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''Siamo nell'anticamera della verità''

Aspettando le parole di Claudio Martelli. Dopo diciassette anni dalla strage di Via D'Amelio...

15 ottobre 2009

Ha atteso diciassette anni prima di andare dai giudici di Caltanissetta per raccontare gli ultimi due giorni di vita del marito, Paolo Borsellino. "Avevo paura", ha detto la vedova Agnese Piraino Leto. "Non tanto per me, ma avevo paura per i miei figli e i miei nipoti".
Un verbale di dichiarazioni rese un mese fa al Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e al suo vice, Nico Gozzo in cui la vedova Borsellino, come ha scritto ieri 'Repubblica', racconta le ultime conversazioni con il marito, ucciso nella strage di via D'Amelio il 19 luglio del 1992 insieme con cinque agenti della scorta.

Il 17 luglio, come racconta Agnese Piraino, Borsellino era tornato a Palermo dopo un interrogatorio con il pentito Gaspare Mutolo. Si fece lasciare dalla scorta nella villa al mare e fece una passeggiata con la moglie. "Aveva voglia di sfogarsi - ha detto la donna - Dopo qualche minuto di silenzio mi disse: 'Ho appena visto la mafia in faccia...'".
Borsellino il lunedi' successivo, 20 luglio, sarebbe dovuto tornare a Roma per continuare l'interrogatorio di Mutolo. La domenica mattina era arrivata a casa Borsellino una telefonata. "Quel giorno, molto presto - ha detto la vedova - mio marito ricevette una telefonata dall'allora procuratore Giammanco. Mi disse che lo 'autorizzava' a proseguire gli interrogatori con Mutolo che, per organizzazione interna all'ufficio, dovevano essere gestiti invece dal procuratore aggiunto Aliquo'". Il giudice aveva raccontato alla moglie di avere appreso da un altro pentito che Cosa nostra lo voleva uccidere.

Sullo sfondo di queste rivelazioni sulle stragi mafiose del '92 anche il commento del pm Luca Tescaroli, che rappresentò l'accusa nel processo per la strage Borselino (oggi lavora a Roma), e che all'Unità ha detto di essere convinto che Borsellino - che secondo l'ex ministro Martelli avrebbe appreso della trattativa - "non si fidava dei suoi stessi superiori".
Sulle recenti dichiarazioni di Claudio Martelli, secondo cui Borsellino avrebbe saputo da Liliana Ferraro degli incontri tra Vito Ciancimino e i carabinieri, Tescaroli dice: "Sia la Ferraro che Martelli hanno reso testimonianza in istruttoria e in aula per la strage di Capaci. Ma non hanno mai fatto riferimento a trattative o a cose simili. Queste ultime rivelazioni a distanza di così tanto tempo mi confermano un'idea: c'è stata una cortina di ferro intomo all'accertamento della verità, di tutta la verità, sulle stragi. Potevamo fare passi in avanti importanti che non ci è stato concesso di fare. C'è un nodo irrisolto".
E alla domanda se la trattativa tra Stato e mafia abbia influito sulla strage di via D'Amelio, ha detto: "E' un dato acquisito che vi fu un'accelerazione per la strage. Dopo Capaci Cosa nostra aveva messo in preventivo l'eliminazione di Calogero Mannino ma tutto si bloccò e Borsellino diventò un obiettivo da colpire nel più breve tempo possibile. La domanda è perché? Perché si trovò davvero sovraesposto: chi lo candidava alla procura nazionale antimafia, chi addirittura alla Presidenza della Repubblica". "Sì, vi fu una sovraesposizione del giudice. Ma che non spiega - conclude Tescaroli - la fretta nel volerlo eliminare ad ogni costo e dopo solo 57 giorni dalla strage di Capaci. Nessuno è sprovveduto dentro Cosa nostra. Non potevano non immaginare che stavolta lo Stato avrebbe reagito. Di sicuro Borsellino si sarebbe opposto a qualsiasi trattativa" (Leggi articolo su l'Unità).

Ieri, i procuratori di Caltanissetta Sergio Lari e Domenico Gozzo e il procuratore di Palermo Antonio Ingroia, hanno interrogato per circa quattro ore Liliana Ferraro, ex capo degli affari penali del ministero della Giustizia ai tempi dell'uccisione di Paolo Borsellino. I pm hanno ascoltato Ferraro nell'ambito dell'indagine sulla presunta trattativa tra Stato e mafia e sulla strage di via D'Amelio.
Secondo quanto reso noto la settimana scorsa dall'ex Guardasigilli, Claudio Martelli, durante la trasmissione "Annozero", Liliana Ferraro avrebbe informato Paolo Borsellino della trattativa che l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino aveva avviato con i carabinieri del Ros per mettere fine alle stragi di Cosa nostra in cambio di un elenco di concessioni ai boss mafiosi.
La Ferraro avrebbe dimostrato di conservare un ricordo lucido della vicenda e ha giustificato 17 anni di silenzio adducendo che le stesse notizie in suo possesso, lo erano conosciute anche da altri soggetti istituzionali. Tra questi anche uomini di organi investigativi.
I pm che indagano di nuovo sulle stragi degli anni '90 sentiranno anche Claudio Martelli.

Il procuratore Ingroia e l'esistenza del "papello" - Siamo "nell'anticamera della verità", vicini quindi a capire cosa avvenne prima e durante l'epoca stragista voluta da Cosa nostra, se ci furono - e soprattutto tra chi - contatti tra i boss e lo Stato. "Come nella stagione 1996/1998. E come allora il clima politico cambia, diventa difficile". Così difficile al punto da far dire al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: "Non tutta l'Italia vuol sapere la verità".
Forum nazionale contro la mafia, Firenze: ieri mattina ha parlato Ingroia, che ha anticipato il suo intervento al Forum, perchè di pomeriggio si è recato a Roma per ascoltare Liliana Ferraro.
Oggetto: la trattativa tra Stato e mafia, il 'papello', ovvero le richieste fatte da Cosa nostra alle istituzioni. Martelli, lo stesso che venne ascoltato come persona informata dei fatti da Gabriele Chelazzi, magistrato fiorentino della Direzione nazionale antimafia che indagava proprio sulla trattativa e che scrisse: "vi sono elementi positivi e univoci nella dimostrazione che vi furono contatti secondo uno schema contrattuale tra Cosa nostra e soggetti politici". Chelazzi ascoltò come persone informate dei fatti Martelli, ma anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, l'ex direttore del Dap Nicolò Amato, l'ex direttore del Sisde, generale Mario Mori. Quei verbali verranno "attentamente esaminati - ha detto Ingroia -. Oggi però c'è qualcosa di unico. Per una serie di coincidenze un 'fascio di luce' ha fatto sì che tra i protagonisti istituzionali di quella stagione ciascuno ha messo a fuoco ricordi evidentemente messi da parte".
Si torna a parlare di 'papello', il foglio sul quale vennero scritte le 'richieste' che Cosa nostra avanzava al potere politico, a partire dalla cancellazione del decreto legge sul 41 bis. Un decreto che venne firmato proprio dall'allora guardasigilli Claudio Martelli. Un 'papello' che da tempo massimo Cinacimino, figlio di Vito, dice di avere ma che ancora non è stato mostrato. "Una serie di risultanze ci fanno credere che il 'papello esista. - ha detto ancora Ingroia -. Sapremo presto se riusciremo a venirne in possesso. Se si dovesse trovare - ha detto - questo sarebbe la prova tangibile che la trattativa fra mafia e Stato non solo è esistita ma anche iniziata. Non sarebbe la fine ma l'inizio delle indagini per scoprire fino a che punto è arrivato quel tentativo". Oggi, sembra tornata la memoria su fatti avvenuti 17 anni fa: "ed è importante utilizzare - ha concluso Ingroia - i nuovi ricordi, togliere le ombre gettate sulla verità dai tanti 'non so, non ricordo'. Il 'papello' che sarà consegnato ai magistrati di Palermo metterà un punto fermo: e sarà l'inizio, e non la fine, delle indagini".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it, La Siciliaweb.it]


- "Ecco tutti i sospetti di Paolo" di A. Bolzoni e F. Viviano

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15 ottobre 2009
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