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''Volevo uccidere Riina''. Il racconto del pentito Gaetano Grado nel processo per la strage di Viale Lazio

30 novembre 2007

E' iniziata ieri, nell'aula bunker di Santa Verdiana a Firenze, l'udienza a carico di Totò Riina e Bernardo Provenzano accusati di essere rispettivamente il mandante e uno degli esecutori materiali della strage di Viale Lazio, avvenuta a Palermo il 10 dicembre 1969. Quella strage è considerata uno degli episodi più cruenti della ''prima guerra di mafia'' che si scatenò negli anni '60 e che - a causa della morte del boss Michele Cavataio - portò ad una ridefinizione delle sfere di competenza della varie famiglie mafiose.
All'udienza, che si è tenuta davanti alla corte d'assise di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino (a latere Angelo Pellino), e il pm Michele Prestipino, erano presenti in videoconferenza gli unici due imputati: dal carcere di Novara Bernardo Provenzano e dal carcere di Milano Totò Riina. L'udienza è stata incentrata sull'audizione di Gaetano Grado, il collaboratore di giustizia (e cugino di Salvatore Contorno) che indicò in Bernardo Provenzano il killer di Michele Cavataio, trucidato brutalmente da 'Binnu 'u tratturi'.

''Dissi a Stefano Bontade: cerchiamo di ammazzare Totò Riina, che fa troppa strategia, ma Bontade mi disse di lasciarlo fare, 'sto viddanu''. Queste le parole del collaboratore di giustizia Gaetano Grado, cugino di Salvatore Contorno e 'custode' negli anni '60 di Totò Riina, nella sua deposizione davanti alla corte d'assise di Palermo.
''Riina faceva troppa strategia - ha detto Grado - perché dovunque andasse cercava di ingraziarsi i più furbi e questo non mi piaceva. Per questo lo raccontai a Stefano Bontade'', boss di Santa Maria di Gesù. ''Un giorno in macchina gli dissi, dammi retta cerchiamo di ammazzarlo a questo, ma Bontade disse di no: è viddanu - mi disse - lascialo correre a questo cavallo, che tanto deve passare sempre da qui''. Grado, coimputato nel processo per la strage di Viale Lazio, era stato combinato giovanissimo nella famiglia di Villagrazia che poi venne assorbita dalla famiglia di Santa Maria del Gesù.
''Io non volevo morire vestito da poliziotto. Per questo la divisa della Ps usata per la strage di viale Lazio la indossarono soltanto Bernardo Provenzano, Calogero Bagarella, Damiano Caruso e Manuele D' Agostino'', ha aggiunto Grado raccontando la ricostruzione dell'organizzazione della strage di Viale Lazio. ''Cavataio - ha detto ancora Grado - doveva morire perché non rispettava le regole di Cosa nostra, perché uccideva innocenti e non aveva onore''.

Dopo la strage di Viale Lazio, negli uffici dei fratelli Moncada, ''portammo via il corpo di Calogero Bagarella'' rimasto ucciso nella strage ''e dovevamo decidere di seppellirlo perché era morto con onore. Ma Totò Riina disse che il corpo di suo cognato doveva essere bruciato. Comunque se ne occupò lui'', ha raccontato Grado. ''Mettemmo il corpo di Bagarella in un sacco e io dissi che doveva essere sepolto vicino alla sua famiglia. Ma Riina mi disse che ero pazzo, che avremmo attirato i carabinieri e che quindi il corpo andava bruciato. Ci avrebbe pensato lui. Non so come andò a finire perché io me ne andai''. [La Sicilia]

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30 novembre 2007
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