A Gela arrivano i primi liceziamenti
Sale la tensione. Gli operai del petrolchimico: "Pronti ad una rivolta come in Libia"
AGGIORNAMENTO - Il prefetto di Caltanissetta, Carmine Valente, si accinge a precettare una cinquantina di lavoratori turnisti per garantire i servizi di sicurezza e di emergenza nel petrolchimico di Gela cinto d'assedio dalle maestranze. Proseguono, infatti, i blocchi spontanei nelle vie d'accesso alla raffineria Eni. L'intervento del Prefetto mira a garantire il cambio turno ai lavoratori che si trovano in fabbrica da oltre 30 ore in condizioni di estrema stanchezza, ma dai blocchi alle vie di accesso non passa nessuno. Da qui la decisione del prefetto di convocare ieri sera i dirigenti dello stabilimento, i sindacati e il sindaco Angelo Fasulo. La precettazione è apparsa come l'unica strada percorribile.
Dovranno essere fermati e posti in stato di conservazione gli impianti ancora in marcia non necessari alla sicurezza della fabbrica mentre si dovrà garantire la presenza dei turnisti in reparti che vanno mantenuti attivi: quello biologico, una parte della centrale termoelettrica per fornire vapore e corrente interna, quello frazionamento aria e la squadra antincendio. Anche l'Ecorigen chiede la precettazione del suo personale.
In queste ore a Gela si respira un clima di grande tensione: alla preoccupazione e alla rabbia per le decisioni dell'Eni di fermare gli impianti e annullare impegni di spesa per 700 milioni, si alterna la speranza di un deciso intervento del governo centrale e di un ritorno alla produzione e al lavoro. Ma i segnali che arrivano dal petrolchimico lasciano sempre meno spazio all'ottimismo.
Ieri, un'impresa che opera nel settore dell'indotto, la "Riva e Mariani", ha licenziato 15 dei suoi 40 dipendenti per mancanza di commesse di lavoro. A rischio anche i 90 dipendenti (45 del diretto e altrettanti dell'indotto) di un'altra impresa, l'azienda chimica francese "Ecorigen", che effettua lavori di rigenerazione dei catalizzatori per l'industria petrolchimica, perché il fermo prolungato della raffineria non garantisce più la fornitura delle materie prime per i processi di lavorazione.
Il sindacato ha mobilitato i suoi quadri e affila le armi in vista di un possibile sciopero nazionale di categoria, ma senza rinunciare al dialogo. "Un gruppo importante come l'Eni - spiega il segretario nazionale della Filctem, Emilio Miceli - non può devastare una città come Gela. C'è bisogno di tornare a fare prevalere il buonsenso perché il momento è troppo delicato".
Ma ai cancelli della raffineria la lotta si inasprisce con blocchi e presidi. I manifestanti non lasciano passare più nemmeno i lavoratori turnisti mentre nelle parrocchie, su iniziativa del vescovo della diocesi, Rosario Gisana, si fanno veglie e fiaccolate in attesa di una auspicata ripresa delle trattative. Il pensiero è rivolto a Roma, dove oggi si riunisce il consiglio di amministrazione dell'Eni per approvare il piano industriale che giovedì sarà illustrato al governo centrale in un vertice al quale parteciperà anche il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, autodefinitosi "l'ultimo samurai in difesa dei lavoratori di Gela e della Sicilia".
Sempre oggi, i consigli comunali di diversi centri del comprensorio gelese si riuniranno davanti al "GreenStream", il metanodotto Libia-Italia (per il 75% di proprietà dell'Eni) che trasporta ogni anno 10 miliardi di metri cubi di metano preso come "simbolo - scrive il coordinamento per la difesa della raffineria - dell'importanza strategica di Gela e della Sicilia nelle politiche energetiche della Nazione". I consigli comunali di Gela, Butera, Niscemi, Mazzarino, Sommatino, Vittoria, Acate e Priolo si riuniranno in seduta straordinaria e urgente nel piazzale antistante l'approdo gelese del gasdotto. E quasi ad ammonire Eni e governo il coordinamento di lotta, dopo avere ricordato i tragici eventi bellici della Libia, scrive: "Nel 2013, per ben due volte, i rivoluzionari in Libia e i sommovimenti politici, hanno causato l’interruzione del gasdotto Green Stream, costringendo l’Eni e il governo italiano a intervenire. Oggi a Gela c’è una battaglia civile, non meno motivata e determinata: quella per il lavoro e lo sviluppo. Non vorremmo che per attirare l’attenzione del governo italiano fossero necessari fatti eclatanti come quelli avvenuti al gasdotto in Libia, dove una rivoluzione ha azzerato le istituzioni del Paese". Ancora più espliciti, fuori dal protocollo, i lavoratori: "se a Roma vogliono la rivolta, come in Libia - dicono - siamo pronti a scendere in campo, per difendere il lavoro e il sostentamento delle nostre famiglie".
I manifestanti chiedono la conferma del piano di investimenti che era stato annunciato dall'Eni (700 milioni) e l'avvio di almeno una delle tre linee di produzione per dare le risposte minime all'esasperazione di migliaia di lavoratori che rischiano il posto.
Intanto, il sindaco di Gela, Angelo Fasulo rivolge un accorato appello ai parlamentari eletti in Sicilia. "Gela dice basta all’abbandono insensato di un intero territorio. La città grida a gran voce la necessità di una lotta compatta a salvaguardia del lavoro. Basta al silenzio ed al disimpegno. Il 'Caso-Gela' non può più essere considerato un caso circoscritto, ma un caso che rappresenta la crisi del sistema dell’industria della raffinazione che coinvolge la Sicilia e l’Italia intera. Proprio per questo è inaccettabile il silenzio assordante della politica e dell’imprenditoria a tutti i livelli sulla 'questione Eni'".
"L’impressione - lamenta il primo cittadino - è che ciò che sta succedendo non sia stato compreso a pieno, e la scelta di disimpegno sul territorio fatta dall’Eni sia vissuta con estrema superficialità. Ogni giorno che passa ci sentiamo sempre più abbandonati da chi, come Istituzione, dovrebbe far pesare la propria voce in capitolo". "Ad oggi - aggiunge Fasulo - solo il presidente Crocetta ed i sindacati, insieme all’Amministrazione, al Consiglio Comunale e ai tanti sindaci del territorio, si stanno spendendo per trovare soluzione a quello che potrebbe trasformarsi nel baratro sociale ed economico non solo della nostra città, ma dell’intera Sicilia. Dal resto della politica, regionale e nazionale, solo indifferenza e silenzio".
"Non è più il momento di temporeggiare - dice ancora il sindaco di Gela -, serve un dibattito a più voci, tra i diversi protagonisti istituzionali e sociali, nazionali, regionali e comunali. E’ fondamentale ridare dignità ai nostri lavoratori, ad un territorio in sofferenza, ad una Regione che sta subendo la morte della politica industriale. Chiediamo ai Parlamentari siciliani, regionali e nazionali, all’imprenditoria sana, alle forze sociali di ritrovare un’unità, mai cercata fino in fondo, per poter ipotizzare insieme linee di intervento possibili a tutela dell’occupazione. Chiediamo alla politica e alle Istituzioni un intervento deciso che sia in grado di sposare le esigenze di tutela della salute con quelle di tutela del lavoro e dell’occupazione, in un’ottica di sviluppo diversificato e compatibile. Abbiamo già pagato un prezzo carissimo allo sviluppo e all’industria, la stessa industria che oggi ci sbatte in faccia la fine di ogni prospettiva occupazionale. Gela non ci sta! La nostra comunità, fatta di uomini, donne, famiglie, lavoratori e lavoratrici spremuti e abbandonati, oggi dice basta a questa azione scriteriata e all’indifferenza nella quale si sta consumando".
"Ai parlamentari siciliani, regionali e nazionali - conclude Fasulo - diciamo che è finito il tempo del silenzio. E’ questo il momento di intervenire e prendersi la responsabilità delle scelte che il ruolo impone. Lo dovete al Paese, alla Sicilia e al nostro territorio, lo dovete alle nostra comunità, lo dovete a quei lavoratori che dopo anni di sacrifici oggi guardano a voi con trepidazione e speranza e soprattutto lo dovete all’onorabilità del ruolo che ricoprite. Noi non staremo in silenzio nell’attesa che questo dramma sociale si esaurisca nell’indifferenza generale. Non è più il momento del silenzio, è il momento delle responsabilità e delle scelte".
[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it, Corriere del Mezzogiorno]
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