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A Palermo la mafia torna a sparare

Ucciso il boss Giuseppe Calascibetta. Era stato condannato per la strage di via D'Amelio, poi era stato assolto

20 settembre 2011

A Palermo la mafia è tornata a sparare. La vittima è un boss di prima grandezza: Giuseppe Calascibetta, 60 anni, ex capo mandamento della cosca di Santa Maria Di Gesù, condannato per la strage in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino.
L'omicidio, certamente un delitto di mafia, è successo ieri sera in via Bagnera, nel quartiere Oreto. Il corpo è stato trovato dentro una microcar a poca distanza dall'abitazione di Calascibetta. Secondo una prima ricostruzione della sezione Omicidi della squadra mobile, i killer sarebbero entrati in azione quando Calascibetta ha rallentato la marcia, perché vicino alla sua abitazione. I colpi di 7,65 sono arrivati al volto e alla nuca. I finestrini della minicar erano abbassati, ma non tutti i colpi hanno raggiunto la vittima. Il cadavere è stato scoperto dopo una decina di minuti da un passante, che ha chiamato il 118: pensava che quell'uomo in auto si fosse sentito male, non aveva visto il suo volto sfigurato.

Uomo di spicco di Cosa nostra, Calascibetta era stato condannato a dieci anni di reclusione per la strage di via D'Amelio. Il suo omicidio segue di qualche giorno la svolta nelle indagini su via d'Amelio (LEGGI). La Procura di Caltanissetta ha infatti recentemente chiesto la revisione di uno dei processi celebrati sulla strage: quello a cui aveva contribuito il pentito, rivelatosi poi falso, Vincenzo Scarantino. E proprio Scarantino era stato uno degli accusatori di Calascibetta nella cui villa, durante un summit di mafia, il boss Totò Riina avrebbe comunicato a Cosa nostra la decisione di assassinare il giudice Borsellino. Alla riunione segreta, che si sarebbe svolta i primi di luglio del '92, avrebbe partecipato il gotha della mafia: Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Francesco Tagliavia, Giuseppe Graviano, Giuseppe La Mattina, Salvatore Biondino, i fratelli Natale ed Antonino Gambino, Cosimo Vernengo e, raccontò Scarantino, altri 4 o 5 boss dei quali non gli furono precisate le generalità. Calascibetta, incastrato da quelle accuse, fu sottoposto a un drammatico confronto con Scarantino.
Scarcerato tre anni fa dopo avere scontato la pena, era sottoposto alla sorveglianza speciale, una misura che comporta come sanzione accessoria la sospensione della patente. Per questo, per spostarsi, usava una microcar, la stessa dove è stato trovato morto, con il volto maciullato da un proiettile esploso a pochi centimetri da un orecchio, secondo un noto rituale mafioso.

"Quello di ieri sera è un segnale allarmante - ha detto il procuratore aggiunto Ignazio De Francisci - non è esclusa la possibilità che la mano del delitto sia arrivata da un altro mandamento. E in questo caso, saremmo di fronte a movimenti a livello apicale nell'ambito di Cosa nostra palermitana".
Ufficialmente Calascibetta era tornato a una vita normale, gestiva una piccola azienda che commercializza gesso. Ma adesso, dopo il delitto di ieri, si può ipotizzare che la nuova attività imprenditoriale non fosse altro che l'ennesimo paravento di mafia.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

 

 

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20 settembre 2011
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