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"Un Ros poco limpido"

Dalla deposizione dell'ex pm di Palermo Alfonso Sabella, il "cacciatore di mafiosi", al 'processo Mori'

12 gennaio 2011

I dubbi sul Ros dei carabinieri, confermati, nel tempo, da una serie di condotte, a suo dire "poco limpide", del Raggruppamento Operativo Speciale. Ma anche la fiducia nel comandante del reparto, il generale Mario Mori, sul banco degli imputati con l'accusa di avere favorito la mafia.
L'ex pm Alfonso Sabella, "il cacciatore di mafiosi" con all'attivo le catture di boss stragisti del calibro di Luca Bagarella e Giovanni Brusca, è tornato in Sicilia, stavolta come teste. Sabella ha deposto davanti ai giudici di Palermo che processano l'ufficiale, per oltre tre ore. Dopo di lui un altro teste importante: Sergio De Caprio, nome di "battaglia" Ultimo, l'allora capitano del Ros che arrestò Riina, tornato in aula a ribadire stima e fiducia al comandante dell'epoca, Mori. "È sempre stato uno di noi", ha detto.

Molto più articolata la testimonianza dell'ex pm, che al tribunale che processa l'alto ufficiale e il colonnello Mauro Obinu, ha raccontato i suoi anni in Procura, le indagini, ma anche i veleni e i misteri legati al ritorno in armi dei pentiti capeggiati da Baldassare Di Maggio, lo scontro tra il Ros e l'ufficio inquirenti guidato da Caselli, i retroscena mai chiariti della cattura di Riina "tradito", secondo lui da Bernardo Provenzano. E poi la trattativa tra lo Stato e la mafia. "Lo Stato - ha tenuto a precisare Sabella - non pezzi dello Stato".
Un racconto lungo, quello del magistrato, ora giudice a Roma, dopo un'esperienza alla Procura di Firenze e al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in cui i fatti, seppure mediati dal ricordo del pm, si alternano a valutazioni personali che, ha ribadito lo stesso teste, "non hanno rilievo in un processo".
Come ad esempio l'ipotesi parla di un Bernardo Provenzano che tradisce Riina. "Provenzano non ha impedito la cattura di Riina. Secondo me lo ha tradito". Al pubblico ministero che gli ha chiesto se avesse elementi per parlare di un tradimento di Riina da parte di Provenzano, Sabella ha risposto: "Sì, parlo di fatti come la vicenda del maresciallo Lombardo. E poi il primo input sulla cattura di Riina venne da Partinico e dagli uomini legati a Provenzano e non dal pentito Di Maggio le cui dichiarazioni sono successive".
La lunga deposizione dell'ex magistrato, oggi è giudice a Roma, ha offerto molti profili di interesse, come la sfiducia che cominciò a nutrire per il
Ros, da un certo periodo.
"Non mi piaceva il loro metodo", ha spiegato. "Centellinavano le notizie; non si sapeva mai cosa facessero, mentre con le altre forze di polizia non era così". Perplessità generali aggravate da una serie di fatti poco chiari, a dire di Sabella, che videro protagonista il Reparto: come il ritardo nella cattura del capomafia Farinella, lo scontro nato dalla denuncia fatta a Caltanissetta dal capitano De Donno, che puntò il dito contro il pm palermitano Guido Lo Forte, "l'inspiegabile mancata perquisizione del covo di Riina" e le pressioni di due ufficiali per evitare che la Procura appellasse l'assoluzione di un mafioso vicino a Bernardo Provenzano. Ce n'era abbastanza, secondo il teste, per chiedere a Caselli di non dare al Raggruppamento l'esclusiva delle indagini sulla ricerca del padrino di Corleone.

Ma se sulla struttura, sul metodo di lavoro e su alcuni ufficiali il "cacciatore dei mafiosi" aveva delle diffidenze, di Mori non dubitava. "Era ritenuto affidabile", ha spiegato. Tanto che quando il pm della Dna Chelazzi, che indagava sulle stragi del '93, e per primo ipotizzò l'esistenza della trattativa, gli confidò che aveva intenzione di iscrivere il generale nel registro degli indagati per favoreggiamento aggravato, Sabella si disse contrario. "Secondo me ha agito nell'interesse dello Stato". Una frase che, però, in qualche modo conferma che, a dire del pm, la trattativa ci fu. "Tra lo Stato - ha detto il teste - e la mafia".
E il ruolo del Ros? "Non agiva come le altre forze di polizia - ha spiegato Sabella -: acquisiva e usava informazioni su ordine di altri". Chi fossero questi "altri" Sabella non lo dice. "Sono mie valutazioni poco influenti - ha replicato - e riguardano una strategia più ampia relativa all'accordo tra lo Stato e Cosa nostra, ma non ho mai detto che fu il Ros a stipulare il patto".

Come detto all'inizio, dopo Alfonso Sabelli è stato ascoltato il colonnello dell’Arma Sergio De Caprio, l’ex capitano Ultimo che arrestò Riina. "Quello che Massimo Ciancimino ha detto sulla cattura di Riina è falso. Il padre, Vito, non ha mai contribuito alle indagini che hanno portato al suo arresto". Questo quanto affermato da De Caprio. Massimo Ciancimino, al processo Mori, ha affermato che il padre convinse Provenzano a portare il Ros al covo di Riina e che il capomafia indicò addirittura sulle mappe catastali il nascondiglio del boss.
De Caprio ha inoltre ribadito di avere avuto da Mori, allora suo superiore al Ros, la più ampia disponibilità di mezzi e uomini per le ricerche di Provenzano. Confutando quanto detto al processo dal colonnello dei carabinieri Giraudo, "Ultimo" ha detto: "Mori mi ha sempre sostenuto nella ricerca dei latitanti". Rispondendo al pm che gli ha contestato una lettera in cui lo stesso Ultimo chiedeva il trasferimento e lamentava "mancanza di mezzi per svolgere indagini", il teste ha detto: "Mi riferivo al periodo in cui c'era il colonnello Palazzo, successore di Mori al Ros, con cui ho avuto da subito contrasti". "Mori - ha aggiunto - lavorava con noi. E comunque, se avessi avuto problemi con lui, glielo avrei detto in faccia".
Sostenendo l'esistenza di un contrasto tra la versione di Giraudo, che ha riferito di aver saputo dallo stesso De Caprio delle sue frizioni con Mori, e il racconto di Ultimo, il pm ha chiesto ai giudici un confronto tra i due testi.

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ing, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno.it]

 

 

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12 gennaio 2011
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