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100 milioni di euro in cerca d'autore... e di padrone. Scoperto il ''tesoro'' dell'inchiesta Mediaset

Tutti estranei alle accuse ma meglio spostare il proceso da un'altra parte

27 ottobre 2005

E' stato scoperto e adesso è tangibile, come dire, tintinnate, e non più tracce scritte nelle carte dell'indagine.
Stiamo parlando del ''tesoro'' dell'inchiesta Mediaset (sulla compravendita dalle majors Usa di diritti cine-tv da parte di Fininvest/Mediaset nel 1988-1999). Oltre 140 milioni di franchi svizzeri, equivalente a quasi 100 milioni di euro (circa 200 miliardi di lire), in cinque conti correnti nelle banche di Manno, paesino vicino a Lugano, nella ''Svizzera italiana''.
E' il più grande sequestro di denaro mai eseguito all'estero per un'indagine italiana (il ''tesoro'' è stato localizzato dalle rogatorie presso la locale agenzia dell'Ubs), che formalmente giace su conti (personali o delle società offshore Wiltshire Trading e Harmony Gold) del 75enne produttore cinematografico californiano di origine egiziana Farouk ''Frank'' Agrama.

Compito della giustizia italiana adesso è quello di capire (e qui sta il busillis) se questa montagna di soldi appartenga ad Agrama, in quanto ''socio occulto'' di Silvio Berlusconi - come ipotizza la Procura di Milano che di entrambi in marzo ha chiesto il processo per appropriazione indebita di almeno 170 milioni di dollari -, e ''pompati'' dalle casse del Biscione a forza di ricarichi nelle fittizie compravendite di diritti tv intermediate da Agrama; oppure se il ''tesoro'' appartenga come patrimonio personale ad Agrama in quanto artefice di una colossale ''cresta'' ai danni proprio delle casse Mediaset, eventualità che richiede la necessaria complicità di alti dirigenti Fininvest/Mediaset e con il rischio collaterale di fare di Agrama un maxievasore agli occhi del poco indulgente fisco americano.

L'avvocato italiano di ''Frank'' Agrama, Astolfo Di Amato, riassume la scoperta pragmaticamente: ''O il reato c'è per tutti e due o non c'è per nessuno''.
Secondo la difesa di Agrama, comunque, checché se ne dica, i soldoni congelati ''sono disponibilità personali, sue e di sue società''. Guadagni, insomma, leggittimamente guadagnati. ''Agrama 'socio occulto' di Berlusconi? L'accusa lo presenta quasi fosse un fantoccio, ma non è così: siamo tranquilli, quello che Agrama ha guadagnato se l'è messo in tasca''.

Cade invece dalle nuvole, alla notizia del sequestro, l'avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini: ''Un nuovo sequestro? Lo ignoro''. L'avvocato Ghedini però una settimana addietro, nel ribadirne l'estraneità, aveva aggiunto un ''casomai'': ''Agrama non è mai stato socio di Berlusconi, né mai gli ha retrocesso denaro. Casomai, se fosse vero l'assunto accusatorio nei confronti di Agrama, proprio Fininvest, Mediaset e Berlusconi sarebbero i danneggiati da manovre finanziarie a loro totale insaputa''.

Comunque sia, domani iniziano le udienze e seppur gli indagati si dicono tutti ''certi di dimostrare nel processo la propria estraneità alle accuse'', meglio comunque farlo un'altra volta e in un altro posto, piuttosto che già domani a Milano.
Insomma, all'indomani del grande sequestro, Mediaset segue l'esempio del suo fondatore: e se nel 2002 Berlusconi già nel processo Sme aveva chiesto (ma non ottenuto dalla Cassazione) di spostare le udienze a Brescia per l'asserita parzialità dell'intero Tribunale milanese, ora anche Mediaset (di cui Berlusconi è azionista di maggioranza) punta a spostare da Milano a Brescia l'udienza preliminare sui diritti tv. Udienza che dovrebbe vedere il giudice Fabio Paparella decidere il rinvio a giudizio o il proscioglimento del presidente del Consiglio, del presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e di altre 12 persone per le ipotesi di appropriazione indebita di 270 milioni di dollari, frode fiscale di 120 miliardi di lire e relativi falsi in bilancio fino al 1999 nella compravendita in Usa di diritti tv.
Mediaset però si affrettà a chiarire che sono altri i motivi: l'azienda propone infatti il timore che fonte di parzialità per qualunque toga dell'intero distretto giudiziario milanese possa essere il fatto che 62 magistrati siano stati o siano, dalla quotazione nel 1996 ad oggi, azionisti Mediaset.

Tre le mosse dell'azienda, che delibera di costituirsi parte civile.
- Prima il suo avvocato Salvatore Pino chiede al ministero della Giustizia l'elenco di tutti i magistrati milanesi dal 1996 a oggi.
- Poi chiede a Mediaset di controllare se tra essi vi siano mai stati azionisti Mediaset (criterio: lo stacco del dividendo), e ottiene 62 nomi in 9 anni (da 100 azioni a 4mila al massimo).
- Quindi formula una istanza di restituzione di documenti sequestrati a Mediaset il 12 ottobre, dolendosi che ''il depauperamento del patrimonio cognitivo aziendale comporti quotidiane difficoltà nell'attività amministrativa''.

Ma quale giudice dovrebbe essere competente a restituire le carte? Non quello di Milano, argomenta Mediaset sulla scia di eccezioni analoghe superare a fatica nei processi Parmalat a Milano e Bipop a Brescia. L'articolo 11 del Codice di procedura, infatti, stabilisce che, per i processi ''nei quali un magistrato assuma la qualifica di persona offesa o danneggiata dal reato'', competenti siano i magistrati di un altro distretto giudiziario predefinito (per Milano è Brescia). E per l'avvocato Pino ''è evidente che un problema di imparzialità dell'autorità giudiziaria'', determinato ''dal rapporto di colleganza'', si pone già ''in relazione alla funzione'' esercitata dalle 62 toghe ''persone offese o danneggiate''.
Non tutti condividono questa impostazione, nemmeno tra le difese. ''Mi sembra un'eccezione infondata, magistrati azionisti Mediaset esisteranno in tutta Italia e allora il processo non si farebbe mai'' osserva l’avvocato di Agrama, Astolfo Di Amato, intenzionato ''a non associarmi all'istanza ma a rimettermi al giudice. Svolgeremo invece altre eccezioni tecniche: Agrama non intende assumere un atteggiamento dilatorio dell'udienza''. [Luigi Ferrarella, Corriere.it]

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27 ottobre 2005
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