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"Una torbida manovra destabilizzante"

La reazione del Colle dopo la pubblicazione delle intercettazioni su Panorama: "Autentici falsi"

31 agosto 2012

"Nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere". Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervenuto con una nota dopo l'articolo pubblicato su Panorama sulla vicenda delle telefonate con l'ex ministro Nicola Mancino intercettate dalla Procura di Palermo (LEGGI), parlando di "autentici falsi" e definendo "risibile" la "pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter 'ricattare' il Capo dello Stato".
"La 'campagna di ‘insinuazioni e sospetti' nei confronti del Presidente della Repubblica - si legge nella nota del Quirinale - ha raggiunto un nuovo apice con il clamoroso tentativo di alcuni periodici e quotidiani di spacciare come veritiere alcune presunte ricostruzioni delle conversazioni intercettate tra il Capo dello Stato e il senatore Mancino. Alle tante manipolazioni si aggiungono, così, autentici falsi". "Il Presidente, che non ha nulla da nascondere ma valori di libertà e regole di garanzia da far valere, ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi in termini di principio sul tema di possibili intercettazioni dirette o indirette di suoi colloqui telefonici, e ne attende serenamente la pronuncia". "Quel che sta avvenendo, del resto - sottolinea il Presidente della Repubblica - conferma l'assoluta obiettività e correttezza della scelta compiuta dal Presidente della Repubblica di ricorrere alla Corte costituzionale a tutela non della sua persona ma delle prerogative proprie dell'istituzione. Risibile perciò è la pretesa, da qualsiasi parte provenga, di poter 'ricattare' il Capo dello Stato. Resta ferma la determinazione del Presidente Napolitano di tener fede ai suoi doveri costituzionali. A chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica spetta respingere ogni torbida manovra destabilizzante".

Al presidente Napolitano è arrivata una telefonata di solidarietà dal premier Mario Monti. "Il Presidente del Consiglio Mario Monti - si legge in una nota di Palazzo Chigi - ha espresso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel corso di un colloquio telefonico, la piena e profonda solidarietà sua personale e dell'intero governo, di fronte alle inaccettabili insinuazioni comparse sulla stampa". "Si è di fronte con tutta evidenza - si legge ancora - a uno strumentale attacco contro la Personalità che costituisce il riferimento essenziale e più autorevole per tutte le istituzioni e i cittadini. Ci si deve opporre a ogni tentativo di destabilizzazione del Paese, inteso a minare in radice la sua credibilità. Il Paese saprà reagire a difesa dei valori costituzionali incarnati in modo esemplare dal Presidente Napolitano e dal suo impegno instancabile al servizio esclusivo della Nazione e del suo prestigio nella comunità internazionale".

IL RICORSO ALLA CONSULTA - "La sfera di immunità che la Costituzione riserva al Capo dello Stato non costituisce un inammissibile privilegio": tali immunità "sono strettamente funzionali agli altissimi compiti che è chiamato a sostenere" come garante della "l'unità della Nazione".
È uno dei passaggi del ricorso del Capo dello Stato Giorgio Napolitano contro la Procura di Palermo. Al centro del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, le intercettazioni delle telefonate tra Napolitano e Mancino, imputato di falsa testimonianza nel procedimento palermitano sulla trattativa Stato-mafia.
Il 19 settembre la Corte Costituzionale valuterà se il ricorso è ammissibile. L'atto è stato depositato il 30 luglio.

L'istanza alla Consulta è "di trattazione quanto più possibile sollecita", vista "l'estrema delicatezza e la rilevanza delle questioni". Secondo l'Avvocatura dello Stato, Napolitano non poteva essere intercettato e l'averlo fatto e non aver distrutto i nastri costituisce "un grave 'vulnus' alle prerogative" del Capo dello Stato, né i pm potevano valutare la rilevanza delle conversazioni e nei loro confronti ci sono "precisi elementi oggettivi di prova del non corretto uso del potere giurisdizionale". Ancora nel ricorso: "L'irresponsabilità del Presidente della Repubblica non è solo una irresponsabilità giuridica per le conseguenze penali, amministrative e civili eventualmente derivanti dagli atti tipici compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, ma anche una irresponsabilità politica". Da qui discende "l'assoluta riservatezza di tutte le attività del Presidente della Repubblica che sono propedeutiche" all'esercizio della sua funzione: "si tratta, dunque, di una immunità sostanziale e permanente".

Sette gli allegati al ricorso. Oltre al decreto con cui Napolitano ha sollevato il conflitto, c'è l'intervista che il pm Nino Di Matteo, uno dei titolari dell'inchiesta con Francesco Messineo e Antonio Ingroia, rilasciò a Repubblica il 26 giugno, da cui emergeva che erano state intercettate conversazioni di Napolitano. Il terzo è una lettera che l'avvocato generale dello Stato inviò il 27 giugno al procuratore di Palermo, Messineo, chiedendo conferma o smentita su quanto dichiarato da Di Matteo nell'intervista. Il quarto è la risposta, datata 6 luglio, di Messineo: "Avendo già valutato come irrilevante" le conversazioni "non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con l'osservanza delle formalità di legge". Ossia, secondo Messineo, previa disposizione del Gip.

Il quinto documento è una lettera inviata il 5 luglio dal pm Di Matteo a Messineo che gli aveva chiesto informazioni sull'intervista a Repubblica. E qui Di Matteo conferma le sue dichiarazioni, ma spiega che la risposta non era relativa a un quesito sul caso specifico, ma "conseguiva in realtà a una domanda, assolutamente generica, sulla sorte processuale del compendio delle intercettazioni effettuate nell'ambito delle indagini. A quella, del tutto generica, domanda rispondevo quindi, altrettanto genericamente - scrive il pm - limitandomi all'ovvio richiamo alla corretta applicazione della normativa".
Seguono la nota diffusa alla stampa il 9 luglio da Messineo che definiva infondate le critiche di Eugenio Scalfati alla Procura di Palermo e la lettera che lo stesso Messineo inviava l'11 luglio a Repubblica sempre in risposta a Scalfari.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Repubblica.it, Lasiciliaweb.it]

 

 

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31 agosto 2012
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