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1 milione di incidenti sul lavoro l'anno

L'Italia detiene un primato scandaloso, quello delle morti bianche: muore un lavoratore ogni sette ore

05 febbraio 2008

L'ultimo incidente stamani, al suono della sirena di inizio giornata, in una Torino ancora a lutto (un lutto che non finirà mai) per le morti della ThyssenKrupp. Due operai sono rimasti feriti in seguito all'esplosione avvenuta tra le 6 e le 6;30 in una ditta di materiale ferroso di Collegno, nel torinese. Secondo i primi accertamenti dei carabinieri e dei vigili del fuoco intervenuti sul posto, l'esplosione si sarebbe verificata al momento della procedura di riaccensione di un forno per il trattamento del materiale di cui la ditta si occupa. Un operaio 40enne è ricoverato all'ospedale Cto in prognosi riservata ed è attualmente sottoposto a trattamento farmacologico mentre un suo collega di un anno più anziano si trova all'ospedale Martini da dove potrebbe essere dimesso nelle prossime ore.

Stando ai dati elaborati dall'Anmil, l'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, i due operai di Collegno, sono solo i primi di questa giornata, nella quale si valuta potrebbero morire di lavoro altri sei, sette loro colleghi, a Milano, a Padova, a Frosinone, a La Spezia, a Caserta, Bari o a Ragusa...
Quando gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno e i morti più di mille, quando, in media, ogni 7 ore muore un lavoratore, non si può certo dire che in Italia un fondamentale diritto della persona, ossia il diritto alla vita e alla sicurezza di ciascuno nel normale svolgimento della propria attività, sia garantito.
Morire di lavoro, infatti, non è un fenomeno marginale e, come dovrebbe volere il PROGRESSO, in via di estinzione, bensì di un effetto perverso che sembra profondamente innervato nel modo di produzione e nello stesso modo di essere della modernità. In realtà, siamo in presenza di un fenomeno sociale di massa, sebbene la società continui a non riconoscerlo come tale.

Di certo una vera e propria "guerra a bassa intensità", che di regola si svolge nell'ombra e nel silenzio, e che al suolo lascia vittime senza colore, migliaia di ''morti bianche''.
Una vergogna inenarrabile che infanga il Paese che ha messo all'articolo 1 della propria Costituzione: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, e che invece sembra ignorare sistematicamente il diritto al lavoro e alla sua sicurezza.
Di tutto ciò rimane una contabilità spesso arida e anonima, persino controversa, che non ha sussulti neanche di fronte alla fine di una vita, e dei singoli dolori che messi assieme farebbero marcire all'istante l'intera Nazione.

Le Istituzioni, e di questo bisogna dargline atto, in questo ultimo anno e mezzo si sono impegnate seriamente nella lotta contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ma dal Rapporto predisposto dall'Anmil, sulla ''Tutela e condizione delle vittime del lavoro tra leggi inapliccate e diritti negati'', emerge un quadro complessivo che resta, purtroppo, ancora molto opaco.
Purtroppo all'Italia resta il non invidiabile primato delle vittime sul lavoro in Europa. Nel nostro Paese il numero delle "morti bianche", seppure in calo rispetto agli anni scorsi, è infatti diminuito meno che nel resto d'Europa. Negli ultimi dieci anni, nel periodo compreso tra il 1995 e il 2004, da noi il calo registrato è stato pari al 25,49 per cento mentre nella media europea la flessione è stata pari al 29,41 per cento. La riduzione è stata ancora più accentuata in Germania, dove il numero di vittime si è quasi dimezzato (-48,3 per cento), in Spagna dove si è registrato un decremento del 33,64 per cento. Questi numeri, dice l'Anmil, ci dicono che realmente è possibile fare di più, che altri ci sono riusciti, salvando così centinaia di vite.
In Italia, nel complesso gli incidenti sul lavoro sono circa un milione l'anno e i morti più di mille (cifre che non comprendono gli incidenti che non vengono denunciati da chi è impiegato nell'ambito del lavoro nero dove, secondo l'Inail, si verificherebbero almeno 200 mila casi). In Germania nel 1995 le vittime erano state 1500, duecento più di quelle italiane. Oggi sono scese a 804 unità, un numero ben inferiore al nostro. Questi numeri, dicono dall'Amnil, mostrano come non si tratti di un fenomeno occasionale e relegato a situazioni straordinarie ma piuttosto "un effetto perverso che sembra profondamente innervato nel modo di produzione".

"Il male dell'Italia è che le leggi sembrano esistere solo sulla carta e la speranza è che la stessa sorte non tocchi anche a quella varata nell'agosto del 2007, particolarmente avanzata nei principi ispiratori e nelle previsioni normative, ma oggi a rischio di restare incompiuta a causa delle vicende politiche". E anche per questa legge sulla sicurezza e tutela del lavoro, si evidenzia che a cinque mesi dalla sua entrata in vigore, i coordinamenti provinciali delle attività ispettive stanno appena muovendo i primi passi mentre il personale impegnato nella prevenzione infortuni, al ritmo attuale, impiegherebbe 23 anni a controllare tutte le aziende. E anche sul fronte penale i reati di omicidio colposo o lesioni conseguenti al mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro sono - dice l'associazione - sostanzialmente impuniti, vuoi per i tempi della giustizia vuoi per l'indulto intervenuto nel frattempo
Al danno sembrerebbe aggiungersi anche la beffa. La riforma realizzata con il decreto legislativo 38/2000 che ha introdotto, in via sperimentale, la copertura del danno biologico, di fatto, dicono dall'Anmil, ha comportato un "netto ridimensionamento del livello delle prestazioni in rendita se non addirittura la trasformazione dell'indennizzo da rendita, a capitale liquidato una tantum". Se un lavoratore infortunato che perde un piede ha una moglie e un figlio a carico e una retribuzione media, si ritrova oggi a percepire dall'Inail il 13,39% di rendita in meno (ovvero 963 euro l'anno) ripetto a quanto previsto del regime precedente al Decreto 38/2000. La perdita in termini di risarcimento in sede civile sarebbe poi pari a circa 45 mila euro.

La rinnovata consapevolezza della gravità del fenomeno, cresciuta anche in ragione dei numerosi interventi del Presidente della Repubblica sul tema, dal fatto che i presidenti di Camera e Senato sono stati attivi sindacalisti, così come il ministro del Lavoro, sembra comunque non essere riuscita a produrre una significativa inversione di tendenza. Infatti, oltra ai timidissimi passi fatti dalle attività ispettive, gli autori del rapporto hanno inoltre sottolineato come si intervenga quasi sempre a cose fatte e molto raramente a livello di prevenzione.
I rimedi, ha ripetuto ancora una volta l'Anmil, sono noti e basterebbe avere la "volontà di porli in essere". E, quindi, investire sulle attività di prevenzione e controllo; introdurre sanzioni adeguate alla gravità ed alle conseguenze dei comportamenti; organizzare un apparato amministrativo e giudiziario che assicuri l'applicazione certa e rapida delle sanzioni; promuovere iniziative informative e formative che sviluppino una maggiore attenzione alla prevenzione. "In sostanza - conclude l'Anmil - quello che occorre è il passaggio dalle dichiarazioni ai fatti".

- 2° Rapporto ANMIL sulla Tutela delle Vittime del Lavoro

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05 febbraio 2008
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