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A favore dei boss?

Pericoloso precedente creato da una sentenza della Cassazione: si rischia l'azzeramento di molti processi di mafia

06 febbraio 2010

Una sentenza della Cassazione rivoluziona la competenza nella trattazione dei processi di mafia: secondo i supremi giudici, in presenza di alcune aggravanti, la pena può lievitare anche fino a 30 anni di reclusione e dunque il dibattimento deve essere tenuto davanti alla Corte d'assise (comptenzte per i reati puniti con l'ergastolo o la reclusione non inferiore ai 24 anni). Possibile conseguenza della decisione è l'azzeramento di tutti i processi di mafia, anche quelli già chiusi con sentenze che non siano ancora definitive.
La sentenza, emessa dalla prima sezione penale della Suprema corte il 21 gennaio scorso, riguarda un processo celebrato a Catania (contro Attilio Amante e altri otto imputati), in cui si erano dichiarati incompetenti sia il Tribunale, con un'ordinanza del 7 maggio 2009, che la Corte d'assise, con un'altra ordinanza, datata 12 ottobre. Due settimane fa la Suprema Corte ha stabilito che competente a giudicare è la Corte d'assise.
La sentenza (finora è noto solo il dispositivo), passata sotto silenzio, sta suscitando dubbi e perplessità negli uffici giudiziari, con importanti processi per mafia che rischiano di ricominciare da zero.
Proprio la settimana scorsa i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo hanno avuto 30 anni in uno dei dibattimenti del filone "Addiopizzo". E due settimane fa la stessa sorte, in appello, era toccata ai boss Nino Rotolo (condannato a 29 anni) e Franco Bonura (23).

"Una catastrofe, dai potenziali effetti devastanti. E per rimediare occorrà un immediato intervento del legislatore". Non usa mezze misure, commentando i possibili effetti della sentenza della Cassazione sulla competenza della Corte d'assise nei reati di mafia, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. "Non ne conosciamo ancora la motivazione - dice Ingroia - ma il dispositivo è già abbastanza chiaro. Noi abbiamo studiato le posizioni del Tribunale e della Corte d'assise di Catania, che si erano entrambi dichiarati incompetenti, e propendiamo per la tesi che confermerebbe la competenza a giudicare in capo ai Tribunali". Il vice del procuratore Capo Francesco Messineo (che ha convocato una riunione ad hoc della Dda per lunedì 15 febbraio) sostiene che con il passaggio dei processi di mafia in assise si creerebbe un sovraccarico per le Corti e "si tradirebbe - aggiunge - lo spirito della legge, che vuole che i giudici popolari si occupino solo dei fatti di sangue e non di quelli associativi". "Tecnicamente la situazione è un po' complessa, stiamo cercando di esaminarla per vedere quali sono i problemi che possono sorgere, comunque la sentenza non dovrebbe determinare scarcerazione perché i termini di fase ridecorrono". "Se dovesse prevalere la tesi della competenza delle Corti d'assise - continua il pm palermitano - sarebbe una vera e propria catastrofe, perché la questione si potrebbe porre in ogni stato e grado del procedimento. Con effetti che vanno dal regresso del processo in primo grado alla cancellazione di sentenze nei dibattimenti quasi conclusi. E qui si tratta dei capi dell'associazione mafiosa. Altro che processo breve. Sarebbe molto peggio, e gli effetti si ripercuoterebbero nelle vicende di mafia". "Questo - conclude Ingroia - è il risultato dell'approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia. Sono gli effetti di una legislazione che va avanti a strappi, in modo schizofrenico e disorganico. Ci auguriamo che veda presto la luce, anche a causa di questa nuova situazione, il testo unico antimafia, di cui ha nuovamente parlato il presidente del Consiglio nel vertice tenuto nei giorni scorsi a Reggio Calabria".

A commentare le conseguenze della sentenza della Cassazione sui processi di mafia in corso è stato anche l'avvocato Nino Caleca, difensore di Alessandro Capizzi, uno degli imputati del dibattimento di Termini Imerese che è stato rinviato ieri proprio per questo motivo su richiesta congiunta del Pm e degli avvocati della difesa. "E' il risultato logico della strada irrazionale che è stata imboccata nella quantificazione delle pene per il reato di associazione mafiosa, che hanno superato di gran lunga i 30 anni". "Anche la prescrizione per lo stesso reato - sottolinea il legale - ha superato i 45 anni. A questo punto dobbiamo chiederci se tutto ciò sia normale e compatibile con l'intero sistema normativo". Secondo il penalista palermitano "solo un intervento legislativo potrebbe per il futuro sanare eventuali nullità".
"Il governo ponga subito rimedio ad una norma del pacchetto sicurezza, che mette a rischio molti processi di mafia" ha detto il senatore del Pd, Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, dopo che il Tribunale di Termini Imerese ha sospeso e rinviato un processo di mafia. "A causa di una tecnicalità - ha aggiunto Lumia - i tribunali sono costretti a bloccare i processi in ogni ordine e grado ed a trasferirli per competenza alla Corte d'Assise. Questo porterebbe all'azzeramento dei processi stessi. In questo modo i tempi della giustizia subirebbero una notevole dilatazione dei tempi". "Un regalo ai boss mafiosi che lo Stato non può permettere", ha concluso.
"La giustizia deve fare il suo corso e non è lontanamente ammissibile abbassare la guardia contro Cosa nostra. Per questo chiediamo al governo di intervenire al più presto con un provvedimento d'urgenza affinché nessun processo venga azzerato e si confermi la competenza a giudicare i capi mafia in capo ai Tribunali", ha aggiunto la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, sulla recente sentenza della Cassazione.
A chiedere un intervento del governo Pier Luigi Bersani, segretario del Pd. "La sentenza della Cassazione che indica la competenza della Corte di Assise e non del tribunale a giudicare per associazione mafiosa i capimafia rischia di avere effetti catastrofici sui processi in corso. Bisogna che il governo intervenga immediatamente con un provvedimento d'urgenza per ristabilire certezza normativa sulla competenza dei tribunali".

"Tutti possono stare tranquilli che il governo farà in modo che non ci siano conseguenze negative che nascono da un fatto positivo, cioè l'inasprimento delle pene per i mafiosi". Con queste parole, il ministro della Giustizia Angelino Alfano commenta l'allarme suscitato dalla possibilità di azzeramento di alcuni processi di mafia dopo una sentenza della Cassazione. "Faremo di tutto - ha assicurato Alfano - per evitare che ci possano essere conseguenze negative, per evitare un grande paradosso: cioè che dall'inasprimento forte delle pene per i reati del 416 bis possano derivare benefici per i boss". "Abbiamo inasprito le pene per il 416 bis - ha aggiunto il ministro Alfano - dunque si è determinata una sentenza della Corte di Cassazione che non conosco nella sua motivazione perché non è stata pubblicata, ma che conosco nel dispositivo".
Replicando indirettamente al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, Alfano ha detto: "lavoreremo, ma eviterei aggettivi estremi ed eccessive ansie, perché il governo dell'antimafia, che è un'antimafia delle leggi e dei fatti, provvederà ad evitare che effetti distorsivi possano verificarsi, soprattutto per i processi in corso".

Ha provato invece a gettare acqua sul fuoco il Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo che ha spiegato: "Non c'e' il pericolo di scarcerazione perché con l'annullamento del decreto che dispone il giudizio ricominciano a decorrere i termini di fase. Sotto questo profilo non c'è un allarme immediato, ma certo ci sono problemi giuridici che dovranno essere esaminati". Il procuratore ha poi aggiunto: "Non sono in grado di rispondere analiticamente per singoli processi perché la situazione va esaminata caso per caso. Bisogna vedere in che limiti questa pronuncia della Cassazione va ad incidere sulle singole situazioni processuali perché è anche un problema dei tempi delle contestazioni".

La sentenza "incriminata" - La sentenza della Cassazione che ha attribuito alla Corte di Assise la competenza nella trattazione di processi a carico di capi e promotori di associazione mafiosa pluriaggravata prende le mosse non dall'interpretazione di norme introdotte dal ddl sicurezza - come si era appreso in un primo momento - ma da un articolo della cosiddetta legge 'ex Cirielli' che nel 2005 ha aumentato a 24 anni la pena massima per il reato di associazione mafiosa. E' quanto si fa notare in ambienti del ministero della Giustizia i cui tecnici sono al lavoro per valutare l'impatto della sentenza della Suprema Corte di cui, in ogni caso, si attende di leggere le motivazioni. Sulla base dello stringato dispositivo della decisione della prima sezione penale della Cassazione che ha risolto un conflitto di competenza sorto tra il Tribunale e la Corte di Assise di Catania, i tecnici del dicastero di Via Arenula ipotizzano "effetti devastanti" non tanto per i processi in corso, quanto per quello futuri. D'ora innanzi, infatti, si dovrà attrezzare di maggiori mezzi (anche economici, visto il compenso giornaliero per i giudici popolari) le Corti di Assise, aumentandone le sezioni visto che si troveranno a dover giudicare non solo i capi e promotori di mafia ai quali vengono contestate le aggravanti di armi e rimpiego in iniziative economiche dei proventi di attività criminali, ma anche i loro coimputati. Gli effetti sui processi in corso, invece, dovrebbero essere limitati solo a quelli dinanzi ai Tribunali in primo grado: i processi arrivati oltre le formalità di apertura del dibattimento andrebbero avanti senza problemi mentre - secondo i tecnici del ministero della Giustizia - a rischiare dovrebbero essere i processi per i quali i difensori abbiano tempestivamente eccepito una questione di nullità.
Il rischio di annullamento - sempre secondo i tecnici del ministero della Giustizia - non dovrebbero invece correrlo tutti i processi che hanno già superato le formalità di apertura del dibattimento di primo grado. Dunque, non correrebbero pericolo i processi arrivati a sentenza di primo o secondo grado dinanzi ai Tribunali.

In assenza delle motivazioni della sentenza della Cassazione, i tecnici del dicastero di Via Arenula si sono fatti inviare da Catania le carte sul conflitto di competenza relativo al processo contro Attilio Amante e altri imputati. E hanno verificato che l'intervento della Suprema Corte è stato dirimente rispetto alla modifica apportata nel 2005 dalla cosiddetta legge 'ex Cirielli' che all'art.1, comma 2, lettera C ha elevato a 24 anni la pena massima del reato di associazione mafiosa per i capi, promotori o organizzatori della associazione stessa. Se a questi vengono contestate ulteriori aggravanti quali il reimpiego in attività economiche di proventi illeciti, allora la pena può arrivare fino a 30 anni. Ed il codice stabilisce che per i delitti con pena non inferiore nel massimo a 24 anni, la competenza è della Corte di Assise. Con questa decisione - fanno notare i tecnici di Via Arenula - la Suprema Corte dovrebbe aver dato una interpretazione comparata a due norme del codice di procedura penale (art.5 e art. 33 bis) sulle attribuzioni che competono alla Corte di Assise e al Tribunale in composizione collegiale. Da cinque anni vige la norma della ex Cirielli varata sotto il precedente governo Berlusconi e solo ora è stato sollevato il problema dinanzi alla Cassazione. Resta da vedere se l'interpretazione data sul caso Amante dalla prima sezione della Suprema corte prenderà piede. Sempre i 'tecnici' non escludono un'eventuale correzione della legge: che però, trattandosi di norme processuali, varrà solo per il futuro, non potendo essere retroattiva.

Qualcuno dei processi a rischio - Dopo la sentenza della Cassazione sarebbero da celebrare nuovamente: i procedimenti a carico dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, che hanno avuto 30 anni in uno dei dibattimenti del filone “Addiopizzo”, così come quello a Nino Rotolo, recentemente condannato in secondo grado a 29 anni nel processo "Gotha". Secondo la sentenza della cassazione ripartirebbero da capo anche i processi "Addiopizzo 4" in cui, oltre ai Lo Piccolo, é imputato anche il boss Gaetano Fidanzati, arrestato due mesi fa a Milano; e quello al clan mafioso di Borgetto che si svolge davanti alla seconda sezione del Tribunale di Palermo. In bilico anche il processo al Clan Madonia in cui sono imputati i fratelli Nino, Aldo, Salvo e Giuseppe Madonia. La quarta sezione del tribunale di Palermo, davanti alla quale si volge il dibattimento, ha rinviato al 15 febbraio per decidere se proseguire o rinviare il processo alla corte d’assise. A Termini Imerese, in una tranche del processo "Perseo", Giusto Arnone, Alessandro Capizzi, Giuseppe Ciancimino, Giuseppe La Rosa.

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, LiveSicilia.it]

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06 febbraio 2010
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