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A che bell'ò cafè...

In molti bar di Palermo la mafia imponeva il proprio caffé (qualitativamente inferiore rispetto alla media)

28 maggio 2012

Il caffè della mafia imposto ai bar che avrebbero acquistato partite di qualità inferiore rispetto al prodotto medio temendo ritorsioni. È uno degli aspetti che emerge da una indagine della Guardia di finanza di Palermo, denominata “Coffee Break”.
Su disposizione del gip Riccardo Ricciardi che ha accolto la richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, Dipartimento Mafia Economia, i finanzieri hanno sequestrato cinque società per un valore di oltre 4 milioni di euro: due nel settore del commercio all'ingrosso di caffè, due bar e una palestra, riconducibili a un pluripregiudicato, ritenuto, in passato, uomo di fiducia di Totò Riina e condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa.

Le indagini, dirette dal Procuratore Aggiunto Antonio Ingroia e dal pm Dario Scaletta hanno evidenziato che l'uomo, denunciato per il reato di trasferimento fraudolento di valori ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, "al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione, ha negli anni attribuito fittiziamente a propri prestanome la titolarità delle attività commerciali sequestrate, mentre nella realtà le continuava a gestire direttamente". A questo scopo, ha utilizzato 11 persone, denunciate per concorso in trasferimento fraudolento di valori, alcune delle quali appartenenti al proprio nucleo familiare, attribuendo loro la titolarità delle società in sequestro e facendosi assumere come semplice dipendente da una di esse.
L'attività investigativa è stata resa oltremodo difficoltosa perché "il responsabile, con l'evidente scopo di impedire la riconducibilità delle società alla sua persona, non solo cambiava continuamente i soci delle medesime, ma ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre seppur operanti nel stesso settore economico".

Secondo alcuni collaboratori di giustizia l'imprenditore ambiva a diventare, ad ogni costo, il leader incontrastato nella fornitura del caffè presso gli esercizi commerciali di Palermo. La finanza ha appurato che nonostante gli esigui redditi dichiarati al fisco, l'imprenditore e la sua famiglia conducevano un elevato tenore di vita. Dopo la sua scarcerazione (dicembre 2006), l'uomo ha visto aumentare notevolmente il numero dei propri clienti, addirittura +300% in un solo anno.
Nel corso delle indagini, inoltre, sono stati accertati episodi di estorsione che sarebbero attribuibili all'imprenditore in odor di mafia. Significativo quello realizzato unitamente ad altro esponente della criminalità organizzata, attualmente detenuto in carcere per scontare una condanna per 416-bis, nel quale entrambi avevano imposto ad un bar di Palermo, "con metodi tipici dell'intimidazione di stampo mafioso, l'acquisto di caffè commercializzato da una delle società sequestrate, nonostante il prodotto fosse di qualità inferiore rispetto ad altri presenti sul mercato ed il prezzo non certo il più conveniente".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Ansa, Corriere del Mezzogiorno, Repubblica/Palermo]

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28 maggio 2012
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