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''Si parlerà ancora di me''

Matteo Messina Denaro: un boss rammaricato e sfiduciato e che presto la Giustizia catturerà

28 aprile 2008

In questi giorni si è tornato a parlare con insistenza dell'ultimo dei super latitanti mafiosi, Matteo Messina Denaro, per una serie di murales che sono spuntati nei muri di Palermo e di Castelvetrano, paese natale del latitante. Qualcuno ha dipinto un'immagine del boss trapanese alla manière de Andy Warhol e con tipica grafia da writer ha scritto la frase, dalle molteplici (e oziose) interpretazioni: MESSINA DENARO $ L'ULTIMO!
Di questo specifico caso parleremo altrove. Qui vogliamo concentrare l'attenzione su quanto questa vicenda ha portato in superfice sul conto del superlatitante di Cosa nostra, oggi obiettivo numero uno per l'intelligence antimafia.
Organizzatore ed esecutore delle stragi del 1993 di Roma, Milano e Firenze, latitante da 15 anni, le sue ultime tracce risalgono ad un paio di anni fa, quando nel 2006 un misterioso confidente dei servizi segreti, nome in codice "Svetonio", riuscì a scambiarsi delle lettere con Matteo Messina Denaro. Da quella corrispondenza, oramai tutta pubblica, emerge il ritratto di un capomafia di spessore, capace di parlare attraverso citazioni letterarie, di esternare ''alte'' considerazioni politiche e pillole di ''filosofia mafiosa''. Ma quello che risulta più interessante dalle missive è il rancore e la rabbia nei confronti del ''supremo'' Bernardo Provenzano di cui si diceva essere il ''prescelto'' (insieme a Salvatore Lo Piccolo) per continuare l'impero del male, l'impero di Cosa nostra.

Nel 2006 Messina Denaro, scriveva lunghe lettere a "Svetonio", una persona che riteneva amica e che "si metteva a disposizione". Svetonio in realtà era Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, già indagato per mafia (accusa archiviata) e condannato per traffico di stupefacenti, arruolato dal servizio segreto civile per fare da esca al latitante e farlo arrestare.
Nelle lettere scritte a Vaccarino si legge di un boss che non crede più in niente. Non crede neppure che il "progetto politico" prospettato da "Svetonio", possa avere un futuro, anche se "so che lei farà sempre tutto il possibile affinchè la nostra causa possa avere una svolta... per ristabilire la verità delle cose".
"Jorge Amado - cita il capomafia in una missiva - diceva che non c'è cosa più infima della giustizia quando va a braccetto con la politica e io sono d'accordo con lui. Da circa 15 anni c'è stato un golpe bianco tinto di rosso attuato da alcuni magistrati con pezzi della politica...". "Oramai non c'è più il politico di razza, l'unico a mia memoria fu Craxi ed abbiamo visto la fine che gli hanno fatto fare... Oggi per essere un buon politico basta che si faccia antimafia...". E nella stessa lettera si può leggere ancora: "Sono un nemico della giustizia italiana che è marcia e corrotta dalle fondamenta, lo dice Tony Negri ciò, ed io la penso come lui".
Insomma, Matteo Messina Denaro, come un ideologo di Cosa nostra sembra rendersi conto che attualmente la mafia si trova ad un livello inferiore rispetto alla politica: "Non abbiamo più potere contrattuale, non abbiamo più nulla da offrire, chi vuole che si vada a sporcare la bocca per la nostra causa?". "Ce l'abbiamo fatta con l'alluvione e con la pestilenza; con la legge non s'è potuto, no: abbiamo perso".

In un'altra lettera, del 22 maggio 2005, e dove si firma "Alessio", nome molto presente nei pizzini trovati nel covo corleonese di Provenzano, Messina Denaro scrive: "Il mio scetticismo era ed è rivolto alla classe che dirige il Paese. Non vedo uomini, solo molluschi opportunisti che si piegano come fuscelli al vento, dico ciò con cognizione di causa, ed il peggiore è chi ne sta a capo, un volgare venditore di fumo e chiudo qua perchè per iscritto non voglio andare oltre". "E' anche vero che ancora si sentirà molto parlare di me, ci sono ancora pagine della mia storia che si devono scrivere. Non saranno questi 'buoni' e 'integerrimi' della nostra epoca, in preda a fanatismo messianico, che riusciranno a fermare le idee di un uomo come me. Questo è un assioma".
"Parlando dei miei mancati studi - risponde a Svetonio/Vaccarino, il 30 novembre 2005 - si è toccato un punto dolente... il non aver studiato è stato uno degli errori più grandi della mia vita, la mia rabbia maggiore è che ero un bravo studente... se potessi tornare indietro... ho sempre ritenuto inutile raccontare le mie cose intime... ma oggi le confido una cosa: veda io non conosco mia figlia (che ha otto anni, ndr), non l'ho mai vista, il destino ha voluto così. Come posso sperare una nuvola di favola?".

L'ultima lettera, datata 28 giugno 2006, Alessio/Messina Denaro la scrive solo per mettere in allarme l'amico politico e per esprime il rammarico nei confronti di quello che, fino a pochi mesi prima, era stato il faro di Cosa nostra. Provenzano ad aprile è stato scovato e con lui tutte le lettere inviategli dal boss di Trapani. Di ciò Matteo Messina Denaro si lamenta fino ad usare parole pesanti verso il vecchio boss. Una dura contestazione all'imprudenza di Provenzano che conservava i pizzini invece di distruggerli: "Lei sa, a quello hanno trovato delle lettere [...] Se lo avessi davanti gli direi cosa penso e, dopo di ciò, la mia amicizia con lui finirebbe. Oggi posso dire che se la vede con la sua coscienza, se ne ha, per tutto il danno che ha provocato in modo gratuito e cinico ad amici che non lo meritavano [...] Delle mie lettere, pare ne facesse collezione... non so perché ha agito così e non trovo alcuna motivazione a ciò e, qualora motivazione ci fosse, non sarebbe giustificabile [...] D'altronde non avevo a che fare con una persona inesperta ed ero tranquillo, anche perché io non ho lettere conservate di alcuno. Quando mi arriva una lettera, anche di familiari, rispondo nel minor tempo possibile e subito brucio quella che mi è arrivata [...] Tutto mi potevo immaginare, ma non questo menefreghismo da parte di una persona esperta. E forse ci sono le copie di quello che lui diceva a me, ma questa è solo un'ipotesi. Ormai c'è tutto da aspettarsi; siccome usava la carta carbone, può anche darsi che si faceva le copie di quello che scriveva a me e se le conservava, ma ripeto, questa è solo una mia ipotesi poiché ormai mi aspetto di tutto. Ci sono persone a me vicine e care che sono nei guai e sono imbestialito, troppo addolorato e dispiaciuto. E' una cosa assurda dovuta al menefreghismo di certe persone che non si potevano permettere di comportarsi così".

Ecco le ultime tracce di Matteo Messina Denaro, boss profondamente rammaricato e sfiduciato... Le forze dell'ordine lo troveranno e ''MATTEO MESSINA DENARO $ L'ULTIMO!'', diverrà un pezzo della storia criminale italiana...

Ex killer di Cosa nostra suicida in cella. Era nel clan di Messina Denaro
Ieri un killer delle cosche trapanesi di Matteo Messina Denaro, si è suicidato in carcere, a Torino. Si chiamava Giuseppe Clemente, 44 anni, di Castelvetrano, insospettabile imprenditore che ebbe un ruolo preminente nei "gruppi di fuoco" dei corleonesi di Totò Riina nel Trapanese. Era stato condannato all'ergastolo in via definitiva dalla Cassazione nel febbraio del 2004 insieme a Matteo Messina Denaro, nell'ambito del maxi-processo "Omega", per una serie di omicidi tra cui la "lupara bianca" di tre presunti mafiosi e l'uccisione dell' imprenditore Giuseppa Piazza e dell'operaio Rosario Sciacca.
L'inchiesta che aveva portato all'ergastolo Giuseppe Clemente prese il via dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Patti, affiliato alla famiglia mafiosa di Marsala. Le sue rivelazioni consentirono di fare luce su una sessantina di omicidi ordinati da Cosa nostra e commessi nel trapanese dal 1960 al 1990.
Clemente si è suicidato, impiccandosi con un lenzuolo ad una finestra, in un bagno del reparto Sestante, la sezione  di "osservazione e trattamento psichiatrico dei detenuti", dov'era ricoverato dal  febbraio scorso. Soffriva di disturbi della personalità a causa di una forte depressione, ma negli ultimi tempi sembrava avere recuperato i suoi problemi e stava per essere dimesso. Il detenuto aveva chiesto di andare agli arresti domiciliari ed era in attesa di una risposta dal Tribunale di sorveglianza. Il suicidio è  avvenuto nonostante il reparto fosse controllato da telecamere.

[Informazioni tratte da Repubblica.it, La Sicilia.it, Corriere.it]

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28 aprile 2008
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