Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

23 maggio 1992

Ricordando il giudice Giovanni Falcone: il peggior nemico che la mafia abbia mai avuto

23 maggio 2007

Panormus, Palermo, ''tutto porto''. Città che nell'accoglienza fonda la sua anima e da questa prende il nome... ''tutto porto''.
A Palermo oggi è attraccata la Nave della Legalità, nave che ogni anno porta in Sicilia migliaia di giovani da tutta Italia per commemorare i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La Nave della Legalità arriva oggi, nel giorno in cui, quindici anni fa, la mafia assassinava in maniera spaventosa uno dei suoi più acerrimi nemici, quel Giovanni Falcone tanto odiato che venne fatto saltare in aria, insieme alla moglie, Francesca Morvillo, e agli agenti della scorta, Antonio Montanari, Vito Schifani e Rocco Dicillo, lungo l'autostrada Palermo-Capaci.
Era il 23 maggio del 1992.  
A ricordare quella pagina oscura della nostra Repubblica, insieme ai tanti giovani studenti, anche il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, perché nei due eroi contemporanei, nati, cresciuti e morti a Palermo, c'è l'esempio migliore che si possa seguire per diventare ''veri uomini'', ''vere persone'', ''veri esseri umani''.
Gli uomini del domani, i nostri giovani, parleranno nell'aula bunker, il luogo dove si svolse il maxiprocesso, della battaglia contro Cosa nostra e dell'importanza dell'educazione alla legalità. Lo faranno insieme al presidente del Senato Franco Marini, al ministro Fioroni e al procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso.

Altri studenti, sempre in nome della ''Memoria'', si muoveranno verso Corleone. Un altro corteo formato da studenti e docenti, accompagnati dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e da Manfredi Borsellino, sta andando verso Corleone sui luoghi dell'arresto di Bernardo Provenzano. Sulla strada che porta al rifugio del boss, recentemente ribattezzata ''Via 11 Aprile 2006, cattura di Bernardo Provenzano - mafioso'', saranno stese le ''lenzuola della legalità'' realizzate dalle scuole, mentre per le vie del paese le scuole corleonesi organizzeranno una ''Festa della legalità'' e i ragazzi saranno raggiunti dal ministro Fioroni e da Maria Falcone.

''Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini''.

Però quanti segreti ancora dietro quelle due stragi che cambiarono il corso della Storia. Quante bocche ancora mute. Quante coscienze marce tengono nascosta la verità.
Dopo la strage di Capaci a Paolo Borsellino rimasero altri 57 giorni di vita, che visse tutti come se ognuno dovesse essere l'ultimo. Anche lui, come il collega e fraterno amico Giovanni Falcone, aveva intuito che le loro indagini, il loro lavoro, quello di una vita, aveva infranto un sistema di equilibri di potere e che si era vicinissimi ad una delle risposte più importanti per sconquassare Cosa nostra.
Racconta il magistrato Antonio Ingroia al primo processo per la strage di via d'Amelio: ''Paolo Borsellino cominciò ad essere perfettamente consapevole della particolare sovraesposizione in cui si trovava. E ripeteva: Giovanni Falcone era il mio scudo, dietro il quale potevo proteggermi. Morto lui, mi sento esposto e adesso sono io che devo fare da scudo nei vostri confronti''.
I 57 giorni cominciarono a scorrere inesorabili. Scoprire gli autori dell'eccidio di Capaci era il ''chiodo fisso'' di Borsellino. ''Quando avrò le idee più chiare sul contesto e la pista giusta - confidò un giorno ad Ingroia - consacrerò le mie dichiarazioni alla Procura di Caltanissetta: non voglio legarmi le mani oggi, con una verbalizzazione, quando ancora devo verificare una serie di cose che potrebbero essere importanti per lo sviluppo delle indagini''. 57 giorni passati a rileggere alcuni appunti dell'amico Giovanni, alla ricerca di episodi, paure e presentimenti che potessero aprire uno spiraglio di verità. ''Era assolutamente convinto di trovarsi di fronte a una strage di Cosa nostra'' racconta ancora Ingroia.
Ma in quella forsennata ricerca, Paolo Borsellino sembrava... era solo. Anche per lui l'unica strada da percorrere era uguale a quella che era stata percorsa da Falcone: la stessa amara sorte.

''E' cambiato molto da allora, Palermo è più libera... Io però non avrò giustizia fino a quando non si scoprirà l'intreccio con il mondo della politica e degli affari, fino a quando non si scopriranno i nomi di quei mandanti esterni che oggi non esistono''. Sono le parole di Maria Falcone, parlando dei quindici anni trascorsi dalla morte del fratello, col giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni.
''A meno che qualche uomo politico importante non abbia una profonda crisi di coscienza e parli, a meno che Totò Riina o Bernardo Provenzano non decidano di confessare chi sono stati i loro complici''.
Quindici anni dopo per la strage di Capaci colpevole c'è solo la Cupola.

Quindici anni dopo è affiorata una traccia che porta all'uomo che procurò il telecomando per far saltare in aria l'autostrada. E' un costruttore palermitano, molto noto. Fu sfiorato da qualche sospetto appena un paio di mesi dopo il massacro, poi uscì dall'inchiesta. C'è rifinito dentro per i suoi contatti con una società catanese specialista in ''pulizia'' ambientale, due fratelli che maneggiano microspie per conto dei Pm e dei ''servizi''. I due catanesi sono coinvolti nell'investigazione sull'uccisione del procuratore Paolo Borsellino, però si sono lasciati dietro indizi che riconducono anche a Capaci. E' un appunto su un congegno elettronico.
L'imprenditore di Palermo è diventato ormai l'unico ''filo'' fra la Cupola e quelli che i procuratori di Caltanissetta chiamano i mandanti ''altri''. Quelli che ''non esistono'', quelli che non sono mai stati trovati.
I migliori detective dei reparti investigativi hanno raccolto milioni di informazioni che sono servite a imbastire una mezza dozzina di processi, tutti conclusi con la condanna definitiva dei capi di Cosa Nostra. Un'enciclopedia del crimine, montagne di carte che si fermano però tutte lì: alla mafia di Corleone. ''Ma sono proprio quelle carte che non consentono una lettura minimalista, quella sulla strage è un'inchiesta ancora monca'', spiega Francesco Crescimanno, l'avvocato di Falcone che rappresenta ancora la sua famiglia come parte civile. Per la prima volta dice anche qualcos'altro Crescimanno: ''Le indagini si sono impantanate e non certo per colpa della polizia giudiziaria o della magistratura, lo Stato italiano a questo punto dovrebbe compiere un percorso di conoscenza all'interno di se stesso, nel suo ventre. A cominciare dai servizi segreti'' [...]

Nell'ufficio giudiziario che è stato il ''motore'' delle inchieste sulle stragi siciliane, la Procura di Caltanissetta, oggi c'è solo l'aggiunto Renato Di Natale che segue ancora l'ultima filone d'indagine su Capaci. Dal 1992 hanno aperto e chiuso tre fascicoli sui mandanti ''altri''. In quindici anni sono finiti in 7 nel registro degli indagati ''per concorso in strage''.
I primi due sono stati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Rivelazioni di pentiti, indagini intrecciate con un presunto riciclaggio e pericolose amicizie palermitane. Furono individuati loro due come quei ''nuovi referenti'' che - fra il '92 e il '93 - stavano cercando i boss. L'inchiesta su Berlusconi e Dell'Utri è stata definitivamente chiusa il 3 maggio 2002. La seconda inchiesta sui mandanti occulti è quella che viene definita ''la pista di mafia e appalti''. Grandi lavori e grandi tangenti, gli affari delle cosche che si mischiano quelli della politica, società quotate in Borsa e l'ombra dei Corleonesi. Cinque gli indagati: Giovanni Bini, Antonio Buscemi, Agostino Catalano, Benedetto D'Agostino, Pino Lipari. Anche per loro indagine chiusa il 9 giugno 2003. L'ultima inchiesta si è arenata in questa primavera del 2007. Era nata dalle dichiarazioni di Antonino Giuffrè. Il pentito aveva raccontato che, prima della strage, i boss avevano avviato ''una sorta di consultazione in settori imprenditoriali e politici''. Un sondaggio preventivo di Cosa Nostra.
E' tutta in archivio l'indagine sui mandanti ''altri''.

''La verità sulle stragi non siamo riusciti a trovarla nei 4 anni a seguire e ormai nel nostro Paese non vedo un'ansia di affrontare verità scomode, in un'Italia dove hanno istituito commissioni d'inchiesta su tutto chissà perché nessuno ne ha mai proposto una sulle stragi di siciliane'', commenta il pm Antonino Ingroia.
Quindici anni fa Falcone e poi Borsellino. E poi ancora, i capi della Cupola uno dopo l'altro catturati. Fino all'arresto di Bernardo Provenzano, l'ultimo dei Corleonesi. I protagonisti di quella vicenda siciliana sono ormai quasi tutti morti o sepolti in carcere. I superstiti, scampati o testimoni di rango, si sono chiusi in un profondo silenzio.
E Palermo è entrata in un altro tempo. Palermo è entrata, purtroppo, in un'altra mafia.

- www.fondazionefalcone.it

- www.falconeborsellino.net

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

23 maggio 2007
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia