33 anni fa la strage di Ustica...
Per chi lo avesse dimenticato o fa finta di esserselo scordato, il 27 giugno 1980 si consumò una tragedia di cui non si vogliono svelare i misteri
Il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha partecipando ieri alla cerimonia per la commemorazione delle 81 vittime della strage di Ustica, che si è tenuta all'Assemblea regionale siciliana, presieduta da Giovanni Ardizzone (Udc).
Erano presenti il presidente dell'associazione dei parenti delle vittime della strage, la senatrice Daria Bonfietti, il presidente del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna Palma Costi, i sindaci di Bologna, Palermo e Ustica, Virginio Merola, Leoluca Orlando e Attilio Licciardi.
Pochi i deputati regionali che hanno preso parte alla commemorazione. Diversi scranni ad essi riservati in Sala D'Ercole sono rimasti vuoti; gremite invece le tribune del pubblico dove hanno preso posto le autorità. Assenze sostanzialmente bipartisan. In particolare, il settore più vuoto era quello alla sinistra della presidenza. In totale, i deputati regionali assenti sono stati più o meno la metà dei novanta componenti dell'Assemblea. Una vergogna.
Forte l'appello del presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone: "Ritengo indispensabile che tutte le istituzioni facciano un sforzo per arrivare, dopo lunghi anni di indagini, che purtroppo non hanno ancora consentito di individuare i colpevoli, a una ricostruzione fedele di cosa accadde veramente quella notte". Ardizzone ha sottolineato che si tratta della prima commemorazione "dopo la sentenza della Corte di Cassazione del gennaio scorso che ha confermato la condanna in sede civile per i ministeri dei Trasporti e degli Interni". "Una cerimonia - ha aggiunto - che serva a trasmettere alle future generazioni una pagina di storia (triste), ma sempre storia della nostra bella Italia (nonostante tutto). Abbiamo il dovere di farlo per testimoniare un impegno per la ricerca di quella verità che, in qualche modo, serva a lenire una ferita, ma anche a dare giustizia alle vittime e restituire dignità allo Stato italiano"...
Strage di Ustica: c'era una portaerei. Magistrati sicuri al "mille per cento". Chi mente tra Usa e Francia?
Un’inchiesta di Andrea Purgatori per L'Huffington Post
C’era una portaerei nel triangolo di mare tra Napoli, la Sardegna e Palermo, la notte della strage di Ustica. I magistrati ne sono certi al "mille per cento". Una portaerei che certamente ha "visto" tutto con i suoi radar. Che probabilmente era coinvolta nello scenario di guerra nel quale il DC9 Itavia fu abbattuto per errore. Che si è allontanata rapidamente dopo l’esplosione dell’aereo di linea, insieme al convoglio di navi d’appoggio da cui era circondata.
Questo non risulta solo dalle carte che la Nato ha inviato alle autorità, dai grafici radar che mostrano le tracce di velivoli ed elicotteri militari che originano dal mare e in mare spariscono prima, durante e dopo la strage, dalle rilevazioni dei controllori di Roma-Ciampino che quella notte videro un traffico intenso di caccia nel Basso Tirreno tra Ustica e Ponza o dalle ultime testimonianze dirette di piloti e assistenti di volo che, su altri tre aerei di linea, si trovarono sulla stessa rotta del DC9 prima dell’esplosione e che sono stati interrogati negli ultimi mesi.
C’è qualcosa di più e di più concreto, coperto dal riserbo, che consente ai magistrati della Procura di Roma che indagano sulla strage (Maria Monteleone ed Erminio Amelio) di poter affermare che in quello scenario di guerra va certamente posizionata anche una portaerei.
E gli obiettivi adesso sono due. Primo. Una ricerca negli archivi della nostra Marina militare, per verificare se qualcuno ne annotò (o occultò) i movimenti, che non potevano non essere registrati. Secondo. Scoprire chi ha mentito, visto che Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (le uniche nazioni che nel 1980 disponevano di quel tipo di unità) ripetono che nessuna delle loro navi si trovava nella zona in cui avvenne la strage.
Il Pentagono ha sempre dichiarato che il 27 giugno 1980 la portaerei USS Saratoga (CV-60), comandata dall’ammiraglio James H. Flatley III, rimase in rada a Napoli con i radar praticamente spenti (per non disturbare le frequenze televisive). Una spiegazione poco comprensibile, visto il momento di forte tensione che agitava le acque del Mediterraneo: le minacce di Gheddafi, allora il nemico numero uno degli Stati Uniti; il riflesso della crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana, sequestrati dai pasdaran a Teheran; le provocazioni della flotta sovietica schierata contro il salto del fossato, dall’ombrello del Patto di Varsavia a quello della Nato, appena deciso dal presidente egiziano Sadat. E poi il Deck Log, il libro mastro sull’attività di bordo della Saratoga consegnato al giudice Rosario Priore, che presentava delle anomalie sospette proprio nel giorno della strage, perché scritto dalla mano di uno stesso ufficiale per cinque turni consecutivi di quattro ore (dalle otto di mattina in poi). Una "bella copia" redatta a posteriori, si giustificò l’ammiraglio Flatley, che però non è in linea con i severi regolamenti della US Navy.
Bocce ferme anche da parte francese. Secondo le autorità di Parigi, che hanno risposto alcune settimane fa alle ultime rogatorie dei magistrati italiani, sia la porte-avions Clemenceau (R 98), comandata dall’ammiraglio Jean de Laforcade, che la sua gemella Foch (R 99), comandata dall’ammiraglio Alain Coatanea, la notte del 27 giugno 1980 erano in porto o al largo della base di Tolone, quindi molto lontane dal mare di Ustica. Difficile verificare queste affermazioni. Ma le poche informazioni disponibili danno la Foch certamente a Palermo alla fine di maggio e la Clemenceau in porto a Propriano (Corsica) il 7 e 8 giugno. Ma è l’operativo della fregata lanciamissili Duquesne, quasi sempre al seguito della Foch e della Clemenceau, a fornire dettagli molto interessanti: a giugno la partecipazione a una missione di squadra Rialto, seguita da un’esercitazione Dasix con i caccia de Armée de l'Air e con la Saratoga. I magistrati italiani sono riusciti comunque ad ottenere di interrogare 14 militari che la notte del 27 giugno 1980 erano in servizio nella base di Solenzara in Corsica da dove, nonostante le smentite di Parigi, alcuni caccia individuati anche dalla Nato decollarono diretti verso il Basso Tirreno.
Sul coinvolgimento dei francesi nella strage, nel 2007 Francesco Cossiga fece delle clamorose rivelazioni che mise a verbale. Secondo l’ex presidente della Repubblica, ad abbattere il DC9 con un missile aria-aria "a risonanza e non a impatto" fu un caccia decollato proprio da una portaerei dell’Armèe de mer, mentre tentava di intercettare e colpire un aereo libico con a bordo il colonnello Gheddafi. "Credo però che non si saprà mai nulla di più. La Francia sa mantenere un segreto e si è sempre rifiutata di rispondere alle nostre domande. L'altro Stato coinvolto è l'ex Unione Sovietica", disse Cossiga.
Dopo trentatre anni e una sentenza della Cassazione (che ha ritenuto "abbondantemente e congruamente motivata" la ricostruzione dell’abbattimento del DC9 in uno scenario di guerra aerea, restano buchi neri e reticenze a livello internazionale. Il Belgio, che aveva dei caccia sulla base di Solenzara, ha opposto un rifiuto alle domande dei magistrati per "motivi di sicurezza nazionale". E la Libia, nel caos dopo la fine del regime di Gheddafi, non ha mai ufficialmente risposto alle richieste delle nostre autorità. La linea del silenzio (o dell’omertà) è stata sposata anche dal maggiore Abdel Salam Jalloud, per 24 anni braccio destro del colonnello e poi passato all’opposizione pochi giorni prima della sua esecuzione. Oggi Jalloud vive in Italia sotto la protezione dei nostri servizi segreti, ma quando i magistrati sono andati ad interrogarlo sulla strage che negli anni Novanta attribuì agli americani (due i Mig libici abbattuti nella battaglia aerea, dichiarò allora a giornali e televisioni usando le stesse parole di Gheddafi) si sono trovati di fronte a un silenzio ostinato. E alla fine il maggiore si sarebbe persino rifiutato di firmare il verbale.
Dunque, il segreto inconfessabile di quella notte resiste nonostante qualche scricchiolio.