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13 milioni di italiani sono costretti a convivere con la mafia

Dal Rapporto Censis ''Condizionamento della mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno''

01 ottobre 2009

Tredici milioni di italiani, pari al 22% della popolazione e al 77% di quella che risiede complessivamente in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, sono costretti a convivere con il fenomeno mafioso. Si tratta di quegli italiani che, nelle quattro regioni più importanti del Sud, risiedono in uno dei 610 comuni nei quali e' stata registrata l'esistenza di clan criminali riconosciuti, oppure la presenza di beni sequestrati o che, invece, sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa.
I dati li fornisce il Censis nel rapporto sul "Condizionamento della mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del Mezzogiorno", i cui risultati sono stati illustrati ieri alla Commissione Antimafia dal presidente Giuseppe Pisanu.
A questi 13 milioni di italiani, corrispondono soltanto il 14,6% del Pil nazionale, il 12,4% dei depositi bancari e il 7,8% degli impieghi.
Nel 2007, si legge nel rapporto, il Pil medio pro capite delle quattro regioni è il più basso del Mezzogiorno e il tasso di disoccupazione il più alto.

Il Rapporto Censis è composto da sette capitoli che analizzano i vari aspetti del fenomeno mafioso e le conseguenze sullo sviluppo del Mezzogiorno e l'impatto sul resto del Paese. Prendendo in esame alcuni dei reati specifici della criminalità organizzata: usura ed estorsioni, associazioni di tipo mafioso, contrabbando, stupefacenti, riciclaggio, attentati e incendi dolosi, omicidi, emerge che, su oltre 26.900 reati di tipo mafioso denunciati in Italia nel 2007, la metà risultano commessi nelle quattro regioni a maggior rischio.
"Negli ultimi anni - ha spiegato Pisanu - si è registrato un forte incremento delle estorsioni e delle intimidazioni (incendi e attentati), un sensibile aumento del riciclaggio, una contrazione delle denunce di associazione mafiosa, smercio di stupefacenti e contrabbando, una drastica riduzione degli omicidi. Per il reato di usura, in particolare, pur registrandosi una diminuzione dei reati (tranne che in Campania), resta difficile avere una misura attendibile del fenomeno. A fine 2008 si registra anche un fortissimo aumento dei patrimoni confiscati nelle quattro regioni, con una netta prevalenza della Sicilia". Eppure, ha spiegato l'ex ministro dell'Interno, "pur senza sottovalutare il peso della criminalità organizzata, gli imprenditori meridionali sembrano imputare le maggiori responsabilità del mancato sviluppo alla incapacità progettuale e gestionale degli organismi pubblici, alla scarsa trasparenza delle procedure ed alla corruzione. Tuttavia la percentuale di imprenditori che segnalano l'aggressività del racket e dell'usura è, rispettivamente, raddoppiata e triplicata fra il 2003 e il 2006".
Sempre secondo il Rapporto, ha spiegato Pisanu, "ci sono molti imprenditori, soprattutto siciliani e calabresi, che considerano le vessazioni mafiose come una condizione ormai inevitabile per fare impresa". Inoltre, la distribuzione territoriale dei reati denunciati contro la pubblica amministrazione mostra che oltre il 42% avvengono nelle quattro regioni maggiori del Sud. Anche la percentuale dei reati di corruzione è superiore alla media nazionale in Calabria, Puglia e Sicilia.
Secondo quanto risulta dalle indagini investigative e processuali emerge che la penetrazione delle mafie si verifica prevalentemente a livello locale e nei settori più redditizi: le opere pubbliche, i finanziamenti comunitari, lo smaltimento dei rifiuti e la sanità. Anche nel settore delle frodi comunitarie (riferite ai fondi agricoli e strutturali), oltre il 72% delle denunce, si concentra nelle quattro regioni a rischio. Una situazione che contribuisce a segnare il divario tra Nord e Sud, oggetto di uno dei capitoli del Rapporto. Gli indicatori economici e sociali dimostrano che la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania sono le quattro regioni più lontane dal resto del Paese: il loro Pil pro capite è sotto il 75% della media europea (a 25 paesi membri) ed è solo il 65,7% della media nazionale italiana, secondo i dati 2007. Infine, tra il 2000 ed il 2007 il Pil nazionale è cresciuto mediamente di un punto all'anno, mentre nelle quattro regioni soltanto dello 0,7.

Dopo essersi brevemente soffermato sull'evoluzione storica del fenomeno, e riconoscendo che, "pur in presenza di dati significativi come quelli del rapporto Censis, è difficile stabilire un nesso di causa-effetto tra mancato sviluppo e criminalità organizzata", "il risultato più evidente è che le quattro regioni di più forte insediamento mafioso sono oggi, sotto ogni aspetto, le più povere e le più sfiduciate del Paese". Per Pisanu, "deve esserci dunque un paradigma che spieghi il rapporto esistente tra mancato sviluppo e criminalità organizzata. Forse questo paradigma possiamo trovarlo nella 'contemporanea assenza (o carenza) di mercato e di fiducia'". "Lo sviluppo - ha spiegato Pisanu - nasce quando c'è dialettica e composizione pacifica di interessi contrapposti, concorrenza lecita tra soggetti diversi. Laddove invece prevalgono le mafie viene meno la libertà di mercato, si indeboliscono coloro che sono capaci di fare economia e si crea un implicito monopolio della criminalità a cui lavoro e impresa finiscono per soggiacere". "La sfiducia nello Stato - secondo Pisanu - è un ulteriore capitale simbolico che le mafie investono abilmente, presentandosi col volto affidabile del mediatore generale che compone i conflitti e risolve i problemi". Le mafie, dunque, "esercitano il potere nel Sud, facendo leva contemporaneamente sul controllo del mercato e sul decadimento dello spirito pubblico. Ciò consente loro di ridurre l'uso della violenza al minimo indispensabile". "La minaccia delle mafie - ha continuato l'ex ministro dell'Interno - si alza sull'intera economia nazionale, ma con effetti più devastanti al Sud". Per questo, "senza adeguati livelli di sicurezza e legalità il Mezzogiorno rischia di perdere una duplice e irripetibile opportunità storica: da un lato, la razionale utilizzazione dei fondi nazionali e di quelli relativi ai programmi europei 2007-2013; dall'altro lato, la partecipazione attiva, secondo la sua naturale vocazione mediterranea, al processo di Barcellona, al progetto francese di Unione dei paesi rivieraschi". "Lo stesso federalismo fiscale - ha ammonito il presidente della Commissione Antimafia - si trasformerebbe in un autentico boomerang se non trovasse nel Sud istituzioni trasparenti e capaci". Il nuovo intervento straordinario del governo, per Pisanu, "sembra puntare sulla priorità assoluta delle infrastrutture, del capitale umano e della sicurezza". Si tratta di un'impostazione che Pisanu dice di "condividere", aggiungendo che, "occorre però che siano garantiti l'alto coordinamento degli interventi, il carattere aggiuntivo della spesa, la trasparenza degli appalti, il controllo severo dei subappalti e dei cantieri".

"La sicurezza - ha sottolineato ancora Pisanu - è condizione preliminare, se non fattore vero e proprio di sviluppo. Dove non c'è sicurezza non può esserci sviluppo - aggiungendo che - la battaglia contro le mafie è dunque una battaglia di libertà, anzi una guerra di liberazione". Questa battaglia, "va condotta con una strategia unitaria, ma con tattiche differenziate dal Sud al Nord, poiché i due contesti sono evidentemente diversi".
Quanto ai rapporti tra le mafie italiane e quelli con le organizzazioni straniere, Pisanu ha affermato che: "Proprio sul versante economico-finanziario Cosa Nostra, 'Ndrangheta, Camorra e, in minor misura, Sacra Corona Unita consolidano, oggi, la loro dimensione nazionale, spesso collaborando tra loro e con le grandi organizzazioni criminali straniere". Pisanu ha aggiunto come, "i mafiosi temono la perdita dei patrimoni più della galera", e "passa dunque da qui la linea più avanzata ed efficace del contrasto e della repressione".
Per il presidente dell'Antimafia, infine, "c'è bisogno, se vogliamo vincere la guerra, di maggiori risorse materiali e umane, di indagini più penetranti e di norme legislative che siano al passo con le tecniche e le procedure altamente sofisticate delle organizzazioni criminali. L'esigenza più immediata è individuare esattamente i punti critici del connubio mafia-economia e su di essi approfondire la nostra ricerca, chiamando in aiuto i magistrati, i pubblici amministratori e gli studiosi che abbiano fatto sul campo specifiche e significative esperienze". La repressione di ogni attivita' mafiosa, ha concluso Pisanu, "è oggi il primo, indispensabile atto per risolvere la Questione Meridionale e sanare quella che Aldo Moro chiamava 'la storica ingiustizia'". [Adnkronos]

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01 ottobre 2009
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