"Spostare il processo sulla trattativa è un'assurdità"
Sull'istanza di "rimessione" degli ex ufficiali Mori, Subranni e De Donno
Nei giorni scorsi gli ex ufficiali dell'Arma Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno hanno depositato nella cancelleria della Corte d'Assise di Palermo un'istanza di rimessione del processo sulla trattativa Stato-mafia in cui si chiede il trasferimento in altre sede del dibattimento come prevede l'articolo 45 del codice di procedura penale, che disciplina il "legittimo sospetto". L'istanza si può presentare in ogni stato e grado del processo.
La rimessione può essere chiesta quando ci siano "gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili o che possono pregiudicare la libera determinazione di chi partecipa al processo ovvero la sicurezza e l'incolumità pubblica".
L'istanza presentata dagli avvocati di Mori, Subranni e De Donno, ruota principalmente attorno al rischio per l'incolumità pubblica. Nella 45 pagine depositate gli imputati evidenziano tutta una serie di elementi - dalle minacce di Toto' Riina, agli anonimi giunti alle Procure di Palermo e Caltanissetta, a strane circostanze come l'incursione in casa del pm Roberto Tartaglia, tra i magistrati che indagano sulla trattativa - per dimostrare che lo svolgimento del dibattimento nel capoluogo creerebbe pericolo per l'incolumità pubblica.
Per il procuratore di Palermo Francesco Messineo, "si tratta di un'iniziativa processuale che sarà valutata nelle sedi opportune. Le nostre valutazioni non concordano con quelle degli imputati, ma sarà la Cassazione a decidere".
Secondo il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, a capo del pool che ha coordinato le indagini sulla trattativa, "che si chieda di spostare il dibattimento sulla trattativa Stato-mafia da Palermo e da un'aula bunker costruita proprio per celebrare il primo maxi processo alle cosche è un paradosso. Lo Stato deve reagire alle minacce riaffermando la propria presenza, non facendo marcia indietro".
"Negli anni del maxi-processo - ha spiegato Teresi - ci furono tensioni fortissime e i magistrati vennero minacciati ripetutamente, per tutta risposta in tempi brevissimi si costruì quest'aula proprio per ribadire la presenza dello Stato. Anche in quel caso si fecero richieste analoghe per legittima suspicione. Ma vennero respinte". Per il magistrato, inoltre, non è un caso che la richiesta di spostare il dibattimento venga proprio dai tre ufficiali dell'Arma, gli stessi che, secondo l'accusa, negli anni delle stragi del '92, scesero a patti con Cosa nostra. "Continuano con il loro 'peccato originale' - ha detto - pensando che davanti alla minaccia di un pericolo lo Stato debba arretrare".
Come dicevamo, nella loro istanza gli imputati imputano il loro timore anche alle minacce lanciate ai magistrati dal boss Totò Riina nelle sue conversazioni intercettate in carcere. "L'irritazione di Riina - ha spiegato Teresi - riguarda la celebrazione del processo, quindi spostarlo non servirebbe a nulla".
Il magistrato si spinge anche oltre, ipotizzando che il capo dei capi di Cosa nostra abbia scientemente parlato di attentati imminenti nei dialoghi captati dagli inquirenti per creare un clima di allarma tale da giustificare il trasferimento del dibattimento sulla trattativa. "C'è stato un tempo - conclude - in cui il quartiere palermitano di Brancaccio era il Bronx di Palermo. Lo Stato reagì non evacuandolo, ma aprendo un commissariato di polizia. Ed è questo che dallo Stato oggi ci aspettiamo, che riaffermi la sua volontà di esserci".
"In relazione alle dichiarazioni rilasciate da Massimo Ciancimino e dal procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi ad alcuni organi di stampa, con le quali si definisce "una vergogna" (Ciancimino) ed "eticamente sbagliata" (Teresi) la nostra richiesta di trasferimento del processo trattativa Stato-mafia presentata per rischio per la pubblica incolumità e la sicurezza, comunichiamo di aver conferito incarico ai nostri legali di sporgere querela per il delitto di diffamazione aggravata e di dare corso alle azioni risarcitorie in sede civile". Così in una nota gli ex ufficiali del Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori.
Il procuratore Teresi non ha voluto replicare all'annunciata querela ribadendo però che le frasi pronunciate sono state "pensate" e che ritiene "paradossale" la richiesta di trasferimento del processo.