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A Palermo arrestati per racket estorsori ed estorti: pagare il ''pizzo'' non deve convenire mai e in nessuna maniera

24 ottobre 2007

Venti imputati tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e favoreggiamento: per loro sono state emanate pene per oltre 70 anni di carcere e 8 assoluzioni.
E' la sentenza di un processo scaturito da un'inchiesta del Gico della Guardia di Finanza sulla cosca mafiosa palermitana di Santa Maria del Gesù che nel 2004 portò all'arresto di 35 persone.
Tra gli imputati, oltre ai presunti esponenti della famiglia mafiosa ed ai presunti estorsori, anche otto commercianti di Palermo accusati di favoreggiamento.
La pena più alta, 15 anni di reclusione (la stessa chiesta dal Pm Alessia Sinatra), è stata inflitta a Salvatore Gregoli, l'unico che è attualmente detenuto agli arresti domiciliari. Il Tribunale gli ha inflitto anche una multa di 2.500 euro. La condanna a 13 anni, più 2 mila euro di multa, è stata emessa nei confronti di Giovanni Di Pasquale (il Pm ne aveva chiesti 18).
Condannati a 12 anni di reclusione, più 2 mila euro di multa, Castrenze Lo Jacono; a 10 anni, più 1700 euro di multa, Francesco Paolo Cavallaro; 7 anni di reclusione per Giuseppe Agliuzza, Andrea Ciaramitaro e Girolamo Mondino. La condanna a 4 anni, più 1200 euro di multa, è stata inflitta a Francesca Agliuzza.
Condanne lievi, infine, sono state inflitte ai commercianti che non hanno ammesso di subire il ''pizzo'', rifiutandosi di collaborare con gli inquirenti: 10 mesi di reclusione per Michele D'Angelo, Cesare Mattaliano e Francesco Fanale.

Ed è proprio la collusione tra ''vittima e carnefice'', questo tacito e vile accordo con la criminalità che rende difficile alla giustizia riuscire a spezzare le catene dell'assurda schiavitù del ''pizzo'', collusione che deve essere sostituita dal coraggio di alzare la testa e denunciare, così come ripetuto per l'ennesima volta dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che ha indicato nella ''denuncia corale e di massa'' una delle strade principali da percorrere.
''L'omertà sopravvive tra i commercianti, lo dimostra il confronto tra i dati diffusi da Confesercenti che parla di 160.000 esercizi taglieggiati (leggi) ed il numero delle denunce che arriva alle forze dell'ordine, tra 4 mila e 5 mila all'anno. Un confronto che deve far riflettere. Per questo - ha detto Grasso - l'unica via da seguire per i commercianti è quella della denuncia, corale, di massa''. Secondo il procuratore il problema è che ad un'economia ''prettamente mafiosa sopravvive una rete sommersa, che sfugge a qualsiasi controllo, che evade ogni fisco e che lavora con profitti illeciti in campi legali e che alla fine crea un inquinamento dell'economia. Finché non si comprende bene questo meccanismo - ha aggiunto - sarà difficile uscire da questo sistema diffuso. Bisogna far funzionare meglio tutti quegli strumenti contro il riciclaggio e la circolazione del contante. Chi lavora nel mondo dell'imprenditoria sa bene che è difficile competere con un imprenditore che non paga contributi previdenziali ai lavoratori o che li paga meno del limite contrattuale, che non ha da pagare la tangente o il pizzo perché è parte di un sistema criminale. Ecco, in questo sistema l'impresa mafiosa gode di vantaggi che costringono le altre aziende del mercato a scomparire''.

Per Piero Grasso bisogna assolutamente proseguire per la strada tracciata da Confindustria (''Si tratta di un qualcosa di epocale e bisogna continuare su questa strada'') favorendo tutte quelle aziende che coraggiosamente non pagano il pizzo: ''Occorre unire una posizione etica a quella di convenienza e utilità per mettere in crisi questo sistema''.

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24 ottobre 2007
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