Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

12 anni schiavo

La storia vera di Solomon Northup... L'ultima pellicola di Steve McQueen pluripremiata agli Oscar

01 aprile 2014

Noi vi segnaliamo…
12 ANNI SCHIAVO
di Steve McQueen

Nel 1841, Solomon Northrup - un nero nato libero nel nord dello stato di New York - viene rapito e portato in una piantagione di cotone in Louisiana, dove è obbligato a lavorare in schiavitù per dodici anni sperimentando sulla propria pelle la feroce crudeltà del perfido mercante di schiavi Edwin Epps. Allo stesso tempo, però, gesti di inaspettata gentilezza gli permetteranno di trovare la forza di sopravvivere e di non perdere la sua dignità fino all'incontro con Bass, un abolizionista canadese, che lo aiuterà a tornare un uomo libero.

Anno 2013
Nazione USA
Tit. Orig. 12 Years a Slave
Produzione Brad Pitt, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Bill Pohland, Steve McQueen, Arnon Milchan, Anthony Katagas per River Road Entertainment, Plan B Entertainment, New Regency Pictures, in associazione con Film4
Distribuzione BIM
Durata 113’
Regia Steve McQueen
Tratto da autobiografia "Twelve years a slave. Narrative of Solomon Northup, a citizen of New-York, kidnapped in Washington city in 1841, and rescued in 1853, from a cotton plantation near the Red River in Louisiana" di Solomon Northup
Sceneggiatura John Ridley
Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Paul Giamatti, Lupita Nyong'o, Brad Pitt
Genere Biografico, Drammatico, Storico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
"I lungometraggi di Steve McQueen sono costruiti sempre giocando molto sulla fissità dello sguardo e l'enumerazione (la ripetizione) degli oggetti e delle situazioni. E anche questo '12 anni schiavo' non sembra modificare in maniera rilevante il personale approccio espositivo dell'artista-regista se non fosse per il tema, quello della schiavitù, che aggiunge al film un nuovo - e più invadente - livello di lettura, storico-politico. (...) fin dal titolo, è lo stesso McQueen che sottolinea come l'odissea di Solomon (Chiwetel Ejiofor) abbia un inizio e una fine, perché in fondo non è lo sviluppo romanzesco (anche se reale) delle sue disavventure che interessa al regista ma piuttosto l'illustrazione, la messa in mostra della condizione di schiavo.

McQueen non vuole raccontare ma far vedere ed è per questo che il film ingarbuglia le coordinate temporali, evita di approfondire alcuni momenti «decisivi» della sua vita e preferisce puntare tutto sulla forza delle immagini: macchina fissa, oggetti e situazioni molto ben inquadrate (...), riprese a volte sull'asse frontale a volte perpendicolari ma dall'alto, spesso di una durata più lunga di quella strettamente necessaria a capire che cosa sta succedendo. Come nella scena già celeberrima in cui Solomon sfugge alla vendetta mortale di un sorvegliante (Paul Dano) che ha umiliato intellettualmente anche se il suo «salvatore» (che l'ha fatto solo per paura della reazione del padrone) lo lascia semi-impiccato per tutta la giornata, con il collo nel cappio in instabile equilibrio sulla punta dei piedi, mentre sullo sfondo gli altri schiavi dimostrano indifferenza alla sua situazione.

Come in questa scena, tutto il film viene costruito in funzione delle sue ambizioni «illustrative». I padroni di Solomon mostrano ognuno un tratto specifico dello schiavista - l'indifferenza morale per il venditore interpretato da Paul Giamatti, il paternalismo per il possidente terriero Benedict Cumberbatch, il sadismo per il coltivatore di cotone Michael Fassbender - mentre vengono lasciati nel vago molti altri elementi che potrebbero aiutare a definire il personaggio, dai rapporti familiari alle relazioni con le schiave (...), dal ruolo della religione (speranza o condanna?) a quello dei processi di produzione e di accumulazione nel Sud. Di contro, vengono mostrate situazioni finora mai viste al cinema, come la vita quotidiana degli schiavi (fino ai momenti in cui si lavano insieme) o le situazioni di privilegio che alcune schiave riuscivano a ottenere dai loro padroni. Senza dimenticare la crudeltà delle punizioni corporali, a cominciare dalle frustrate che piagano la carne delle schiene.

Tutto questo, da una parte sottolinea l'originalità dell'approccio di McQueen (...) ma dall'altra non mi pare sappia dare una vera anima al film, che resta distante come a volte sono le opere di certi artisti: magari intellettualmente provocatrici ma povere di autentica emozione. Il film sceglie di raccontare tutto dalla parte del protagonista, per inseguire una descrizione della schiavitù come angoscia e paura, come buio e smarrimento (sono molte le scene dove l'ombra sembra impadronirsi dello schermo) ma rischia di non andare molto oltre. Il sangue e la carne piagata che occupano lo schermo possono alimentare lo sdegno e la rabbia (come era già successo a Kechiche con il suo 'Venere nera') ma non aiutano molto il cinema. E il rischio già presente in 'Shame' (il suo film precedente) qui ritorna con più invadenza: un film che scivola verso il sociologismo, verso il dimostrativo, magari anche «bello» e «vero» ma senza un'autentica vita, capace di vivere oltre quello che si vede sullo schermo."
Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera'

"(...) non è (solo) il razzismo, il cuore del terzo lungometraggio di Steve McQueen è lo schiavismo, ed è affare economico e giuridico, non mero pregiudizio e avversione razziale, cui Hollywood ha dedicato chilometri di pellicola. Già, lo schiavismo è materia scomodissima, approdata sullo schermo solo di recente: 'Lincoln' e 'Django Unchained'. Se Tarantino ha optato per la 'blaxploitation' e l'affrancamento - sociologico, non psicologico - a mano armata del singolo (Jamie Foxx), Spielberg ha messo a fuoco la legiferazione dell'abolizione, ma senza puntare sulla scrittura, sulle carte, bensì sui retroscena 'di palazzo' e la (stratta) aneddotica lincolniana, l'oralità. L'intenzione, e l'ambizione, di McQueen di fare di '12 Years a Slave' la sintesi dei due predecessori è cristallina, sin dal titolo: '12' è vergato mano, con quell'inchiostro di mora impiegato da Solomon per le proprie memorie, e sta per la prima persona singolare di Django; 'Years a Slave' è stampato in caratteri dell'epoca, e sta per il sistema abolizionista di Lincoln. Come già in 'Hunger' (...) e 'Shame', dove il regista era penna e Fassbender inchiostro della sesso dipendenza, quello di McQueen è cinema di scrittura per definizione, eppure qualcosa non torna: se la sua regia, mutuata dalla videoarte, tratteggia sempre minuziosa rumori e suoni ambientali, le righe bianche stanno altrove.

Affidandosi alle memorie di Northup, si scontra tra il desiderio di una narrazione onnisciente - 'Ecco, ve la do io la schiavitù!' - e un narratore che, all'opposto, è forzatamente passivo e incarna una funzione spettatoriale. In effetti, Solomon finisce per agire a metà tra i bianchi e i fratelli di schiavitù: se la figura dell'house nigger kapò (Samuel L. Jackson in 'Django') sintomaticamente qui manca, Solomon ha competenze bianche - parla e scrive un inglese forbito che deve occultare, suona il violino - e mansioni bianche, ovvero è costretto a frustare a sangue Patsey (Lupita Nyong'o) al posto di Epps. Quest'ultima scena ha fatto parlare negli States di 'torture porn', viceversa, stigmatizza il nervo scoperto di McQueen: non bastano il tormentato aguzzino Fassbender, l'ambiguo Cumberbatch - colpevolmente abbandonato - e il bifolco cattivo Paul Dano per dire la schiavitù, serve l''homo homini lupus' - i negri per i bianchi erano bestie - e, in definitiva, il sadomasochismo, già leitmotiv del regista. Altre due le scene dirompenti (...), ma per il resto '12 anni schiavo' non scrive sistematicamente la schiavitù, solamente ne illustra sul volto-specchio di Solomon l'orrore, in verità, trattandola come razzismo, crudele idiosincrasia del singolo: analogamente, la soluzione è personale, sta nel 'carpentiere di buon cuore' (press-book) Samuel Bass, con cui il produttore Brad Pitt - guarda caso - si ritaglia il ruolo del bianco buono. La scrittura, la pastorale di un'infamia americana, ritorna solo nei cartelli finali, che svelano l'epilogo di Solomon: titolo e cartelli, appunto, ma in mezzo Steve McQueen si riscopre 'analfabeta'. Si, il cinema americano è ancora schiavo dello schiavismo."
Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano'

Golden Globe 2013 come Miglior film (categoria drammatico) - Oscar 2014 per: Miglior film, attrice non protagonista (Lupita Nyong'o), Sceneggiatura non originale. Era candidato anche per: Miglior regia, attore protagonista (Chiwetel Ejiofor) e non protagonista (Michael Fassbender), montaggio, scenografia e costumi.

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

01 aprile 2014
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia