105 anni fa nasceva a Bagheria (PA) Ignazio Buttitta
Omaggio ad uno dei più grandi poeti dialettali d'Italia, il poeta delle piazze
- Una poesia: "Lingua e Dialettu"
- Una testimonianza di Leonardo Sciascia
- Bibliografia
Il 19 settembre del 1899 nasceva a Bagheria (PA) uno dei più grandi poeti dialettali italiani: Ignazio Buttitta.
Ignazio Buttitta, intellettuale istintivo e nello stesso tempo raffinato, fu un autodidatta, egli si servì della cronaca per esprimere le problematiche e le aspirazioni sociali del proletariato, e ad esso direttamente si rivolgeva (Pier Paolo Pasolini con molto affetto lo definì "sentimentale ed estroverso, ingenuo e tormentato").
Nella sua vita fece diversi mestieri: da garzone da macellaio a salumiere, da grossista in alimenti a rappresentante di commercio. Il 15 ottobre 1922, alla vigilia della "marcia su Roma", capeggiò nel suo paese una sommossa popolare, nello stesso anno fondò il circolo di cultura "Filippo Turati" che settimanalmente pubblicava un foglio dal titolo "La povera gente".
Fino al 1928 fu condirettore del mensile palermitano di letteratura dialettale "La trazzera", soppresso dal fascismo.
Dopo aver pubblicato "Sintimintali" (1923) e il poemetto "Marabedda" (1928), il poeta ufficialmente tacque, ma le sue poesie continuarono a circolare clandestinamente. La sua prima poesia antifascista fu pubblicata nel 1944 sul secondo numero di "Rinascita".
Nel 1954, con "Lu pani si chiama pani", Buttitta ricominciò a pubblicare le sue opere, che gli hanno dato fama internazionale. Nel 1943 Bagheria era stata bombardata e Buttitta, per allontanare la famiglia dai pericoli della guerra, si trasferì a Codogno (MI). Riteneva di poter tornare da solo in Sicilia, ma lo sbarco degli alleati gli impedì di attraversare lo stretto di Messina.
Quando, dopo la liberazione tornò in Sicilia, trovò i suoi magazzini di generi alimentari saccheggiati e danneggiati, e per vivere (aveva già quattro figli) fu costretto a ritornare in Lombardia e a intraprendere l'attività di rappresentante di commercio.
Questo fu un importante periodo di approfondimento per il poeta, che potè incontrare e frequentare due altri grandi siciliani della letteratura italiana, Elio Vittorini e Salvatore Quasimodo.
Nel 1960, ritornato dalla Lombardia, si stabilì definitivamente a Bagheria e da quel momento si dedicò alla poesia con maggiore serenità, realizzando così il sogno della sua vita, essere poeta a tempo pieno.
Il 5 aprile 1997 muore, nella casa affacciata sul mare di Aspra.
Ignazio Buttitta definito "poeta di piazza" è uno dei siciliani importanti del secolo trascorso, un uomo che non ha mai nascosto le sue radici, anzi le ha sbandierate - attraverso la scrittura e con la sua presenza sulle scene del mondo - in lungo e in largo, con la dignità che si addice al vero pensatore libero.
Egli sapeva "prendere" le folle delle piazze, era cosciente del fatto che, con il suo modo carismatico di comunicare agli altri le istanze popolari ed umane racchiuse nei suoi versi, avrebbe raggiunto il cuore di tutti, e disdegnando apertamente gli inutili protagonisti ed essendo a sua volta "caricato" dalla gente che lo ascoltava, tra prosa e poesia sapeva librarsi in un crescendo pieno di immagini e di situazioni intimamente coinvolgenti.
Lingua e Dialettu
Ignazio Buttitta (1970)
Un populu
mittitulu a catina
spugghiatulu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavola unni mancia
u lettu unni dormi
è ancora riccu.
Un populu,
diventa poviru e servu
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si manciunu tra d'iddi.
Minn'addugnu ora,
mentri accordu a chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
Mentri arripezzu
a tila camulata
chi tesseru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani
e sugnu poviru
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri
I giuielli
e non li pozzu rigalari;
u cantu,
nta gaggia
cu l'ali tagghati
U poviru,
c'addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu pi nciuria.
Nuàtri l'avevamu a matri,
nni l'arrubbaru;
aveva i minni a funtani di latti
e ci vippiru tutti,
ora ci sputanu.
Nni ristò a vuci d'idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
Nni ristò a sumigghianza,
l'annatura,
i gesti,
i lampi nta l'occhi:
chissi non ni ponnu rubari.
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.
Bibliografia
"Sintimintali", poesie con prefazione di G. Pipitone Federico, edizioni Sabio, Palermo 1923
"Marabedda", edizioni La Terrazza, Palermo 1928
"Lu pani si chiama pani", traduzioni in versi di Salvatore Quasimodo, illustrazioni di Renato Guttuso, edizioni di Cultura Sociale, Roma 1954
"Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali", traduzione di Franco Grasso, Edizioni Arti Grafiche, Palermo 1956
"La peddi nova", prefazione di Carlo Levi, edizioni Feltrinelli, Milano 1963
"Lu trenu di lu suli", introduzione di Leonardo Sciascia, edizioni Avanti!, Milano 1963
"La paglia bruciata", prefazione di Roberto Roversi con una nota di Cesare Zavattini, edizioni Feltrinelli, Milano 1968;
"Io faccio il poeta", prefazione di Leonardo Sciascia, edizioni Feltrinelli, Milano 1972 (Premio Viareggio)
"Il cortile degli Aragonesi", (rielaborazione di un'opera teatrale di autore ignoto), edizioni Giannotta, Catania 1974
"Il poeta in piazza", edizioni Feltrinelli, Milano 1974
"Prime e nuovissime", Gruppo Editoriale Forma, Torino 1983
"Le pietre nere", edizioni Feltrinelli, Milano 1983