati sul nostro trend economico, sul numero crescente di imprese che investono nell'Isola, sull'utilizzo dei fondi di Agenda 2000 o sul quadro degli interventi e delle risorse messe in campo in tema di sicurezza e legalità. Tutto ciò non significa affatto negare la presenza corrosiva della mafia o di un sviluppo non ancora completato. Ma ciò che credo interessi molto di più agli italiani è sapere, di fronte a questioni ancora aperte, verso dove una realtà importante, come quella siciliana, si muove. Esattamente l'intento opposto rispetto a quello di una trasmissione che avevo un unico obiettivo: non raccontare, ma solo colpire''.
Contro l'inchiesta di Maria Grazia Mazzola anche il capogruppo dell'Udc al Senato Francesco D'Onofrio ("un insulto al Sud, un danno all'Italia intera dipingendo la Sicilia quasi esclusivamente come terra di mafia") ed il senatore di Fi Mario Ferrara, che ha ricordato come sia stato proprio il governo del centro destra ad attuare misure più severe contro la mafia stabilizzando il 41 bis.
Gli esponenti del Polo, nei loro interventi, si sono rivolti al direttore generale della Rai Flavio Cattaneo chiedendone l'intervento e ai parlamentari siciliani per ottenere chiarimenti in Commissione di vigilanza Rai.
L'inchiesta ''La mafia che non spara'' (che sarebbe dovuta andare in onda in due parti in seconda serata, riunite poi in una sola, ma in prima serata) è stata difesa e apprezzata da vari esponenti del centrosinistra: il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, segretario della commissione di vigilanza, i parlamentari ds in Vigilanza Giuseppe Giulietti, Gloria Buffo e Giorgio Panattoni ed il segretario dell'Usigrai (Unione sindacale Giornalisti Rai) Roberto Natale, oltre al sindaco di Gela, Rosario Crocetta. Quest'ultimo ha espresso apprezzamento ''per il lavoro d'indagine. I giornalisti sono stati molto bravi, denunciando nettamente i livelli spaventosi di controllo mafioso dell'economia e della politica che si sono raggiunti negli ultimi anni in Sicilia''. Il sindaco, pur condividendo alcuni dei giudizi espressi dal senatore Renato Schifani chiede però che anziché diminuire, le trasmissioni sulla mafia aumentino. ''Niente censure, dunque, semmai incoraggiare il servizio televisivo pubblico ad affrontare più spesso questi temi''.
- La puntata di ''Report'' di sabato 15 gennaio 2005