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"Volevamo colpire al cuore Firenze"

Il pentito Gaspare Spatuzza è stato ascoltato oggi nel processo sulle stragi mafiose del '93 a Roma, Firenze e Milano

03 febbraio 2011

Il pentito Gaspare Spatuzza è stato ascoltato oggi nell'aula bunker di Santa Verdiana a Firenze dove si è svolta l'udienza del processo sulle stragi mafiose del '93 a Roma, Firenze, Milano. In collegamento dal carcere di Viterbo l’unico imputato Francesco Tagliavia.
Il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi ha assistito in aula alla deposizione di Spatuzza. Accanto a lui, i pm Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi. Nell’aula bunker ha assistito al processo anche una scolaresca dell’Istituto tecnico per il turismo 'Marco Polo' di Firenze, accompagnata dagli insegnanti.
"Che sia un buongiorno per tutti...", ha esordito Gaspare Spatuzza dopo aver preso posto nell’aula. Prima che cominciasse l'udienza il pentito, ex boss di Brancaccio, ha rilasciato una dichiarazione spontanea per chiedere perdono a Firenze, colpita dalla bomba mafiosa di via dei Georgofili il 27 maggio 1993, che causò 5 vittime e alcuni feriti. "Nel maggio 1993 sono arrivato a Firenze da terrorista. Il nostro obiettivo era di colpirla nel cuore e ci siamo riusciti. Oggi dopo 17 anni vengo come collaboratore di giustizia, pentito, e chiedo perdono. Un perdono che può non essere accettato, può essere strumentalizzato, ma dovevo farlo".

Spatuzza fu arrestato, da latitante, il 2 luglio del 1997 e nel 2008 iniziò a collaborare con le procure di Firenze, Caltanissetta, Palermo, parlando anche dei presunti intrecci tra mafia e politica e della 'trattativa' che ci sarebbe stata tra lo Stato e Cosa nostra.
Nel giugno 2010 la Commissione Centrale del Viminale ha stabilito che Spatuzza non può essere ammesso al programma di protezione, richiesta avanzata dalle procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo. Nei giorni scorsi, intervenendo all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore Generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, parlando delle stragi di Capaci e di via D'Amelio ha detto: "E’ ormai nella pubblica cognizione che le indagini della Procura di Caltanissetta sulle stragi del ‘92, in uno a quelle della Procura di Palermo sulla cosiddetta trattativa, le quali talora interagiscono con le audizioni che contemporaneamente si stanno svolgendo dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, hanno aperto alcuni significativi spiragli nel muro del silenzio che ha sinora blindato i retroscena dello stragismo del 1992-1993". "Proprio per l’estrema difficoltà di tali indagini – ha continuato Scarpinato – è indispensabile che si crei una costante e perfetta sintonia istituzionale tra tutti gli apparati statali chiamati, con compiti diversi, a collaborare. Una sintonia che purtroppo non sempre è rimasta costante, come quando nel giugno 2010 la Commissione centrale del Viminale, per la definizione e l’applicazione delle misure speciali di protezione, ha deliberato di non ammettere al programma di protezione Gaspare Spatuzza, nonostante tale collaboratore sia stata la chiave di volta per scoprire i depistaggi e smascherare falsi collaboratori, con la motivazione che lo Spatuzza non aveva reso le sue dichiarazioni entro il termine di sei mesi previsto dalla legge”. "La decisione – ha concluso – è stata assunta contro il parere unanime della Procura del Caltanissetta, di Palermo e di Firenze, nonché contro il parere della Procura Nazionale Antimafia, i cui componenti fanno parte di quella commissione".
L'importanza della collaborazione e l'attendibilità di Gaspare Spatuzza è sempre stata sottolineata dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi.

Iniziata l'udienza, Gaspare Spatuzza ha raccontato che nella villetta in cui si svolse l'incontro per organizzare l'attentato a Firenze c'erano Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Matteo Messina Denaro, Barranca e Giuliano. "Graviano mi comunica che siamo lì per mettere a punto un attentato. Sul tavolo ci sono dei libri con figure artistiche, dei monumenti, delle fotografie. Per quello che ho capito loro avevano già fatto sopralluoghi a Firenze, parlavano di quei posti come se fossero già a conoscenza". Su richiesta di precisare da parte del presidente Nicola Pisano, Spatuzza ha confermato che in quella riunione i boss stavano studiano "monumenti di Firenze".
 Rispondendo alle domande del pm Giuseppe Nicolosi Spatuzza ha poi raccontato del suo primo incontro con Francesco Tagliavia. "L’ho visto per la prima volta nell’86-87, periodo in cui eravamo partecipi per spingere il Partito socialista. C’è stato un incontro politico in Sant’Erasmo, in un ristorantino in via del Tiro a segno". "Non era una persona comune, l’ho capito subito – ha aggiunto Spatuzza –, quel giorno era tutto vestito di nero, non so se gli era morto il fratello. Negli anni seguenti abbiamo poi fatto degli omicidi insieme".
Dopo l’attentato di Firenze, Francesco Tagliavia avrebbe mandato a dire a Giuseppe Graviano di fermare le stragi, ha raccontato Spatuzza. Dopo l’attentato in via dei Georgofili a Firenze, "ci sono in atto dei doppi attentati – ha raccontato ancora -, a Roma e a Milano. Me lo comunicò Lo Nigro. E qui iniziano i preparativi, macinatura e quant’altro. In questa fase, Lo Nigro mi comunica che Tagliavia vuole un incontro che avviene durante un’udienza nel tribunale di Palermo, nel quale siamo entrati da un ingresso secondario. Noto Francesco Tagliavia sul banco degli imputati, quando siamo entrati ha guardato noi e ci siamo salutati. Qui avviene il colloquio tra Tagliavia e Lo Nigro. Tagliavia mi manda un bacio a distanza muovendo il polso 'a martello': è un gesto in codice, è un bacio diretto a Giuseppe Graviano, che da bambino era soprannominato 'martello'. Tagliavia in quel modo voleva far sapere a 'madre natura', altro soprannome di Giuseppe Graviano come boss, di bloccare tutta la fase dei Bingo, cioè come chiamavamo gli attentati". "Io non me l’aspettavo – ha aggiunto Spatuzza – e non sono a conoscenza di come pervenne questo messaggio a Graviano. Per quanto mi riguarda, la questione stragista andò avanti".

Nell’aula di Firenze Spatuzza ha raccontato anche che Giuseppe Graviano ha "menzionato" Berlusconi, in un incontro a Roma, dopo le stragi, in cui lo stesso Graviano avrebbe detto: "abbiamo ottenuto tutto". "Ci incontriamo – ha raccontato Spatuzza, riferendosi a Graviano -, lui era gioioso, mi disse che avevamo ottenuto tutto grazie alla serietà di queste persone che non erano come quei quattro socialisti che ci avevano venduto nel 1988. Lui menziona nello specifico la persona di Berlusconi. Io gli dissi se era la persona di Canale 5 e lui me lo confermò e mi disse che c’era anche un suo compaesano, Marcello Dell’Utri". "Giuseppe Graviano mi disse: 'Berlusconi e Dell’Utri sono gli interlocutori, attraverso queste persone ci siamo messi il Paese nelle mani'".
Sul fallito attentato nei pressi dello stadio Olimpico di Roma, per uccidere decine di carabinieri, il pentito ha riferito che "dopo che Giuseppe Graviano notò una mia debolezza durante una riunione mi disse che 'ci si deve portare dietro un po' di morti, così chi si deve muovere si dia una mossà'". "Una situazione – ha continuato Spatuzza – che, secondo Giuseppe Graviano, se fosse andata a buon fine ne avremmo tratto tutti dei benefici, a partire dai carcerati". L’attentato all’Olimpico però fallì perché l’autobomba non esplose.
In un incontro con altri mafiosi, Pietro Romeo e Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza ha raccontato di averli dovuto tranquillizzare dicendo che i Graviano "avevano puntato molto su questo soggetto politico che si stava formando, Forza Italia e Berlusconi". Spatuzza l’ha detto ricordando che, in particolare Giuliano, alcuni esprimevano dubbi sull’opportunità delle stragi. "Così in una confidenza a tutti e due, Romeo e Giuliano, dissi a entrambi per tranquillizzarli che 'siamo in mani buone, siccome era nato questo soggetto politico che si chiama Forza Italia". L’incontro ci fu dopo l’arresto di Graviano e l’affermazione di Spatuzza "come reggente – ha spiegato il pentito – della famiglia di Brancaccio".

Spatuzza ha spiegato quanto aveva riferito di aver confidato a Graviano e Lo Nigro sul fatto che le morti di quelle stragi "non ci appartengono". "Per quello che mi riguarda, nell'ottica criminale, Capaci ci appartiene, via D’Amelio ci appartiene. Ma su Firenze, Milano e Roma entriamo in una storia diversa, è un terreno che non ci appartiene. Cosa Nostra non è così imbecille da andare in guerra senza le spalle coperte". "Dissi della bambina – ha detto Spatuzza spiegando perché definiva quelle vittime 'morti che non appartengono' -, che poi non era una ma erano due, ma io l’ho saputo più tardi, questo era il nostro malessere tra noi: la piccola Nadia (Nencioni n.d.r), di cui ho saputo in questi ultimi anni, e l’altra è la sorella Caterina". Spatuzza, sempre ricordando quelle confidenze con Cosimo Lo Nigro e Giuseppe Graviano, ha ribadito rispondendo al pm Alessandro Crini che "Giuseppe Graviano disse che era meglio che ci portassimo dietro un po’ di morti, così diamo una smossa, così chi si deve muovere si muove". "In realtà Giuseppe Graviano aveva capito la mia debolezza di esprimere dei dubbi – ha aggiunto – sulle stragi che avevamo fatto. Per me, Graviano rappresentava 'mio padre', altrimenti sarei stato zitto perché nei rapporti tra mafiosi queste cose non si possono dire tanto più se sono state fatte o decise dai boss". Spatuzza ha specificato che Graviano era 'un padre', nonostante siano pressoché coetanei, "nel senso che io gli ho dato la mia vita, l’ho messa nelle sue mani anche se solo un pazzo può pensare di andare dietro a Graviano. Per noi lui era paragonabile a 'madre natura', era il signore nel suo carisma, pensate quindi che mente perversa abbiamo avuto".

Il prossimo 21 febbraio  la Corte d'Assise di Palermo deciderà  se ammettere il confronto tra il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e il pentito Gaspare Spatuzza, chiesto dalla difesa del capomafia, nel processo in cui questi è imputato per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Con l'accusa di sequestro di persona e omicidio, oltre a Spatuzza e Graviano, sono imputati anche il boss trapanese latitante Matteo Messina denaro e i mafiosi Luigi Giacalone, Francesco Giuliano e Salvatore Benigno. Il bambino venne rapito il 23 novembre del 1993 per indurre il padre Santino, che si era pentito, a ritrattare le accuse. Il ragazzino fu strangolato e sciolto nell'acido ad Altofonte dopo mesi di prigionia. La corte deciderà alla prossima udienza anche sulla richiesta, sempre della difesa di Graviano, di procedere alla verifica della presenza del dna del boss in un villino di Misilmeri dove sarebbe avvenuto un incontro per la preparazione del rapimento del bambino. Secondo l'accusa alla riunione avrebbero partecipato anche Graviano e Messina Denaro. Nell'udienza di oggi, la corte ha acquisito i verbali delle dichiarazioni rese dal boss Giovanni Brusca alla corte d'assise di Caltanissetta nel 1997 in cui si parla anche del sequestro e dell'uccisione di Di Matteo.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

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03 febbraio 2011
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