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"Usato e abbandonato dallo Stato"

Parla Vincenzo Scarantino, l'uomo che depistò le indagini sulla strage di via D'Amelio

12 giugno 2013

"Mi hanno fatto un sacco di zozzerie: tanto che io non ho paura dei mafiosi, ma dello Stato": Vincenzo Scarantino, il grande accusatore dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio è un uomo solo e impaurito. Abbandonato dalla moglie da anni, lasciato solo dallo Stato, non ha lavoro, né famiglia. Dopo che il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza ha svelato la verità sull'eccidio, smentendo clamorosamente la sua ricostruzione della fase preparatoria dell'attentato a Borsellino, è stato accusato di calunnia. Ha mentito e le sue menzogne sono costate l'ergastolo a 7 innocenti.
Al processo che lo vede imputato insieme a due boss - Salvo Madonia e Vittorio Tutino - e altri due falsi pentiti, si è trovato faccia a faccia proprio con una delle persone che accusò ingiustamente: Gaetano Murana. "Non riesco a guardarlo in viso - dice - Come potrei dopo quello che gli ho fatto". Murana ha trascorso 18 anni in carcere al 41 bis. Due anni e mezzo fa, scagionato da Spatuzza, é stato liberato e aspetta il processo di revisione.

Ora è parte civile contro Scarantino che si trova sul banco degli imputati in un ribaltamento dei ruoli paradossale come tutte le vicende che riguardano le prime indagini sulla strage. Al falso pentito che si era autoaccusato del furto della 126 usata per la strage, scarcerato - anche questo è un paradosso - lo stesso giorno di Murana, grazie alle rivelazioni di Spatuzza, é stato revocato il programma di protezione.
"Sono libero, sì, - dice - ma sono un uomo finito. Non ho un lavoro, non ho più nessuno. Vivo grazie alla Caritas che, ogni tanto, mi dà un piatto di pasta". "Lo Stato - si sfoga - mi ha usato, fino a quando è cominciata un'altra fase e si è saputa la verità. Allora mi ha abbandonato". Scarantino teme per la sua vita. "Ho paura. Ho molti nemici - dice - E non parlo solo dei mafiosi". L'ex pentito, autore di numerose e clamorose ritrattazioni anche processuali, ha accusato alcuni investigatori di averlo minacciato e picchiato per indurlo a raccontare la versione dei fatti che portò alle condanne all'ergastolo dei sette innocenti. Arrestato subito dopo la strage, si accusò del furto della 126 e tirò in ballo alcune persone - tra le quali Murana, Salvatore Profeta e Giuseppe Orofino - , tutte scagionate da Spatuzza.

Nel 1995 in televisione fece la prima ritrattazione che ripeterà, salvo tornare sui suoi passi, per ben due volte, due delle quali in aula. Ma agli occhi dei giudici i tentennamenti del falso pentito non bastarono per incrinare la sua credibilità. Chi e perché lo indussero a mentire? "I peggiori - dice - furono Mario Bo e Arnaldo La Barbera". Entrambi erano nel pool di inquirenti che indagava sulle stragi del '92. La Barbera è morto, Bo, che è indagato per il depistaggio, è capo della Mobile di Trieste.
Scarantino torna a raccontare le sevizie e le violenze che avrebbe subito da parte della polizia. "Mi picchiarono - dice - e mentre ero in una località protetta arrivarono a mettermi una pistola in bocca". Sul perché gli investigatori avrebbero fatto pressioni per estorcergli una verità che nulla aveva a che fare con quanto accadde in via D'Amelio, Scarantino non sa rispondere. "Non so - dice - So solo che i mafiosi mi fanno meno paura dello Stato. Perché loro almeno vengono e ti ammazzano, mentre vivere così abbandonato da tutti non è vivere". [Fonte: ANSA]

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12 giugno 2013
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