Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

"Volevamo distruggere anche la torre di Pisa"

Il racconto del pentito Gioacchino La Barbera al processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo

24 gennaio 2014

"In Cosa nostra c'era un certo ottimismo prima della sentenza della Cassazione sul maxi processo. Quando però la Corte confermò le condanne, avallando il teorema Buscetta, fu decisa una strategia di attacco allo Stato, con le stragi. Iniziammo con Falcone, che era sempre stato un nostro nemico dichiarato e si proseguì con Borsellino".
Il pentito Gioacchino La Barbera ha deposto ieri al processo sulla trattativa Stato-mafia e ha parlato anche della lista di politici da colpire che, sempre nell'ottica del piano di guerra ordito da Totò Riina, la mafia aveva stilato.

"L'obbiettivo era anche colpire la Democrazia Cristiana - ha detto -: tra gli obiettivi c'erano Salvo Lima e i cugini Salvo". Nell'elenco delle persone da eliminare c'era anche l'ex ministro Calogero Mannino. La Barbera ricevette l'indicazione da Salvatore Biondino, uomo di fiducia di Riina. I boss tenevano sotto controllo i suoi movimenti. "Prima di essere arrestato - ha aggiunto - Brusca mandò il genero di Nino Salvo, Gaetano Sangiorgi, a Roma per capire se Claudio Martelli era un facile obiettivo. Sangiorgi studiò dove abitava e tornò dicendo che viveva sulla via Appia". "Non so perché s'era scelto lui. Forse perché s'era fatto tanto per procurargli i voti - ha spiegato - e lui parlava male di Cosa nostra ed era stato uno dei protagonisti della legge sul 41 bis". "Si parlò anche di colpire i figli di Andreotti - ha detto confermando quanto rivelato da altri pentiti - perché il padre non aveva fatto nulla per Cosa nostra, si era disinteressato del 41 bis, non l'aveva fatto togliere e non aveva fatto tornare tutto come prima".

La trattativa avviata da Cosa nostra con i carabinieri, tramite l'eversore nero Paolo Bellini, per barattare la restituzione delle opere d'arte rubate con gli arresti ospedalieri per alcuni boss, è stata al centro della deposizione di La Barbera. Il dialogo avviato dal mafioso Nino Gioé, poi morto suicida in carcere, con Bellini, conosciuto nell'istituto di pena di Sciacca, è uno dei capitoli della ricostruzione dell'accusa che ipotizza l'esistenza di una trattativa, quella appunto condotta da Gioé, parallela a quella avviata prima da Totò Riina, poi da Provenzano, coi carabinieri del Ros tramite Vito Ciancimino. Bellini sarebbe stato in contatto con un generale dell'Arma che gli avrebbe dato le foto di opere da recuperare. In cambio Gioé avrebbe chiesto i domiciliari o gli arresti ospedalieri per boss del calibro di Bernardo Brusca e Pippo Calò. Secondo La Barbera, l'accordo, di cui si parlò tra maggio e settembre del 92, non andò a buon fine. Per il pentito fu Bellini a suggerire a Gioé di farla finita con le stragi e colpire il patrimonio artistico italiano.

"Ti immagini se l'Italia si sveglia e non trova più la Torre di Pisa", le parole dette da Gioè a La Barbera. "E noi cominciammo - ha aggiunto il pentito - a organizzarci in questo senso".
Nel '93 la mafia prese di mira obiettivi artistici come la chiesa di San Giovanni al Laterano, San Giorgio al Velabro a Roma e la sede dell'Accademia dei Georgofili a Firenze.

Nel mirino di Cosa nostra anche l’attuale presidente del Senato. "Per eliminare Piero Grasso avevamo già l'esplosivo e i telecomandi. L'attentato doveva avvenire a Monreale, luogo in cui andava spesso per incontrare i suoceri", ha poi detto La Barbera. "Dopo aver ritirato i telecomandi a Catania - ha aggiunto - avevamo fatto i sopralluoghi. L'esplosivo andava collocato in un tombino nella strada in cui doveva passare con la macchina, ma ci fu un problema tecnico. Rischiavamo che scoppiasse prima del passaggio e non se ne fece più nulla".
Alla luce della deposizione del pentito La Barbera, ieri l'assemblea del Senato ha testimoniato con una serie di interventi la propria solidarietà al presidente Grasso. "Ringrazio tutti", ha detto il presidente al termine degli interventi. "I valori di legalità e giustizia che ho professato nella passata professione, e chiedo scusa per il bisticcio dei termini, continuano ad essere presenti anche oggi - ha aggiunto -. Continueranno ad essere strumento per lottare tutti insieme contro la violenza e contro la criminalità". Subito dopo Grasso si è scusato per non poter più presiedere l'Aula "per la commozione che mi prende", lasciando quindi la conduzione dell'assemblea alla vicepresidente Lanzillotta.

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno]

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

24 gennaio 2014
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia